Il cristianesimo e la difesa del bello, del vero e del buono

Un libro della Pannuti in difesa delle immagini sacre

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Antonio Gaspari
 

ROMA, lunedì, 9 maggio 2011 (ZENIT.org).- Le immagini sono al centro dei pensieri e dei progetti culturali e comunicativi dei tempi che viviamo. Non c’è mai stata nella storia un’epoca in cui si è fatto tanto uso delle immagini.

Sorge però il problema sul loro utilizzo, perché se usate per fini utilitaristici ed egoistici potrebbero confondere l’uomo fino a perderlo, piuttosto che farlo progredire e salvarlo.

Ma come si fa a distinguere tra un fine buono piuttosto e une fine riduzionista e meschino? E’ anche per rispondere a questa domanda che Francesca Pannuti ha scritto per le edizioni Fede & Cultura il libro “La difesa delle immagini tra ragione e Fede”.

Nel volume l’autrice ricorda la denuncia fatta dal Cardinale Joseph Ratzinger contro una cultura iconoclasta, la quale, pur accettando di essere invasa da immagini di ogni genere, ha spesso perso il gusto per l’immagine bella e significativa, dalla sfera artistica a quella letteraria, in particolare nell’ambito del sacro.

Per approfondire un tema di così grande attualità, ZENIT ha intervistato la Pannuti, laureata in Filosofia e autrice di diversi saggi.

Perché le immagini sono da difendere e quali immagini lei intende difendere?

Pannuti: Joseph Ratzinger, nel suo “Introduzione allo spirito della liturgia”, denuncia il declino culturale e religioso seguito all’Illuminismo, foriero di un “nuovo iconoclasmo”, in cui «noi, oggi, non sperimentiamo solo una crisi dell’arte sacra, ma una crisi dell’arte in quanto tale, e con un’intensità finora sconosciuta. La crisi dell’arte è un altro sintomo della crisi dell’umanità. […]. Questa situazione può essere certamente definita come un accecamento dello spirito» (p. 126). Tale condizione colpisce sia l’immagine pittorica che quella letteraria, sia sacra che profana, fino a toccare le più intime fibre della nostra spiritualità, laddove ci si forma una qualche rappresentazione di Dio e del nostro rapporto con Lui.

Se nell’arte sacra sempre più spesso la figura umana appare disgregata in un’accentuazione esasperata di colorazioni sgargianti, nella teologia e nell’esegesi biblica si verifica un processo paradossale. Da un lato, spesso si avverte una certa insofferenza per le forti immagini scritturistiche e si cade in una predicazione dai toni moralistici, d’altro lato, a motivo dell’influenza delle impostazioni fenomenologiche ed esistenzialiste, ossia immanentiste, si vorrebbe superare il pensiero e il linguaggio metafisici, considerati astratti e obbiettivanti, mediante un linguaggio poetico che renda possibile l’“apertura” ad un’ulteriorità che pare attingibile solo in una sfera preconcettuale, vale a dire attraverso il simbolo.

Si finisce però per l’allontanare sempre di più il divino in un indefinito “totalmente Altro”, inattingibile dalla nostra ragione, e per esaltare in modo indebito il simbolo, non comprendendo che dove tutto è simbolo anche l’immagine significativa finisce per perdere valore come nel caso del processo di demitizzazione. I miti antichi, ormai considerati desueti e inadatti alla mentalità moderna, verranno, in tal modo, sostituiti con nuovi miti: Jung rispose all’accusa di aver “psicologizzato” il cristianesimo, affermando che “la psicologia è il mito moderno e che la fede si può comprendere solo mediante tale mito”. Per fare ciò occorre mettere in discussione, come denunciato dall’enciclica Pascendi Dominici gregis, l’ispirazione divina delle Scritture. Pertanto, credo che sia urgente ricuperare il vero valore dell’“immagine” in quanto tale, rifacendoci anche a quanto san Tommaso afferma: «l’autore della sacra Scrittura è Dio, il quale ha potere non solo di applicare le voci a significare qualcosa (cosa che può fare anche l’uomo), ma anche le cose stesse» (Summa Theologica, I, q. I, a. 10, co.). E’ su questo che si fonda l’interpretazione spirituale oltre che letterale della Bibbia, la quale ci permette di leggere con gli occhi dell’anima il messaggio di Amore e salvezza di Dio.

Il cristianesimo si distingue nella storia per aver difeso fin dal primo Concilio le immagine sacre. Perché?

