Verso il Giubileo con Alessandro Manzoni

Come l’Innominato aprirsi alla misericordia

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«Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia», disse Lucia all’innominato che l’aveva fatta rapire su richiesta di don Rodrigo. Quella frase divenne un tormento che tenne sveglio tutta la notte quell’uomo tanto da spingerlo a chiudersi disperato in se stesso e prospettare persino di farla finita. Ma all’alba sentì un rumore festoso: si alza e si affaccia alla finestra; come se fosse giunto anche a lui quanto Gesù disse al sordomuto: «Effatà, cioè Apriti». Quell’affacciarsi dalla finistra è l’inzio dell’avventura dell’alterità che lo condurrà fino all’incontro con la misericordia del Segnore mediante il cardinal Federigo Borromeo. Non solo la lettura del presente brano, ma dell’intera opera del Manzoni può diventare un’ulteriore occasione per aprirsi alla misericordia.  

Lucia crede di vedere un’ombra di compassione sul volto del suo rapitore e lo invita a dire solo una parola per liberarla, poiché “Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”. […]

Anche l’innominato vorrebbe dormire come Lucia, in un’altra stanza del suo castello, tuttavia non vi riuscirà per tutta la notte. Dopo essere quasi scappato dalla camera in cui è prigioniera la ragazza, il bandito ha ordinato di portarle la cena e poi ha fatto il consueto giro a certi posti di guardia della fortezza, chiudendosi infine nella sua stanza come se volesse sfuggire una squadra di nemici. Tuttavia, il pensiero fisso di Lucia tremante e le parole che la giovane gli ha rivolto continuano a tormentarlo ed è chiaro che non riuscirà a prendere sonno: maledice la sua decisione di vedere Lucia, rimproverandosi di essersi lasciato impietosire come una donnicciola e cercando di scuotersi al pensiero che spesso, nella sua vita scellerata, ha sentito donne piangere e talvolta anche uomini. Questi ricordi però non gli ridanno affatto coraggio né lo spingono a terminare l’impresa cominciata, anzi gli inducono nell’animo una specie di oscuro terrore, una sorta di pentimento di cui si rammarica e prova grande vergogna. È tentato dall’idea di liberare Lucia e di vedere il suo volto rasserenato, per provare sollievo dall’inquietudine che sembra divorarlo, anche se subito dopo è quasi atterrito dalla propria debolezza e si dice certo che la cosa passerà, cercando di pensare a qualche altra impresa da progettare per tenere la mente occupata.

Non trova tuttavia alcun pensiero che gli rechi conforto e, al contrario, le imprese iniziate lo atterriscono e si pente dei passi compiuti, mentre il tempo futuro gli appare privo di stimoli e la memoria del passato cala pesantemente su di lui, facendogli sembrare intollerabile l’idea di tornare fra i bravi. Medita nuovamente di liberare Lucia, anche se ciò vorrebbe dire mancare alla parola data a don Rodrigo, e inizia poi a pensare come possa essersi impegnato con un simile individuo per far patire una povera innocente, concludendo che l’ha fatto per l’antica abitudine al male che lo pervade da sempre: ciò lo spinge a passare in rassegna tutte le malefatte degli anni precedenti, a pensare a tutti i delitti commessi, pensiero che gli sembra insopportabile e che gli si presenta in tutta la sua mostruosità, portandolo in breve alla disperazione. Afferra una pistola dalla parete accanto al letto ed è sul punto di uccidersi, quando pensa al suo cadavere che verrebbe trovato il giorno dopo e allo scompiglio nel castello, alla gioia dei suoi nemici e di chi gli sopravvivrà; suicidarsi nel buio della notte gli sembra un’azione vile e continua ad alzare e abbassare il cane della pistola, mentre lo assale anche il pensiero angoscioso che, forse, quella vita dopo la morte di cui gli hanno parlato da bambino e che lui ha sempre disprezzato, esiste davvero. 

Il dubbio getta l’innominato in una nera disperazione, che lo porta a lasciar cadere la pistola e a mettersi le mani nei capelli, tremando dalla paura: a un tratto gli tornano in mente le parole di Lucia (“Dio perdona tante cose, per un’opera di misericordia”), pronunciate tuttavia non con il tono supplichevole con cui le ha udite dalla ragazza ma con un accento autorevole che gli ridona un attimo di speranza, mentre vede Lucia non già come la sua prigioniera, bensì come colei che può dispensargli una grazia. È ansioso che spunti il giorno, per correre a liberarla e ottenere il suo perdono, disposto addirittura a portarla lui stesso dalla madre, quando lo assale però l’incertezza su ciò che potrà fare il giorno dopo, e poi quello seguente e quello dopo ancora; soprattutto lo atterrisce il pensiero che presto la notte calerà di nuovo e tornerà a tormentarlo, per cui passa dal proposito di fuggire in un paese lontano dove nessuno lo conosca a quello di tornare alle antiche malefatte superando una crisi passeggera, mentre teme di farsi vedere così cambiato dai suoi bravi il giorno dopo e allo stesso tempo è ansioso che spunti nuovamente il sole.

Infine sul far dell’alba, quando Lucia si è da poco addormentata, l’innominato sente un rumore confuso e festoso giungere dall’esterno e capisce che si tratta di uno scampanio, che sembra echeggiare da punti diversi della valle: curioso di capire di cosa si tratti, l’uomo si alza dal letto e si affaccia a una finestra, vedendo una gran frotta di gente in cammino sul fondo della valle e formata da uomini, donne, fanciulli che aumentano via via di numero e procedono allegramente verso una destinazione sconosciuta al bandito. L’innominato non riesce a spiegarsi le ragioni di quella marcia e, soprattutto, della gioia che traspare dagli atti delle persone e dalle campane a festa, il che accende in lui un fortissimo desiderio di saperne di più: per questo chiama uno dei bravi che dorme in una stanza accanto e lo incarica di informarsi in proposito, mentre il bandito resta alla finestra ad osservare quello spettacolo così insolito per lui. […]

Poco dopo, il bravo venne a riferire che, il giorno avanti, il cardinal Federigo Borromeo, arcivescovo di Milano, era arrivato a ***, e ci starebbe tutto quel giorno; e che la nuova sparsa la sera di quest’arrivo ne’ paesi d’intorno aveva invogliati tutti d’andare a veder quell’uomo; e si scampanava più per allegria, che per avvertir la gente. Il signore, rimasto solo, continuò a guardar nella valle, ancor più pensieroso. ” Per un uomo! Tutti premurosi, tutti allegri, per vedere un uomo! E però ognuno di costoro avrà il suo diavolo che lo tormenti. Ma nessuno, nessuno n’avrà uno come il mio; nessuno avrà passata una notte come la mia! Cos’ha quell’uomo, per render tanta gente allegra? Qualche soldo che distribuirà così alla ventura… Ma costoro non vanno tutti per l’elemosina. Ebbene, qualche segno nell’aria, qualche parola… Oh se le avesse per me le parole che possono consolare! se…! Perché non vado anch’io? Perché no?… Anderò, anderò; e gli voglio parlare: a quattr’occhi gli voglio parlare. Cosa gli dirò? Ebbene, quello che, quello che… Sentirò cosa sa dir lui, quest’uomo! ”  

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Per approfondimenti

http://www.zenit.org/it/articles/suor-maria-lanceata-morelli-quando-la-misericordia-diventa-abitudine

 

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ZENIT Staff

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