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«Penso all’africana Giuseppina Bakhita [… che] venne a conoscere un “padrone” totalmente diverso – nel dialetto veneziano, che aveva imparato, chiamava “paron” il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo. […] Non era disposta a farsi separare dal suo “Paron”. Il 9 gennaio 1890, fu battezzata e ricevette la prima santa Comunione dalle mani del Patriarca di Venezia»[1]. Con queste espressioni della sua seconda Lettera enciclica Spe salvi il Santo Padre Benedetto XVI ha fatto chiaramente intuire che conosce bene e fin nei minimi dettagli le Città di Aquileia e di Venezia che si appresta a visitare nei prossimi giorni 7 e 8 Maggio 2011. Ci viene spontaneo pensare che non sia la prima volta che Joseph Ratzinger visiti il Capoluogo lagunare, né forse, la Città di Cromazio di Aquileia (388-408). Tuttavia, è certamente la prima volta che compie questa visita in qualità di successore del pescatore di Galilea e di vescovo di Roma. La sua visita, pertanto, riveste un significato del tutto nuovo anche dal punto di vista della teologia, del discorso su Dio. Scopo di questo breve intervento è, appunto, quello di intercettare la novità di questo significato, evidenziando il senso pastorale, ecclesiale e teologico di tale visita, la quale, fin dal suo primo annuncio avvenuto ancora lo scorso anno, ha destato sensibile gioia tra le genti venete, friulane, giuliane, trentine e sudtirolesi. Soprattutto tra i giovani. Chi qui scrive, insegnando a parecchi di loro, ne è diretto testimone.
Per chi crede nulla accade a caso nella storia della salvezzaLa nostra storia è fatta di incontri e di luoghi. Di questi ne è soprattutto intessuta la storia della salvezza[2]. E, in essa, nulla accade insensatamente. Perché incontrando gli altri fratelli nella fede noi, inevitabilmente, incontriamo Gesù. Guarda caso così avvenne anche per Pietro, il pescatore di Galilea, che incontrò Gesù il Cristo verso le quattro del pomeriggio (Gv 1,39), quando, forse, il sole iniziava a colorare d’arancione il tramonto in riva al fiume Giordano, nei pressi di Betania. Fu fissando lo sguardo di Simone, che Gesù gli cambiò il nome in quello di Pietro (Gv 1,42). Iniziava allora tra Pietro e Gesù quel gioco di sguardi che si sarebbe protratto per anni, a tal punto che, come ha mirabilmente evidenziato il teologo protestante Oscar Culmann (1902-1999), il principio di visibilità garantito dal successore di Pietro, ha ancora a che fare con questo intersecarsi della vista tra Colui che è «luce da luce» e la pietra sulla quale è fondata la Chiesa, “luce delle genti”[3].
Nel mondo odierno l’atto di “far visita” non è affatto scontato. Anche se nella Bibbia ebraico-cristiana e perfino nei testi sacri di altre confessioni religiose il mettersi in cammino di alcuni personaggi appare il vettore principale per dare gloria a Dio – la visita di Maria a Elisabetta ne è l’emblema (Lc 1,39-56) – nello scenario tardo moderno, noi non siamo sempre disponibili a visitare gli altri, a spostarci fisicamente. Ecco perché la visita di Benedetto XVI il 7 e l’8 Maggio 2011 alla nostra regione ecclesiastica non è un fatto in sé scontato, né isolato, bensì si colloca in uno scenario di perfetta continuità con i suoi predecessori e nell’interstizio tra il Primo Convegno ecclesiale di Aquileia del 1990 e il prossimo nella Pentecoste del 2012 (13-15 Aprile)[4]. San Pio X (1835-1914), il Beato Giovanni XXIII (1881-1963) e i Servi di Dio Paolo VI (1897-1978) e Giovanni Paolo I (1912-1978) conoscevano bene Venezia: tre perché erano stati Patriarchi prima di essere eletti al soglio pontificio, Paolo VI perché – lo ricordiamo tutti dalle nostre parti – regalò la propria stola petrina all’allora Patriarca Albino Luciani proprio in Piazza San Marco il 16 Settembre 1972, gremita di circa 20.000 fedeli. E lo stesso Beato Giovanni Paolo II (1920-2005) visitò la perla dell’Adriatico nel 1985.
