Quale umanesimo oggi. Laici e cattolici a confronto

ROMA, sabato, 28 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato il 24 maggio da mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo-vescovo di Trieste, al Centro di Orientamento Politico di Roma.

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Il confronto vero richiede coraggio. Inutile sfumare i toni e addolcire le ruvidezze della realtà. Bisogna andare al cuore del problema. Ciò vale anche per l’incontro / scontro tra laici e cattolici sull’uomo. Le mezze verità non accontentano nessuno. Ecco perché vorrei cercare di andare al cuore del problema. Penso infatti che solo da lì, dal cuore del problema, si possa poi eventualmente trovare un percorso di confronto e di incontro.

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Il punto fondamentale mi sembra questo: l’indispensabilità di Cristo per un vero umanesimo. Il laico non chiederà al cristiano di rinunciare a questa pretesa della sua fede. Sarebbe come chiedergli di rinunciare a tutto. “Signore, da chi andremo? Solo tu hai parole di vita eterna”. Ci può essere un pieno umanesimo che non contempli il raggiungimento della vocazione umana nella sua completezza? Non si tratta, si badi, di un qualcosa che, aggiungendosi, rende le cose migliori. Per il cristiano la fede in Gesù Cristo non è lo zucchero per addolcire la vita, è la vita. Senza Gesù Cristo i conti non tornano in nessun campo, la realtà non viene nemmeno compresa e l’uomo non riesce neppure a sapere chi egli sia. Non esiste un documento del Magistero che affermi possibile un pieno umanesimo. anche semplicemente terreno – senza Cristo. Briciole se ne potranno certamente trovare qua e là. Ma solo il Signore è “vero uomo”, perché è “vero Dio”. Non è l’uomo ideale, kantianamente inteso, non è il modello migliore di uomo, è uomo vero e vero uomo. Né si può distinguere, su questo punto, se non capziosamente, il magistero preconciliare da quello conciliare o postconciliare. Né il primato di Dio, né la Signoria di Cristo, né la sua ricapitolazione di tutte le cose alla fine dei tempi sono punti della dottrina cattolica che si possano trascurare.

Bisogna partire da qui, da ciò che appunto i laici rifiutano e a cui invece i cristiani non possono rinunciare, se si vuole andare al nocciolo del problema. Un nocciolo irriducibile a compromesso. Nessun incontro sarà possibile se i cristiani non potessero mantenere questa pretesa e se i laici non prendessero in considerazione che proprio ciò rende salata la propria laicità.

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Dal punto di vista laico, spesso una simile pretesa è considerata come arrogante, dogmatica, discriminante e violenta. Non è così, come vedremo, però quasi sempre e quasi tutti i laici la pensano così. Questo mi conferma nell’idea che siamo proprio davanti al nodo fondamentale della questione. Dove la resistenza è maggiore, lì è il punto di maggior delicatezza.

