La sentenza Lautsi si allarga a tutta l'Europa

La simbologia religiosa davanti alla Corte costituzionale spagnola

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di Santiago Cañamares Arribas*

ROMA, mercoledì, 25 maggio 2011 (ZENIT.org).-Qualche mese fa, il plenum della Corte di Strasburgo ha riconosciuto, con la sentenza sul caso Lautsi contro Italia, che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche non è contraria al diritto alla libertà religiosa degli alunni, né al diritto dei genitori a scegliere l’educazione per i propri figli. Ha dato così sostegno alla decisione dello Stato italiano di mantenere i crocifissi negli istituti di istruzione poiché il crocifisso, oltre ad essere un simbolo religioso, costituisce un simbolo dei principi e dei valori fondanti della civiltà occidentale.

Le conseguenze del pronunciamento di Strasburgo si sono estese, sin dal primo momento, oltre l’ambito scolastico e anche oltre i confini nazionali. In effetti, se la Corte europea ha affermato che la presenza del crocifisso nell’ambito educativo – dove tradizionalmente i tribunali sono prudenti in quanto si tratta della formazione dei minori – non viola i diritti fondamentali degli alunni o dei genitori, obiezioni ancora minori potranno essere addotte per impedire la presenza dei simboli religiosi al di fuori di quell’ambito concreto (per esempio in parchi, edifici pubblici, ecc.) dove i condizionamenti sono molto minori ed è più difficile, pertanto, ledere i diritti fondamentali.

La sentenza Lautsi oltrepassa anche le frontiere perché sebbene la sentenza vincoli direttamente l’Italia, è fuor di dubbio che nel quadro degli ordinamenti giuridici europei possiede un alto valore interpretativo. Non si dimentichi che le costituzioni dei Paesi dell’orbita della Convenzione europea devono essere interpretate in linea con i pronunciamenti della Corte europea dei diritti umani.

La prima corte costituzionale europea che ha messo in pratica la dottrina stabilita da Strasburgo è stata quella spagnola, quando ha dovuto decidere su un ricorso presentato da un avvocato dell’Ordine degli avvocati di Siviglia, secondo cui la designazione dell’Immacolata Concezione come patrona dello stesso Ordine violerebbe la sua libertà religiosa e attenterebbe alla neutralità religiosa dei poteri pubblici.

La Corte spagnola, nella sentenza del 28 marzo 2011, ha precisato che il diritto alla libertà religiosa opera contro violazioni effettive, non contro ciò che semplicemente ci è sgradito o che non condividiamo. Ha quindi respinto il ricorso, in quanto non ha ritenuto convincenti le argomentazioni poste dall’avvocato sull’entità della presunta violazione della sua libertà religiosa conseguente alla designazione della Immacolata Concezione come patrona dell’Ordine.

Del resto, seguendo la dottrina di Strasburgo si afferma che i simboli religiosi – e in particolare quelli che hanno subito un forte processo di secolarizzazione – sono scarsamente idonei a incidere in senso restrittivo sulla libertà religiosa, ovvero a influenzare il processo di acquisizione, perdita o sostituzione delle credenze religiose, o a condizionare la libera espressione o non espressione, in parole o opere, di tali credenze o dell’assenza di credenze.

La sentenza respinge inoltre l’argomento secondo cui il patrocinio e i simboli religiosi risultino sempre contrari alla neutralità religiosa dei pubblici poteri. La Corte afferma che quando una religione è maggioritaria in una società, i suoi simboli ne condividono anche la sua politica e cultura. Per questo non è sufficiente contestare l’origine religioso di un simbolo per considerarlo contrario alla neutralità religiosa. Piuttosto bisognerà chiarire se, attraverso il suo significato, i poteri pubblici stiano trasmettendo un messaggio di adesione alla confessione religiosa rappresentata.

Questa constatazione oggettiva deve essere ribadita, a fronte delle valutazioni individuali, poiché non è sufficiente l’attribuzione a un simbolo di un significato incompatibile con la neutralità religiosa, da parte di chi ne chiede la soppressione. La percezione soggettiva non può prevalere sulla percezione comunemente accettata, poiché ciò implicherebbe uno svuotamento del significato dei simboli, che è sempre sociale.

Alla luce di questo caso, come era prevedibile, sembra che la dottrina della Corte di Strasburgo stia trovando rapidamente accoglienza nei tribunali degli Stati del Consiglio d’Europa. Le loro decisioni dovranno, a mio avviso, tenere sempre conto che le controversie relative alla presenza della religione nello spazio pubblico devono essere risolte distinguendo tra le minacce reali e i meri sospetti.

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* Santiago Cañamares Arribas è professore ordinario della Facoltà di diritto dell’Università Complutense di Madrid.

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ZENIT Staff

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