Il principio della sussidiarietà delle Istituzioni civili

ROMA, sabato, 28 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata il 21 maggio scorso, in occasione della Festa di San Zeno, da mons. Giuseppe Zenti, Vescovo di Verona.

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Carissimi confratelli concelebranti, onorevoli autorità civili e militari, fedeli tutti della diocesi di S. Zeno, la festa patronale che accomuna comunità civile e quella religiosa di Verona, ci ha convocati in questo scrigno d’arte eretto dai padri per custodirne la memoria, resa concreta dalla presenza in cripta delle sue spoglie.

Penso che siamo tutti d’accordo sulla liceità di applicare alla persona e all’opera di S. Zeno le espressioni, cariche di tenerezza materna, che Paolo ha rivolto ai cristiani di Tessalonica, proprio all’inizio della sua prima lettera, appena proclamata, che costituisce, in assoluto, il primo scritto del Nuovo Testamento: “Abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il Vangelo di Dio in mezzo a tante lotte.. lo annunciamo non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio.. pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo.. siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. Così affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari” (1 Ts 2, 2-8).

In mezzo a prove di ogni specie,  S. Zeno ha trasmesso il Vangelo con tale vigore e con tale dedizione materna da essere considerato praticamente il fondatore della fede genuina a Verona, e, di conseguenza, l’impiantatore di quella civiltà cristiana che sta alla radice della civiltà, alta, umana che connota il passato di Verona, fino ad oggi.

Noi, comunità di Verona, civile ed ecclesiale, ne siamo gli eredi. A noi la responsabilità di renderne attuale il compito e la missione. Il compito che ci attende, nella distinzione e nell’integrazione delle competenze, ha il valore e la pregnanza di una vera missione storica. A cominciare dal compito-missione di educare le generazioni dei giovani.

Il nobile e urgente compito dell’educazione

Viene spontaneo chiedersi: a chi compete di fatto l’educazione e quali sono le condizioni previe per una efficace azione educativa?

Non esitiamo ad affermare che compete a tutte le istituzioni a servizio delle giovani generazioni, in generale al mondo degli adulti. Tale coscienza sospinge tutti gli adulti a non imboscarsi nella latitanza, ma a lasciarsi convertire ogni giorno al loro incombente, e non eludibile e delegabile, compito educativo, come atto di accoglienza e di amore vero verso quei giovani che appunto gli adulti hanno chiamato al banchetto della vita umana. Di conseguenza, gli adulti si sentono responsabilizzati ad essere, con la trasmissione dei valori perenni e con la testimonianza, maestri di vita e profeti di futuro significativo. Tra gli adulti, non ci sono dubbi, in primo luogo i genitori, con i quali tutte le istituzioni educative, scolastiche o parrocchiali pastorali, o organizzative ludiche, non possono esimersi dall’entrare in collaborazione. Qualora venissero a meno la passione e la dedizione educativa, sinergicamente attuata attorno alla primaria competenza dei genitori, è compromesso l’oggi e il domani del vivere civile. Rinunciare ad educare è rinunciare ad amare. E da questo punto di vista verrebbe da dire, sperando di essere smentiti, che i giovani di oggi sono molto, troppo, accontentati ma poco amati.

Compete infatti ai genitori, primi e insostituibili educatori dei figli, contribuire a portare a compimento la vita che hanno trasmesso, consegnando ai figli quanto di più prezioso serve per una crescita armoniosa, non capricciosa, verso la maturità della loro persona. E poiché non tutto ciò di cui ha bisogno un figlio è a disposizione della sua famiglia, la famiglia tende la mano ad istituzioni che siano in grado di assolvere alla loro richiesta di integrazione.

L’apporto educativo della scuola

Tra gli apporti, di carattere istituzionale, un posto specialissimo lo riveste la scuola che ha esattamente il compito di trasmettere sapere, cioè di istruire al passo con i tempi della cultura, e di educare al vivere civile interpretato in modo straordinario dai valori contenuti nella Costituzione.