Vediamo per esempio la questione della verità e della fede come conoscenza. Davanti a ciò, l’insofferenza laica si manifesta spesso con modalità di rifiuto. La fede non è un sentimento, essa è conoscenza che pretende di avere una propria dignità epistemica fondata sulla logica della testimonianza. La Fides et Ratio fa notare che noi conosciamo per fede la grande maggioranza delle nostre conoscenze e la fede apostolica è una fede che riposa su dei “testimoni”. Questo rende la fede cristiana “ragionevole”, atta cioè a confrontarsi con la ragione già nel suo intimo, non per compito successivo, ma per connaturalità. Se la fede non fosse conoscenza, non avrebbe un posto nel quadro del sapere e quindi non potrebbe dialogare con la ragione. Dialogherebbe, semmai, per forzatura, per convenienza, per obbligo … ma non perché essa “è fatta così”. Naturalmente, vale anche il contrario: se la fede non fosse ragionevole come potrebbe la ragione dialogare con essa? Per farlo dovrebbe rinunciare a se stessa. A Regensburg Benedetto XVI ha lamentato con grande rammarico l’esclusione della teologia e della fede dalla Universitas studiorum e la Fides et Ratio pone come obiettivo del nuovo millennio la ricostruzione del quadro unitario del sapere, la cui mancanza genera smarrimento antropologico. Su questo punto, inutile nasconderlo, la contrapposizione tra laici e cattolici è forte: i saperi, laicamente intesi, al massimo parlano della fede ma non con la fede. La fede e la teologia come divagazioni letterarie sono accolte e ospitate su riviste patinate; gli intellettuali cattolici da salotto sono ambiti nei talk-show del sapere laico. Ma Benedetto XVI ad Aparecida ha detto che se si mette da parte Dio la nostra stessa conoscenza della realtà viene falsata. Si tratta del contrario di quanto pensano i laici e cioè che solo mettendo da parte Dio si sviluppa lo spirito critico e i saperi possono considerarsi autonomi. Gustavo Zagrebelsky dice che la verità, così come proposta dalla dottrina cattolica, blocca il laico spirito di ricerca e Aldo Schiavone non ammetterebbe mai una discussione con un cattolico che ponesse sul tavolo la fede cristiana nel “peccato delle origini”. La fede cattolica, invece, pensa il contrario, l’autonomia ci deriva a partire da altro, è la verità che ci fa autonomi e la verità non la produciamo noi. La fede implica una epistemologia fondata sulla trascendenza della verità.

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Mi torna in mente, a questo proposito, il Barone di Münchausen, usato come esempio da Joseph Ratzinger più di 40 anni fa, che voleva trasportare se stesso di là dal fiume, prendendosi per i capelli. Chi è nelle sabbie mobili non si salva da solo. E per il cristianesimo l’uomo è nelle sabbie mobili.  Nessuno può darsi il proprio nome e farsi discepolo di se stesso. Non ci si chiama da sé, si è chiamati. Che Cristo sia la vocazione dell’uomo e che questo costruisca l’unico vero umanesimo comporta l’idea che l’uomo si fosse perduto e che sia stato ritrovato. Comporta che “in Cristo” egli si possa ritrovare. Cosa incomprensibile ed inammissibile per il pensiero laico, secondo il quale, invece, la natura umana è capace di se stessa. Ma se così fosse, viene da chiedersi, perché, tolto il riferimento a Dio, anche la natura umana risulta indebolita, negletta e perfino perduta? Perché, dopo Grozio, aver appoggiato il diritto sulla sola natura umana non è stato sufficiente a garantirne l’efficacia? Perché il pensiero laico è scivolato e scivola verso l’abbandono dell’ontologia? Perché anche i ripensamenti di Habermas, che pure ha rivisto tante delle sue precedenti posizioni, non arrivano a recuperare la dimensione ontologica dell’umanesimo? Questo punto è oggi il principale discrimine tra pensiero laico e dottrina cattolica. Quando il pensiero laico parla di “natura”, “persona”, “famiglia”, ”bene” – quando ne parla! – esclude ogni accezione ontologica, diversamente dalla dottrina cattolica. Del Noce sosteneva – con Gilson – che nella fede cristiana è implicita una metafisica. Senza metafisica non c’è “realtà” mentre il cristianesimo è realista. Il cristianesimo si occupa di vita vera, di vita reale, di questa vita e dell’altra vita, più reale ancora di questa. Senza metafisica non si accede concettualmente all’”invisibile”, ma la fede cristiana comporta appunto l’invisibile. Senza metafisica non c’è creazione, non c’è uomo imago Dei, non c’è anima, non c’è peccato, non c’è progresso … non c’è Dio e non c’è uomo, oltre i suoi fenomeni. Gesù Cristo è il Logos, è la Verità, è la Sapienza Creatrice: il mondo non è frutto del terminismo o del caso. Ecco cosa significa che la fede cristiana implica una metafisica. Ma proprio su questo, oggi, pensiero laico e dottrina cattolica divergono. Divergono sull’uomo perché divergono sulla realtà, divergono sulla realtà perché divergono sulla verità, divergono sulla verità perché divergono sul valore conoscitivo della fede, senza la quale non c’è unità del sapere. Divergono sul valore conoscitivo della fede perché l’uomo non viene inteso come nelle sabbie mobili, ma si pensa che egli, prendendosi per i capelli, possa trasportarsi al di là del fiume. Il pensiero laico e la dottrina cattolica divergono sul peccato originale, incomprensibile per il
primo, fondamentale – anche se oggi dimenticato – per la seconda. Molti hanno messo in evidenza la secolarizzazione del peccato originale nel pensiero moderno e poi la sua completa negazione. Come potranno intendersi laici e cattolici se per i primi la persona è integra e può da sola conseguire i propri obiettivi, mentre per i secondi è ferita e da sola non riesce nemmeno a capire chi essa sia? Come potranno intendersi se per i primi la salvezza deriva dalla rivoluzione ieri o dalla tecnica oggi, mentre per i secondi non c’è una briciola di vita umana che non abbia bisogno dell’influsso, almeno per riflesso, della grazia per sanare le sue ferite e migliorarsi?

