di Paul De Maeyer
ROMA, venerdì, 20 maggio 2011 (ZENIT.org).-Appartenere ad una minoranza religiosa, ad esempio quella cristiana, inoltre essere di sesso femminile e magari ambire ad una carriera lavorativa. Purtroppo, nel Pakistan di oggi non è per nulla una combinazione felice. Lo dimostra la storia della ventiquattrenne Farah Hatim, di Rahim Yar Khan, il capoluogo dell’omonimo distretto nel sud-est della provincia del Punjab. La giovane donna, che frequentava un corso per diventare infermiera professionale presso lo Sheikh Zaid Medical College della sua città e stava facendo un periodo di tirocinio presso il reparto di ortopedia, è stata rapita infatti la mattina di domenica 8 maggio mentre si stava recando al suo posto di lavoro.
Come riferiscono le fonti, in particolare AsiaNews (12 maggio) e Spero News (14 maggio), a rapire la futura infermiera è stato Zeeshan Iliyas, un giovane musulmano che lavora come fattorino presso un’agenzia della United Bank Limited della città. Aiutato dai suoi fratelli Gulfam ed Imram, l’uomo, che in passato aveva già infastidito e minacciato la Hatim, ha costretto la giovane a convertirsi all’islam e a sposarlo.
A rendere la vicenda ancora più drammatica è la solita indifferenza e connivenza della polizia e delle autorità. Quando accompagnata dai suoi altri figli – due maschi e quattro femmine -, la madre di Farah, Bilquees Marriam, si è recata ad una stazione di polizia per sporgere denuncia, un poliziotto, Nazir Shah, ha strappato infatti la deposizione ed ha chiesto alla famiglia di lasciare l’ufficio e di ritornare a casa, dicendo che non si poteva fare nulla. Solo una massiccia mobilitazione da parte della comunità cristiana ha convinto la polizia ad accettare la denuncia e ad aprire un’inchiesta.
Troppo tardi però. Nel frattempo, i rapitori avevano già costretto l’allieva infermiera a dichiarare davanti ad un giudice la sua avvenuta “conversione” all’islam e il suo “consenso” al matrimonio. Secondo il legale della famiglia della ragazza, Zahid Hussain, l’atto è stato una farsa a causa di grossolani vizi procedurali: non solo il giudice ha omesso di interrogare la donna (di norma questo avviene senza pubblico per verificare se il teste agisca o meno di propria spontanea volontà) ma neppure si è soffermato sul fatto che era ferita. “In questo caso l’aula era piena di persone, che hanno partecipato attivamente al sequestro e all’assalto. Il giudice ha anche ignorato le ferite che la giovane di Farah Hatim”, ha spiegato il legale. “Tutto questo mostra che è stata costretta a fare quelle dichiarazioni” (AsiaNews).
Anche se è scattata una seconda denuncia, tutto lascia pensare che non sarà per nulla facile per la famiglia e la ragazza ottenere giustizia. Come ha dichiarato con amarezza la madre di Farah Hatim, la famiglia di Zeeshan Iliyas “è solita rapire ragazze cristiane e convertirle con la forza” e rimanere impunita perché ha il “sostegno di un parlamentare della zona, esponente del partito di governo” (AsiaNews).
Almeno un’angoscia – così sembra – è stata risparmiata a Farah Hatim: i suoi rapitori non hanno violentato la ventiquattrenne. Purtroppo non mancano i casi di ragazze cristiane (o appartenenti ad altre minoranze religiose, ad esempio quella indù) che inoltre ad essere state sequestrate e forzate a convertirsi all’islam e a sposare un musulmano hanno dovuto subire anche il trauma dello stupro. “Le ragazze cristiane sono le più deboli e vulnerabili, perché le comunità da cui provengono sono povere, indifese, emarginate, dunque facilmente esposte a soprusi e minacce. Spesso non hanno nemmeno il coraggio di denunciare le violenze”, ha spiegato lo scorso mese all’agenzia Fides (13 aprile) una religiosa che si occupa di ragazze riuscite a fuggire ai loro aguzzini. “Ma la tendenza è davvero preoccupante: si registrano centinaia di casi l’anno e quelli che vengono alla luce sono una minima parte”, ha continuato la suora.