Senza esitazione potremmo definire la scuola di ogni ordine e grado un prezioso e insostituibile servizio alla crescita globale e armoniosa delle generazioni dei giovani, e dunque a servizio delle attese dei genitori. Il riferimento è esplicitamente rivolto a tutte le scuole, in quanto istituzione votata alla istruzione e alla educazione.

Di conseguenza, non ne assolutizziamo nessuna e neppure non ne deprezziamo nessuna. Il valore di ciascuna dipende dalla sua capacità di essere a servizio dei due obiettivi esposti. Ci sia pertanto consentito in questa circostanza patronale esprimere da parte di tutta la cittadinanza, qui rappresentata nelle sue più alte cariche, la stima verso tutti i dirigenti e i docenti che con forte senso di responsabilità sono impegnati nella scuola su questo duplice fronte. Onore a tutti loro. Vorremmo poter dire che lo sono tutti. Sia quanti operano nelle scuole cosiddette “statali” sia quanti operano nelle cosiddette scuole “paritarie”, che qualcuno si ostina a definire, in modo scorretto, “private”.

La specificità della scuola cattolica

Tra le scuole paritarie un posto di assoluto rilievo va riconosciuto e riservato alle scuole cattoliche, che non sono meno scuole perché cattoliche, né debbono mai essere meno cattoliche perché scuole. È vero che l’istituzione scolastica appartiene alle realtà laiche, poste cioè a servizio della cittadinanza nei suoi aspetti di umanità e di relazionalità sociale, che non vanno alterate nella loro natura da una qualsiasi confessionalità. Tuttavia, proprio l’essere connotate dalla qualificazione di “cattoliche” non altera affatto la natura e i fini dell’essere scuola. Ne rispetta le caratteristiche, le riconosce, le valorizza e le rafforza nella coscienza degli studenti e delle loro famiglie. Vi aggiunge invece un tratto qualificante, che trae ispirazione appunto dal patrimonio valoriale del cristianesimo, o, per dirla con l’apostolo Paolo, dalla trasmissione del Vangelo di Gesù: chi frequenta una scuola cattolica, in coerenza con il dettato epistemologico del proprio progetto formativo che indirizza lo sguardo su Gesù Cristo, “l’Uomo perfetto” (cfr GS 41) come punto di riferimento modellare, viene educato ad essere un onesto cittadino, per dirla con don Bosco, che sa assumersi le proprie responsabilità civili, conseguenti alle competenze acquisite, in nome della coerenza con il proprio essere cristiano. Senza con ciò manifestare giudizi sulla scuola statale, con la quale invece è quanto mai opportuno che la scuola cattolica nelle sue poliedriche espressioni si metta a confronto, mai in contrapposizione, per riceverne stimoli emulativi e per offrire belle e significative testimonianze di passione per la scuola e i suoi obiettivi e di forte senso di solidarietà con tutti i propri coetanei.

Scuole cattoliche a servizio del sociale, grazie al principio della sussidiarietà

Appare così in tutta la sua anacronistica assurdità la contrapposizione tra scuola di stato e scuola paritaria cattolica, come se la scuola paritaria cattolica fosse da considerare scuola di serie scadente o riservata per élite. Mi pare che, con grande onestà intellettuale si possano riconoscere benemerenze di grande spessore alle scuole cattoliche, che nel Veneto almeno hanno una lunga e gloriosa storia, un profondo radicamento e una vasta e capillare presenza sul territorio. È una scuola voluta dai genitori per i propri figli, da loro scelta con determinazione.

Ora, se, come è noto, in un regime democratico la libertà di scelta, non penalizzata, è qualificante, anche la scelta della scuola con i suoi indirizzi formativi è diritto e competenza dei genitori, in accordo con i figli, in quanto vi riconoscono la loro continuità educativa valoriale culturale.

Mi sia consentito di aggiungere una precisazione, sulla quale forse non sarebbe inut
ile un proficuo confronto, pacato e prospettico: la scuola cattolica sta attuando quel principio della sussidiarietà che tanto è evidenziato dalla Dottrina sociale della Chiesa e che potrebbe costituire la password per la soluzione di nodose problematiche anche economiche, facendo risparmiare notevoli capitali alla comunità nazionale. Intendo dire che la scuola cattolica, attenta e sensibile al sociale, fa leva proprio sulle risorse insite nel sociale, nella fattispecie nel sociale familiare. Anche da questo punto di vista la scuola cattolica nel suo insieme si presenta come un sistema virtuoso del senso della responsabilità educativa in quanto le famiglie sono disposte a contribuire economicamente, spesso a denti stretti, pur di far accedere i figli ad un habitat educativo con una marcia in più.