La finalità pastorale della visitaLa visita di Benedetto XVI ha, innanzitutto, un significato pastorale. Principalmente esso si polarizza attorno all’antica Chiesa di Aquileia dove nel IV secolo giunse l’annuncio della fede cristiana attraverso Cromazio. Fondata nel 181 a.C. Aquileia non era una sito in terraferma, bensì una fiorente città portuale romana. Il fatto che fosse un porto non è un elemento secondario, come vedremo tra poco. Nell’era cristiana contava già 200.000 abitanti circa. Era, quindi, la quarta città “italiana” dopo Roma, Milano e Capua. Nel IV secolo d.C. i legami con la chiesa patriarcale di Alessandria d’Egitto erano fitti ed è per questo che il patriarcato di Aquileia, la più grande diocesi e metropolia ecclesiale di tutto il medioevo, seconda in dignità dopo Roma, è verosimilmente un’emanazione della chiesa nordafricana. Da Aquileia, com’è risaputo, la fede cristiana si espanse piano piano nell’area territoriale attualmente circoscrivile attorno alla regione “Alpe-Adria”, cioè dal Danubio, fino all’Istria, dal Balaton fino a Como, comprendendo, ovviamente Carinzia e Stiria. Successivamente il patriarcato di Aquileia fu soppresso proprio 260 anni or sono, nel 1751, trasferendo quel “titolo” di “patriarcato” – ovvero di Chiesa madre per quella zona – gradualmente da Aquileia all’attuale Sede in Venezia, dove è vescovo residenziale un Cardinale di Santa Romana Chiesa.
Questi brevi cenni storici giustificano, pertanto, il motivo per cui Benedetto XVI inizia la sua visita ad Aquileia: è in quell’antico porto che germinò la fede da noi ricevuta per tramite dei nostri genitori e poi impiantatasi nelle varie chiese del Nordest durante i millenni, fino al nostro III millennio appena iniziato. Il dono della continuità della e nella fede non è, comunque, scontato. Altrove in Europa la continuità, laddove prima era unita e una, si è sciolta. Anche se – lo speriamo – non definitivamente. Alla continuità Benedetto XVI – il Papa che fu “perito” durante il Concilio Vaticano II (1962-1965) – legherà certamente la ricchezza nell’approfondimento della Rivelazione[5] che la progressione della storia della salvezza trae seco. Da questa prospettiva, il significato “pastorale” della visita coincide esattamente nel «confermare i fratelli nella fede» (Lc 22,42), garantendo loro che l’una fede di Aquileia è la stessa di oggi. In effetti, tutti abbiamo bisogno di un “testimone”. A dire il vero, talvolta lo confessano con più franchezza i non credenti, i quali dichiarano di vacillare senza il testimone che li rassicuri in ciò che scrivono o insegnano o vivono. E confermando i fratelli nella fede, questa sarà rafforzata.
Il valore ecclesiale della visitaQuesto secondo livello merita qualche parola in più, volta a illuminare il fatto che la visita del Papa si svolga proprio a Venezia. Chi qui scrive ha potuto trascorrere nel Centro storico della Città ben quindici anni della propria esistenza. Come ho avuto modo di scrivere in altre occasioni, Venezia è una Città che per essere capìta deve essere vissuta, abitando fisicamente e dimorando per lunghi periodi in essa. Durante quei miei quindici anni, mi ha sempre fatto riflettere il “dettaglio” storico per cui la Serenissima Città abbia, per così dire, guidato la riforma della Chiesa sia a livello locale, che universale. A livello locale senza dubbio perché le chiese del Nordest italiano hanno assimilato in pieno la vocazione alla missione dell’Evangelista Marco, le cui spoglie sono conservate in quella meravigliosa Basilica Patriarcale a lui dedicata con quattro km quadrati di mosaici unici al mondo. Ancora oggi, come è risaputo, le diocesi e le congregazioni religiose femminili e maschili radicate sul territorio del Nordest pulsano di un cuore missionario, se è vero, come è vero, che ancora 3.471 figli e figli di queste terre – se contiamo solo i veneti – operano “in missione”: si tratta del più alto nu mero, in assoluto, di evangelizzatori italiani operanti fuori dall’Italia[6].