Pannuti: «Il secondo concilio di Nicea – afferma ancora Ratzinger – e tutti i sinodi posteriori che hanno trattato delle icone vedono nell’icona una professione di fede nell’Incarnazione e considerano l’iconoclasmo come una negazione dell’Incarnazione, come la somma di tutte le eresie». Il rifiuto dell’immagine si oppone all’uomo come immagine di Dio creatore e al Figlio come immagine perfettissima del Padre. La diffidenza gnostica nei confronti della creazione si estende, anche in questo ambito, alla corporeità e all’Incarnazione. Invece in una corretta visione cristiana, «il Figlio di Dio poté incarnarsi nell’uomo, perché l’uomo era già stato pensato in sua funzione, come immagine di Colui che è, a sua volta, icona di Dio – continua Ratzinger -. […] Proprio allora diventa chiaro che i sensi appartengono alla fede, che il nuovo modo di vedere non li sopprime, ma li porta alla destinazione originaria. L’iconoclasmo si poggia ultimamente su una teologia unilateralmente apofatica, che conosce solo il totalmente ― altro di Dio, che è al di là di tutti i pensieri e di tutte le parole, così che, alla fine, anche la rivelazione è vista come il riflesso umanamente insufficiente di Colui che resta sempre inafferrabile. Allora la fede viene meno. La nostra forma contemporanea di sensibilità, che non riesce più a cogliere la trasparenza dello Spirito nei sensi, porta quasi necessariamente alla fuga nella teologia puramente “negativa” (apofatica): Dio è al di là di ogni pensiero, e per questo tutto ciò che possiamo dire di Lui e tutte le forme delle immagini di Dio sono allo stesso tempo valide e indifferenti. Questa umiltà apparentemente profondissima di fronte a Dio diventa, già di per se stessa, superbia che non lascia più la parola a Dio e che non gli concede di potersi fare realmente presenza nella storia. Da una parte si assolutizza la materia e, al stesso tempo, la si dichiara impermeabile per Dio, materia pura, privandola così della sua dignità» (pp. 119, 120).

Un’altra caratteristica della religione cristiana è quella di proporre la via Pulchritudinis, ovvero la ricerca di Dio attraverso la bellezza. E’ questo che lei intende spiegare nel suo libro?

Pannuti: Se torniamo a considerare che il vero, il bello e il bene non sono schemi della nostra mente, bensì attributi dell’ente, del reale, ricominceremo ad aprire il nostro pensiero alla contemplazione del creato, che rimanda, attraverso il vestigio e l’immagine, al Pulcherrimus, al Bello per eccellenza, Dio. «Questa affinità, questa sintonia tra percorso di fede e itinerario artistico, – dice Benedetto XVI nel Discorso agli artisti del 21 novembre 2009 – l’attesta un incalcolabile numero di opere d’arte che hanno come protagonisti i personaggi, le storie, i simboli di quell’immenso deposito di “figure” – in senso lato – che è la Bibbia, la Sacra Scrittura. Le grandi narrazioni bibliche, i temi, le immagini, le parabole hanno ispirato innumerevoli capolavori in ogni settore delle arti, […]. Si parla, in proposito, di una via pulchritudinis, una via della bellezza che costituisce al tempo stesso un percorso artistico, estetico, e un itinerario di fede, di ricerca teologica».

Nel libro lei propone il sapiente uso delle immagini, proposto da sant’Antonio di Padova. Può spiegarci di che cosa si tratta?

Pannuti: Il Santo dei miracoli, facendo della penitenza, del sacramento della Confessione il centro della sua predicazione, ha riempito le piazze, diffondendo una dottrina rigorosa, solidissima, in mezzo alle insidie tese dai catari. Egli, che conosceva a memoria le Scritture, l’ha presentata proponendo le imm
agini bibliche, ben interpretate, e senza depauperarle della loro “fisicità”, stabilendo arditissimi collegamenti tra immagini simili tratte da contesti molto diversi. L’efficacia di tale predicazione fu di aver consolidato una fede vissuta e di aver affascinato i cuori con la Bellezza della Verità e la dolcezza della misericordia divina.

Come fare per contrastare il relativismo moderno in cui la Bellezza viene distorta svilita, mercificata, deificata?

Pannuti: San Bonaventura nel suo Lignum vitae afferma: “l’immaginazione aiuta l’intelligenza”. Sull’esempio dei grandi Dottori medievali, occorre, nel recupero della metafisica dell’essere, ridare respiro e ampiezza al pensare, così che esso sia nuovamente in grado di volgersi al Suo oggetto proprio, il Vero, tanto strettamente unito al Bello e al Bene, in un saldo e ben ordinato rapporto con l’affettività e l’immaginazione. Queste ultime, se correttamente individuate nelle loro caratteristiche e funzionalità proprie, potranno fornire grande slancio alla ragione, come pure alla Fede, e infine ad un’arte rinnovata, a condizione che tutto ciò sia solidamente ancorato al Lógos creatore, fatto Uomo. In tal modo, potremo ricuperare speranza verso il futuro, fiducia nelle nostre capacità e nell’Amore di Dio.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione