di Paul De Maeyer
ROMA, lunedì, 9 maggio 2011 (ZENIT.org).- Una nuova ondata di violenza interreligiosa in Egitto si è conclusa con un drammatico bilancio di sangue. Secondo l’agenzia AINA (Assyrian International News Agency, 8 maggio), almeno 12 copti sono morti ed altri 232 sono rimasti feriti nell’assalto sferrato nel tardo pomeriggio di sabato 7 maggio da alcune centinaia di manifestanti salafiti – una corrente musulmana fondamentalista – contro la chiesa copta di San Mina, situata nel quartiere di Imbaba, nella periferia nordoccidentale della capitale Il Cairo.
I dimostranti musulmani avevano chiesto a gran voce la liberazione di una presunta convertita all’islam – una giovane ragazza chiamata Abir, così rivela AINA -, che secondo loro sarebbe tenuta prigioniera nel complesso della chiesa, un fatto negato d’altronde dallo stesso governatore della provincia di Giza e da padre Yohanna Mansour, della diocesi copta di Giza. Dopo le iniziali aggressioni verbali, la situazione è velocemente precipitata e sono iniziate a volare pietre e bottiglie incendiarie. Alla fine sono state impiegate anche armi da fuoco. Nell’attacco sono state danneggiate e date alle fiamme anche alcune case e due altre chiese nel quartiere, fra cui anche una cattolica, come riferisce l’agenzia Fides (9 maggio). “Un gruppo di salafiti è entrato sparando nella chiesa ed ha ucciso il padre di un nostro postulante, che si trova in Uganda”, così ha raccontato a Fides padre Luciano Verdoscia, missionario comboniano.
Secondo quanto riportato dal quotidiano egiziano Al-Ahram (8 maggio), gli incidenti si sono prodotti solo poche ore dopo l’apparizione su un canale televisivo cristiano con sede a Cipro – Hayat Christian TV – di un’altra nota presunta convertita all’islam, Camelia Shehata Zakher. La donna, moglie di un sacerdote copto, che assieme con un’altra nota “convertita”, Wafa’ Costantine, è da mesi al centro di un’aspra polemica fra la comunità musulmana e quella copta, ha respinto le voci su una sua conversione all’islam. In una videoregistrazione disponibile su YouTube [1], la venticinquenne sostiene di appartenere alla Chiesa copta e nega inoltre di essere stata torturata, come sostenevano certi gruppi musulmani. “Sono cristiana per una scelta mia personale”, così ha ribadito la donna, che si è dichiarata inoltre “affezionata alla Chiesa”.
Ciononostante, la storia della “conversione” di Shehata e Wafa’ Constantine – dichiarata “completamente falsa” da vari esponenti cristiani, fra cui l’islamologo e gesuita Samir Khalil Samir (AsiaNews, 3 gennaio) – continua ad avvelenare i rapporti tra le due comunità e ad essere la causa di spargimento di sangue. Basta pensare all’attacco terroristico contro la cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso nella capitale irachena Bagdad, in cui il 31 ottobre 2010 sono morte più di 50 persone, e all’attentato suicida del 1° gennaio scorso ad Alessandria d’Egitto, che ha provocato più di 20 vittime cristiane.
Nel tentativo di farsi strada nell’Egitto “post-Mubarak”, il movimento conservatore dei salafiti cerca di trarre il maggior profitto possibile dalla questione dei presunti convertiti. Mentre prima infatti si sentiva parlare poco dei salafiti, è dopo la caduta del presidente Hosni Mubarak, avvenuta l’11 febbraio scorso, che sono diventati “molto attivi”. Come ricorda Al-Ahram, il gruppo fondamentalista ha cercato ad esempio di prendere il controllo di una delle moschee più grandi della capitale, la Moschea Nour (o Noor). Ad impedirlo sono stati i militari, che hanno provveduto a ristabilire l’ordine.
E mentre nelle scorse settimane gruppi o elementi salafiti hanno sferrato vari attacchi contro chiese copte, mercoledì 30 marzo durante un “sit-in” davanti agli uffici del Consiglio di Stato nel cuore del Cairo è stata lanciata anche un’alleanza a sostegno dei “nuovi musulmani”, la Coalition for the Support New Muslims. Secondo i responsabili, sarebbero quasi 70 i convertiti all’islam tenuti sequestrati dai copti (ZENIT, 14 aprile 2011).
In perfetto tempismo con la Pasqua cristiana, i salafiti hanno annunciato il loro “programma” in dieci punti o “richieste” nei confronti della Chiesa copta durante una manifestazione svoltasi domenica 25 aprile davanti alla moschea El Kayed Ibrahim di Alessandria. Tra le varie richieste c’è “il processo a Papa Shenouda”, “il rilascio di Shehata e Wafa’ Constantine” e “l’ispezione dei monasteri e delle chiese per cercare donne musulmane tenute prigioniere dalla Chiesa” (AINA, 30 aprile).
Alcuni testimoni hanno raccontato che nell’attacco di questo sabato alcuni salafiti erano vestiti secondo lo stile talebano. Secondo un residente del quartiere di Imbaba, Saber Loutfi, che ha parlato con Coptic Free Voice, i responsabili appartengono “ai 3mila jihadisti ritornati di recente dall’Afghanistan” (AINA, 8 maggio). Ad alimentare l’estremismo è anche la povertà, come ha spiegato sempre a Fides padre Verdoscia. “Il quartiere di Imbaba è un’area povera e il fanatismo prospera dove regnano l’ignoranza e la povertà”, ha detto. “I salafiti sono un gruppo che non è maggioritario, ma che si fa sentire, anche con azioni violente”.
Il bagno di sangue nel quartiere di Imbaba ha messo in allerta il governo del primo ministro Essam Sharaf, il quale ha rimandato una visita nel Bahrein e negli Emirati Arabi Uniti ed ha convocato una riunione di emergenza del suo gabinetto per discutere la situazione. Dal canto suo, il ministro della Giustizia, Abdel Aziz al-Gindi, ha avvertito che il governo utilizzerà il “pugno di ferro” contro chi minaccia la sicurezza del Paese (BBC, 9 maggio). Anche i militari sembrano decisi a non lasciar correre. “Il Supremo Consiglio Militare – così si legge sulla pagina di Facebook dell’organismo – ha deciso di rinviare tutte le persone arrestate dopo gli eventi di ieri (sabato), cioè 190, alla Suprema Corte Militare” (BBC, 8 maggio).
Anche il Gran Mufti d’Egitto, il professor Ali Gomaa, è intervenuto esortando tutti gli egiziani a “stare fianco a fianco per prevenire gli scontri” (Reuters, 8 maggio). Netta è stata inoltre la reazione di Essam El-Erian. “Servirebbe un giro di vite contro questa violenza, non dovremmo permettere a questa gente di rovinare quello che abbiamo realizzato nella Rivoluzione di gennaio”, ha detto il portavoce dei Fratelli Musulmani (Al-Ahram). “L’incidente di Imbaba dimostra chiaramente che alcune persone continuano ad agire dietro le quinte per infiammare i conflitti settari”, ha dichiarato El-Erian, alludendo al partito dell’ex uomo forte dell’Egitto, il National Democratic Party (NDP). Secondo i media egiziani, sarebbe in atto una “controrivoluzione”, organizzata da rimasugli della formazione politica disciolta ufficialmente dalla giustizia egiziana il 16 aprile scorso.
Neppure il vescovo di Giza, Anba Theodosius, ha dubbi. “Queste cose sono pianificate”, ha dichiarato con amarezza (AINA, 8 maggio). “Non abbiamo legge né sicurezza, siamo in una giungla. Siamo in uno stato di caos. Una diceria brucia tutta l’area. Ogni giorno è una catastrofe”, ha continuato il presule, che non tende però minimamente a cedere agli estremisti. “Non lasceremo mai il nostro paese”, ha detto seccamente.
Per padre Verdoscia, urge un ripensamento nell’islam. “A mio avviso – ha detto a Fides – è l’islam che deve evolversi. Spero che i musulmani moderati possano distanziarsi da determinate letture dell’islam”. Secondo il comboniano, da anni attivo in Egitto, “questi omicidi avvengono perché nell’islam quando una categoria di persone sono dichiarate ‘kuffar’ (infedeli), queste possono essere uccise e private di tutte le loro proprietà. Le interpretazioni di questo tipo devono essere riviste dagli stessi islamici”.
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