A confermare l’emergenza è un rapporto inviato a Fides dal Center for Legal Aid Assistance & Settlement (CLAAS), un’associazione pachistana che offre assistenza legale a cristiani in difficoltà. Uno dei casi menzionati è quello della ragazzina cristiana Sidra Bibi, del distretto di Sheikhupura, sempre nella provincia del Punjab. Un musulmano del villaggio ha iniziato a molestare la figlia quattordicenne di un operaio, per poi sequestrarla e stuprarla sotto minaccia di morte. Rimasta incinta, la ragazza è riuscita a fuggire ed è tornata dalla sua famiglia. Anche in questo caso, la polizia non ha voluto accogliere la denuncia. Del dossier della ragazza si occupa adesso proprio l’organizzazione CLAAS.
La stessa National Human Rights Commission (NHRC) del Pakistan riconosce l’esistenza del fenomeno delle conversioni forzate all’islam ma offre cifre molto più basse. L’organismo parlava l’anno scorso di solo una cinquantina di casi registrati nell’arco di nove anni. Per il segretario della commissione per le Comunicazioni Sociali della Conferenza Episcopale del Pakistan, padre John Shakir Nadeem, la spiegazione per questo numero così basso è semplice: la stessa commissione per i diritti umani del Pakistan subisce le pressioni da parte degli estremisti.
Per descrivere la situazione dei cristiani nel suo Paese, il sacerdote e direttore di Radio Veritas e del Centro televisivo “Rabita Manzil” a Lahore, non ha esitato ad usare parole molto dure. “In alcune aree – così ha raccontato l’anno scorso a Fides (24 marzo 2010) – i credenti sono trattati come bestie, in condizioni di schiavitù, o sottoposti a vessazioni, violenze e conversioni forzate”. Preoccupante è soprattutto la situazione nelle campagne del Pakistan, dove “sparuti gruppi cristiani, spesso poveri, emarginati e analfabeti, subiscono l’oppressione della maggioranza musulmana: sono sotto schiaffo di altri cittadini che ne approfittano per compiere prepotenze, fino allo stupro, alla schiavitù, all’omicidio”.
Infatti, non mancano – purtroppo – neppure i casi in cui ragazze cristiane siano state barbaramente uccise dai loro aguzzini. Un esempio drammatico è quello della giovanissima Lubna Masih, unica figlia di una famiglia cristiana di Dhoke Ellahi Buksh, un quartiere di Rawalpindi. Quando la mattina del 27 settembre scorso la ragazza appena dodicenne esce di casa per comprare il latte, viene fermata e rapita da un gruppetto di cinque giovani musulmani, che la fanno salire su una macchina e la portano nel cimitero locale, dove viene violentata e poi uccisa. Per il dolore e anche la paura, due settimana dopo l’accaduto i genitori della ragazza non avevano avuto neanche il coraggio di sporgere denuncia. “Pensano solo ad abbandonare la città e rifarsi una vita altrove”, hanno riferito fonti dell’agenzia Fides (13 ottobre 2010).
Una categoria particolarmente a rischio sono le ragazze cristiane che lavorano come domestiche per famiglie musulmane. Subiscono violenze di ogni genere, da quelle fisiche e psicologiche a quelle sessuali. “In alcuni casi i loro padroni le danno in sposa a domestici musulmani, obbligandole a convertirsi all’islam”, così ha raccontato l’anno scorso il coordinatore di Sharing Life Ministry Pakistan (una ONG protestante), Sohail Johnson (AsiaNews, 25 gennaio 2010). I brutali assassinii di Kiran George, la giovane domestica cristiana cosparsa di benzina e bruciata viva proprio perché voleva denunciare uno stupro da parte del figlio del suo padrone musulmano, e di Shazia Bashir, la dodicenne domestica torturata e uccisa dal padrone musulmano, sono solo alcuni tragici esempi della prepotenza, dell’impunità e soprattutto della delinquenziale e letale intolleranza nei confronti dei cristiani che vivono nel Paese asiatico.