di Luigino Bruni*
ROMA, giovedì, 8 settembre 2011 (ZENIT.org).- Dietro le crisi di questi tempi si nascondono cose importanti, forse troppo importanti perché se ne parli nei grandi media.
Innanzitutto è in gioco il significato e il ruolo della democrazia nell’età della globalizzazione. Questa crisi, infatti, è la prima grande crisi dell’economia e della finanza nell’era della globalizzazione: i mercati ormai da un paio di decenni ragionano e si muovono su scala mondiale, e con tempi rapidissimi. È il mondo lo scenario della nuova economia finanziaria, mentre la politica e la democrazia hanno come orizzonte ancora gli Stati Nazione (è anche questa una delle cause di fragilità dell’Europa).
La logica dei Governi degli Stati è ancora quella pre-globalizzazione, dove i partiti competono per ottenere il consenso attraverso il voto. Di fronte a questa crisi, da una parte ci sarebbe bisogno di risposte politiche globali e veloci, che mancano; dall’altra, i Governi dei singoli Paesi non dovrebbero preoccuparsi di non essere rieletti, ma agire con coraggio per il bene comune, anche oltre il consenso immediato. Ma con gli attuali meccanismi della politica queste scelte sono troppo costose, e dalla Grecia all’Italia i Governi restano impantanati tra veti incrociati al loro interno, ma anche nelle varie componenti della società civile che difendono interessi contrapposti. Le manovre non risultano quindi efficaci perché per non svantaggiare nessuno rischiano seriamente di svantaggiare tutti: l’opposto del bene comune è il male comune. Questa sfida nasconde dunque il bisogno urgente di una nuova politica e di una nuova stagione della democrazia che sia all’altezza della globalizzazione, una stagione che ancora non si intravede.
C’è poi la grande questione del sistema economico capitalistico. L’economia di mercato è stata una straordinaria invenzione dell’umanesimo civile e cristiano. Ha consentito risultati inauditi per la qualità della vita di miliardi di persone, per i diritti umani e la democrazia. Negli ultimi decenni quell’economia centrata sui mercati reali (scambi di merci e servizi) e sulle persone (imprenditori, lavoratori, banchieri) è stata soverchiata dalla finanza speculativa, virtuale e impersonale, e a fronte di una transazione reale (denaro contro beni) oggi si realizzano decine di operazioni finanziarie.
Questo capitalismo ultra-finanziario è troppo fragile e rischioso, e non è più capace di mantenere le promesse di sviluppo e libertà che erano alla base della prima stagione dell’economia di mercato.
C’è allora bisogno di una nuova sintesi, di nuove istituzioni ma – e qui sta la sfida – anche di nuovi cittadini. C’è anche tutto ciò dietro alle crisi di questi giorni: se sapremo cogliere i segnali che ci arrivano dalla storia potremo uscire migliori da questi tempi difficili, ma ciascuno deve fare con responsabilità e serietà la propria indispensabile parte.
*Luigino Bruni è Associato di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Milano-Bicocca. E’ vicedirettore del centro interuniversitario di ricerca sull’etica d’impresa Econometica (www.econometica.it), Direttore del Corso di perfezionamento in “Economia civile e non-profit” a Milano, co-editor della International Review of Economics (IREC, Springer) e membro del comitato editoriale delle riviste “Nuova Umanità”, “Sophia” e “RES”.
L’articolo viene pubblicato per gentile concessione della rivista Città Nuova.