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Non bisogna che ci facciamo sconti reciproci, se vogliamo intenderci. Perché solo da lì, dall’aver posto il problema nella sua radicalità, potrà emergere una qualche via di soluzione. Le buone maniere sono utili e lubrificano i rapporti, ma non  sono mai decisive. Vediamo allora se e come sia possibile, partendo proprio dal cuore del problema, costruire una bozza di percorso comune per un vero umanesimo oggi. Potrà mai il mondo laico accettare il cristianesimo in tutte le sue pretese? Comprese le pretese di presenza pubblica, di vivificazione storica e di guida spirituale e morale? Potrà farlo senza rinunciare a se stesso? Per rispondere a questa domanda dobbiamo esaminare due aspetti: se il pensiero laico non lo fa si danneggia irreparabilmente rischiando perfino di non essere più laico; la suddetta pretesa cristiana non è oppressiva perché, dice Gesù, “Il mio giogo è leggero”. Vorrei cominciare da questo secondo aspetto, per poi tornare al primo.

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La verità è forte (caritas in seipsa fortis est et nulla impugnatione convellitur – San Tommaso) e perfino intollerante: sì sì, no no. Però è anche dolce e soavemente convincente, “mite ed umile”, bella e perfino suadente. Solo dando il nostro consenso perché convinti dalla verità ci sentiamo liberi. Il pensiero laico parte dalla coscienza mentre la dottrina cattolica dalla verità, si dice, ma l’unico modo per dare consistenza alla coscienza, come insegna il cardinale Newman, è di strutturarla nella verità. Ora, la fede cristiana non solo ha la pretesa che Cristo sia la Verità, ma ha anche quella di ritenere che Egli non schiacci nessun’altra verità. Non è venuto ad abolire ma a confermare e ad elevare. La verità cristiana è come l’acqua che passa sulla pietra e ne vivifica i colori. “Non abbiate paura!”, diceva Giovanni Paolo II: Cristo non toglie niente all’uomo e la luce della fede vuole spingere la ragione a non fermarsi mai. Guardare il volto di Cristo è il primo preambulum fidei, una possibilità anche per chi è nel Cortile dei Gentili, perché in Cristo l’uomo vede se stesso. Penetra a fondo dentro se stesso e scopre zone di sé finora inesplorate. Come diceva Guardini: diventa adulto, capace di sé. Cristo è convincente illuminando la verità delle cose, aprendoci gli occhi.

Perché il pensiero laico non dovrebbe accettare questa sfida, questa proposta di dialogo continuo? Proposta di dialogo che presuppone che la pretesa cristiana sia tenuta ferma fino in fondo. Se il cristianesimo si ponesse colo come una delle tante saggezze di questo mondo, il pensiero laico di cosa se ne farebbe? La collocherebbe nel proprio pantheon e sugli scaffali del supermercato religioso. Il pensiero laico non ha bisogno di una religione da consumare, non sarebbe più laico e nemmeno pensiero. Per il pensiero laico la sfida diventa interessante solo se il cristianesimo non rinuncia alle pretese di cui ho parlato finora e non addolcisce le sue posizioni. Solo così diventa possibile un vero confronto e nel confronto il pensiero laico può verificare se le sue posizioni possono veramente vantare la propria autonomia, se sono in grado di darsi da sole quella valorizzazione fulgente che l’acqua dà alla pietra quando la bagna.

Il cristianesimo non teme questa sfida, perché non può venire dal vero Dio quanto è contrario alla ragione. La fede cristiana è aperta al confronto con l’umanesimo laico, dicendogli che è insufficiente,  certo, ma cosa se ne farebbe il pensiero laico di un cristianesimo che gli dicesse che della redenzione di Cristo non c’è bisogno? Se il pensiero laico pretende un cristianesimo laicizzato, che senso ha la partita? Gli piace la vittoria facile? Nel dialogo ognuno farà i conti anche con se stesso, e forse prima di tutto con se stesso, naturalmente, ma li potrà fare solo a partire da questi livelli alti, che veramente interpellano. Il cristianesimo si fonderà sulla creazione per dare alla ragione quanto le spetta, ma la ragione laica non potrà escludere l’orizzonte della rivelazione e della salvezza, anche nei loro aspetti mondani, perché ucciderebbe il proprio interlocutore.

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Possiamo ora tornare sul secondo punto. La fede cristiana accetta l’aiuto che le viene offerto dalla ragione. Lo ha sempre accettato, fin da quando andava a prendere le parole di Aristotele e degli Stoici per esprimersi. Essa chiede alla ragione laica di accettare l’aiuto che le è derivato e le deriva dalla fede cristiana. Ambedue sanno di non poter fare da sole. E sanno anche che se ascoltano le sirene della contrapposizione finiscono per perdere se stesse.

Secondo Del Noce la filosofia che si colloca fuori della fede è già positivismo. Ne sono convinto anch’io e mi sembra che ne sia convinto anche Benedetto XVI, che affida alla fede cristiana il compito di salvare la ragione da questo esito, possiamo dirlo, fideistico. Ho sempre pensato che il più grande credulone della storia fosse stato David Hume. Fuori della fede o contro la fede, la ragione si restringe fino a poter dire pochissime cose. A tutto il resto Hume credeva per fede, credeva perfino ai nessi causali tra le cose, ritenendo impossibile conoscerli con la ragione.

Oggi va di moda parlare di una ragione “aperta” alla fede. Come se prima ci fosse la ragione e poi, davanti alla fede, essa si aprisse. Ma una ragione che non sia già, fin da subito, aperta alla fede, come potrebbe riconoscerla? La riconosce solo se in qualche modo la attende, ne porta con sé un naturale bisogno, convive con essa da sempre. Si apre solo se è già aperta, perché non si cerca ciò che non si conosce e una volta trovato non lo si riconoscerebbe nemmeno. Anche il laico  fa da sempre i conti con la fede.

L’umanesimo laico non è, allora, un umanesimo condotto con la sola ragione che, ad un certo punto, si imbatte nell’umanesimo cristiano. L’estrinsecismo, in queste cose, non paga. Il cristiano non è il laico più qualche cosa, né è il laico meno qualche cosa.

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Tiriamo i fili del discorso. Niente sconti. La fede cristiana porta un messaggio di salvezza integrale ed interpella tutto l’uomo. Le distinzioni vanno fatte, ma a partire dall’unità. Unire per distinguere è meglio che  distinguere per unire. Su questo de Lubac batte Maritain. Questa pretesa cristiana rende possibile il vero incontro tra laici e cattolici. Naturalmente, se il pensiero laico la accetta e concede ad essa di esprimersi nella storia pubblica. Viceversa, esso stesso perde di respiro e finisce per fare troppe concessioni al fideismo. Una ragione indebolita, assoluta ma ristretta nel suo piccolo o piccolissimo settore, incapace di dire cosa sia “persona” o cosa sia “famiglia”, si smarrisce facilmente nelle sabbie mobili,da cui non sa tirarsi fuori da sola.

[Fonte: http://www.vanthuanobservatory.org/]

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ZENIT Staff

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