Quando, alla fine degli anni Ottanta, i missionari Cappuccini veneti in Angola rientravano a Venezia e venivano a raccontare, a noi giovani Cappuccini allora studenti di Teologia “al Redentore”, le avventure legate alla gioia dell’annuncio del Vangelo in terre lontane, diventava per me iridescente l’affermazione secondo la quale «la Chiesa è per sua natura missionaria»[7]. Parimenti, e soltanto per fare un altro esempio, quando il Cardinale Angelo Scola, con un impareggiabile gesto di generosità ecclesiale, chiese nel 2007 al giovane ventottenne sacerdote veneziano don Giacomo Basso, un mio ex-Studente di teologia presso lo Studio Teologico affiliato «Laurentianum», sempre “al Redentore”, di recarsi in missione ad Ol Moran (Kenya), nuovamente io capii che «la Chiesa è per sua natura missionaria»[8]. Sì, perché don Giacomo fu uno dei miei migliori studenti diocesani di teologia appartenenti al Patriarcato di Venezia, dall’animo candido, intelligentissimo, umile. Sempre sorridente. E la sua risposta pronta e positiva è stata, per la mia esistenza di consacrato, un’impareggiabile “lezione” di teologia; egli, che scrisse una tesi di teologia su «Gesù Cristo, autore e perfezionatore della nostra fede».
La Serenissima Città, tuttavia, ha impresso un positivo colpo orientativo alla riforma della Chiesa anche a livello universale: in essa si organizzarono linee di riforma morale, funzionali a disciplinare il clero e i laici, e a radicare nella società la presenza capillare della Chiesa, che poté disporre di nuovi Ordini e Congregazioni religiose, espressione di un cattolicesimo positivamente militante[9]. Infatti, quei quindici anni trascorsi a Venezia, come dicevo, mi hanno fatto capire, da questo angolo visuale, parecchie cose. Almeno mi hanno aiutato a rispondere alla domanda di perché così tante congregazioni religiose maschili e femminili fossero sorte proprio a Venezia, veicolando, poi, il loro benefico influsso sull’intera Chiesa universale. L’elenco sarebbe lungo: i Canonici Regolari di San Giorgio in Alga (XIV sec.), i Chierici Regolari Teatini (XVI sec.), i Chierici Regolari di Somasca (sec. XVI) e, più tardi, la Congregazione dei Padri Cavanis (XIX) e quella femminile delle Figlie di San Giuseppe ad opera di Mons. Luigi Caburlotto (sec. XIX). Ebbene, io credo che tutto ciò sia (stato) possibile per una sinergia di tre fattori simultaneamente presenti a Venezia: il silenzio inconcusso presente nei conventi sparsi per le isole, la fede della popolazione, l’immenso patrimonio librario di cui la Repubblica aveva dotato la Città stampando le prime Bibbie cristiane in Europa. Ora se recentemente Benedetto XVI ha voluto inequivocabilmente affermare che «la vita consacrata come tale ha avuto origine con il Signore stesso che scelse per sé questa forma di vita verginale, povera e obbediente», nella stessa occasione, parlando del rapporto tra chiesa particolare e quella universale aveva pure annotato che «la giusta relazione fra “universale” e “particolare” si verifica non quando l’universale retrocede di fronte al particolare, ma quando il particolare si apre all’universale e si lascia attrarre e valorizzare da esso»[10]. La sintassi di questa proposizione brilla al teologo in tutta la sua profonda perspicuità. A questo proposito è, infatti, verosimile che il Pontefice possa tenere in considerazione il primo “progetto pilota” partito proprio dalle chiese del Nordest, il quale assimila al meglio il dialogo tra vescovi e religiose e religiosi per un più adeguato servizio alla Chiesa di oggi sul territorio, ma anche finalizzato a un migliore annuncio del Vangelo in terre lontane[11].