Molti genitori non esitano ad affrontare grossi sacrifici per garantire una scuola, come quella cattolica, che dia continuità alla educazione impartita in famiglia. Senza spirito rivendicativo, ma solo appellandosi al senso democratico del nostro sistema politico, di cui sono cittadini come tutti, chiedono tuttavia alle istituzioni statali quel tipo di intervento che risulti integrativo rispetto alle loro reali possibilità contributive.

Non si capisce allora perché l’argomento del sostegno sussidiario alle scuole cattoliche sia un tabù. È come un nervo scoperto. Il tema va affrontato in termini dialogici da confronto civile, pacato e propositivo. Non si chiede di arricchire la scuola cattolica che è no profit, ma di farla sopravvivere.

L’equità, riconosciuta dalla Costituzione, esige infatti che tutti i cittadini siano posti nella medesima condizione di opportunità. Di conseguenza, non vanno considerati rubati alle scuole statali i soldi erogati alle scuole cattoliche: vorremmo dirlo con delicatezza e fermezza anche ai cortei di studenti strumentalizzati da frange ideologiche di sapore ottocentesco. Gli studenti delle scuole cattoliche non sono estranei, marziani per così dire; sono connazionali, compagni di cordata nel vivere sociale, soggetti dei medesimi diritti e doveri di tutti e destinati a prepararsi ottimamente ad assumersi le proprie responsabilità, civili e professionali, nella medesima società civile, carichi di quella educazione integrale che li responsabilizza ulteriormente.

Si obietta giustamente che oggi soldi non ce ne sono per nessuno e che tutti debbono accettare i tagli resi necessari per non far affondare la nazione nella bancarotta. Senza arrogarmi il diritto di una valutazione sull’oggi della gestione delle risorse economiche pubbliche locali, regionali e nazionali, che non mi compete, mi permetto di suggerire come criterio da buon senso, capace di preveggenza, quello di operare più per potature mirate che per tagli indiscriminati, al fine di eliminare sprechi e parassitismi vari, ma di non recidere i rami più fruttiferi, specialmente in campo sociale. Questo criterio consentirebbe, nel caso specifico, di far sopravvivere le scuole cattoliche che ne hanno i requisiti, a beneficio dell’intera cittadinanza. Ovviamente, previ accertamenti adeguati sulla sua gestione responsabile e sapiente. Nessuna scuola cattolica di valore sia fatta morire per asfissia, cioè per progressiva sottrazione di ossigeno. Costituirebbe un impoverimento per tutta la società.

Analogamente dovremmo dire nei confronti delle istituzioni socio sanitarie, interamente finalizzate al bene della società, garanti di consistenti risparmi delle risorse dello stato. Ma, non di meno, ci riferiamo anche a tutte le realtà al servizio dei diversamente abili, di qualsiasi associazione solidaristica, di ispirazione cattolica o no. Il principio della sussidiarietà di uno stato alla società più che della società allo stato potrebbe diventare un vero e promettente volano delle dinamiche delle relazioni sociali e della stessa economia. E andrebbe opportunamente applicato anche alle famiglie, messe nella condizione di auto provvedersi, ma cui assicurare una sussidiazione idonea in caso di aporia, di reale difficoltà economica. E, infine, alle piccole imprese di carattere familiare, che sono l’asse portante della nostra economia veneta. Se ne potrebbe utilmente discutere.

Il comune patrono, S. Zeno, propizi comunque un agire convergente delle istituzioni civili e di quelle religiose, finalizzate, come sono per natura, da angolature differenti, all’integrità del bene comune, cioè del bene essere materiale e spirituale della nostra gente, su cui aleggia benedicente la protezione del santo patrono Zeno.

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ZENIT Staff

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