In effetti le Figlie della Carità sono state fondate a Verona; se si tratta di nominare ordini nati proprio nella città di Venezia, varrebbe la pena citare anche i Padri Cavanis e le Figlie di S, Giuseppe (Caburlotto). Poco sopra, là dove si parla di riforma della Chiesa, chiediamo se non sarebbe il caso di citare il contributo dato da Venezia alla Riforma Cattolica
Il significato teologico della visitaSiamo finalmente giunti al terzo, ma non per questo ultimo livello, che caratterizza la visita di Benedetto XVI ad Aquileia e a Venezia nel prossimo mese di Maggio: quello teologico. Anche in questo caso, il significato della visita va osservato con attenzione da almeno due versanti: quello, per così dire, della dottrina e, poi, quello della realtà. Dal punto di vista dottrinale già nel 1968 l’allora Prof. Joseph Ratzinger parlando dell’unità della Chiesa, professata da tutti i battezzati nel Credo, affermava che «innanzitutto ci si riferisce all’unità di luogo: solamente la comunità unita al vescovo è “chiesa cattolica”, mentre quindi non lo sono affatto i gruppi parziali che – per qualsiasi motivo – se ne sono staccati. In secondo luogo, si afferma l’unità delle chiese locali tra loro, le quali non possono rinchiudersi e incapsularsi in se stesse, ma possono rimanere davvero chiesa nella comune attestazione della Parola e nella comunione della mensa eucaristica, che è aperta a tutti in ogni luogo»[12]. Più avanti, in quelle lezioni che il Prof. Ratzinger tenne a Tubinga nel semestre estivo del 1967, a proposito del contenuto dell’unità, dato dalla Parola e dal sacramento, nella gerarchia dei mezzi, precisava che «un ulteriore stadio, sempre nell’ordine dei mezzi, sarà poi costituito dal servizio prestato alla chiesa dal vescovo di Roma»[13].
Non è difficile immaginare che il Teologo Ratzinger, reduce quale “perito” dal Concilio Ecumenico Vaticano II da appena due anni, avesse in quelle lezioni presente proprio l’immagine biblica del “gregge” che la Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium lega così strettamente alla funzione petrina, laddove si afferma che «il Signore ha posto solo Simone […] pastore di tutto il gregge»[14]. La funzione del beato Pietro di essere «il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione»[15] è, come possiamo notare, ancora una volta legata agli occhi, ovvero al gioco di sguardi. Sarà certamente capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di poter ammirare in silenzio la scena agreste di un gregge. Le pecore non solo ascoltano la voce del pastore, ma hanno, per così dire, necessità di vederlo per potersi muovere in gruppo senza perdersi, affinché nemmeno una pecora si disperda. Anche se il pastore, amorevolmente, tace, le pecore possono liberamente muoversi proprio in forza del fatto di poterlo percepire e vedere presente. In realtà un gregge si struttura in unità proprio se ha quel pastore. Questo non è solo il senso teologico espresso dalla Costituzione dogmatica Lumen Gentium laddove parla della funzione petrina. Ciò che, anche al teologo, fa più meraviglia è che questa realtà sia ancora più naturalmente innestata anche nel “senso di fede” dei fedeli, proprio come accade in natura tra le greggi. Ebbene, la visita del Papa ad Aquileia e Venezia avrà certamente quale effetto, prossimo e remoto, il rafforzamento della fede e della comunione delle chiese del Nordest tra di loro e di queste con quella Chiesa che presiede nella carità, la Chiesa di Roma[16].
Dicevamo, però, all’inizio che nella storia della salvezza nulla accade a caso e che il credente può e deve, tra l’altro, leggere i segni dei tempi, il che significa guardarsi attorno, interpretando ogni fatto particolare all’interno dello scenario universale. Appunto il frammento nel tutto. La visita di Benedetto XVI accade a ridosso della beatificazione di Giovanni Paolo II (1° Maggio 2011), il Papa della “nuova evangelizzazione”, e a ridosso della recente Istituzione del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione avvenuta con la promulgazione del Motu proprio Ubicumque et semper (21 Settembre 2010). Ma avviene a Venezia, in una Città che per secoli, e oggi ancora, fu un grande porto di mare come lo fu, prima, Aquileia. Qui non può sfuggirci l’“anima paolina” del ministero petrino, ovvero il fatto che San Paolo scegliesse volentieri i porti di mare quali luoghi idonei per lasciar cadere il buon seme del Vangelo: Corinto, Malta, Napoli, Roma … per fare soltanto alcuni esempi. Proprio lì dove la gente si smista e i popoli si incontrano, proprio là è più facile che il granellino di senape del Regno di Dio prenda vie a noi sconosciute e penetri culture che nessuno, magari, si sarebbe mai immaginato. È ciò che, d’altro canto, pure il Patriarca di Venezia, Card. Angelo Scola, ha intuito essere presente, tra le tante virtualità insite nel Capoluogo lagunare, quale “leva di Archimede” che conferisce a Venezia una singolare vocazione nell’entrare in dialogo con altre confessioni cristiane e perfino con altre religioni. La Rivista “Oasis” è, per fare un solo esempio, espressione compiutamente realizzata di una fra queste tante virtualità.
Avevamo aperto all’inizio la nostra riflessione accennando al processo della continuità, osservandolo a partire dal nostro passato. In quanto tale, però, essa mira anche al futuro. Le nostre chiese del Nordest risentono, senza dubbio, del progressivo invecchiamento dell’Europa occidentale. Tuttavia, in esse vi sono tantissimi giovani che le stanno ringiovanendo attraverso la loro fede. Ecco, conoscendo l’“animo” di Benedetto XVI, chi qui scrive è sicuro che un’attenzione particolare sarà riservata ai giovani. Sono essi l’anello imprescindibile per la trasmissione continua e certa della fede. Davvero senza i “giovani con il Vangelo” il gregge non è più tale. Lo aveva intuito molto bene il Beato Giovanni Paolo II quando rimise in voga l’espressione biblica “sentinelle del mattino” (Is 21,11) applicandola a loro. Essi possono far sì che non si debba cercare Dio come faceva Zarathustra, con la lanterna a mezzogiorno, cioè quando sarà troppo tardi[17]. Così, infatti, dice Benedetto XVI a ciascuno di loro e ad ogni credente: «Quando Israele era nel punto più buio della sua storia, Dio chiamò in soccorso non i grandi e le persone stimate, ma un giovane di nome Geremia; Geremia si sentì investito di una missione troppo grande: “Ah, mio Signore e mio Dio, non riesco neppure a parlare, sono ancora giovane”. Dove ti mando, là tu devi andare, e quello che io ti comanderò, quello devi annunciare” (Geremia 1,7)»[18]. Papa Benedetto XVI verrà da noi. Certamente, molte e molti, giovani e non, sentendo in lui l’eco della voce suadente di Gesù, ritorneranno a Dio, e ripieni di Spirito Santo partiranno ad annunciare la buona notizia secondo cui vivere da cristiani è la più bella e semplice avventura che si possa scegliere per la propria storia personale. Ed essere felici.
1) Benedetto XVI, Lettera Enciclica Spe salvi (30 Novembre 2007), «Acta Apostolicae Sedis» 99 (2008) pp. 985-1027.
2) J. Ratzinger, Elementi di Teologia Fondamentale. Saggi sulla fede e sul ministero, Morcelliana, Brescia 1986, pp. 180-182.
3) Cf O. Cullmann, Petrus. Jünger – Apostel – Märtyrer, Zwingli Verlag, Zürig-Stuttgart 1952; tr it. Id., Il primato di Pietro nella prospettiva protestante e nella prospettiva cattolica, in N. Afanassieff – O. Cullmann – C. Journet, ed., Il primato di Pietro nel pensiero cristiano contemporaneo, (Collana di Studi Religiosi), Edizioni Dehoniane, Bologna 19683, pp. 158-236.
4) Comitato per la preparazione di «Aquileia 2», Le Chiese del Nord-Est tornano a Convegno, «Il Regno. Documenti» 55 (2010) n. 17, pp. 553-561.
5) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, n. 8.
6) La precisa indagine ha computato soltanto i missionari e le missionarie di etnia veneta: cf Regione del Veneto, ed., Missionari veneti nel mondo oggi, Luci nel Mondo Edizioni, Verona 2010, pp. 231.
7) Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Ad Gentes, n. 2.
8) Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Ad Gentes, n. 2.
9) Cf G. Benzoni, Venezia nell’età della Controriforma, (Problemi di Storia), Mursia, Milano 1973, pp. 87-121.
10) Benedetto XVI, Unità e pluralità della vita consacrata arricchiscono la Chiesa, in «L’Osservatore Romano» 150 (2010) n. 256, del 6 Novembre 2010, p. 8.
11) Si tratta della Dichiarazione di intenti firmata congiuntamente dalla Conferenza Episcopale del Triveneto, dalla CISM e dall’USMI il 25 Febbraio 2010 in Torreglia (Padova) per tramite dei tre rispettivi Presidenti (A. Scola, G. Moni e di Noris A. Calzavara): cf. R. Cozza, Una Dichiarazione di intenti, «Testimoni» 33 (2010) n. 8, pp. 1-4.
12) J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico, (Biblioteca di Teologia Contemporanea 5), Queriniana, Brescia 19714, p. 285.
13) J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, p. 286.
14) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n 22, con mia sottolineatura.
15) Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen Gentium, n 18.
16) Cf San Cipriano [Caecilius Thascius], L’unità della Chiesa, a cura di Carmelo Failla, (Patristica), Città Nuova, Roma 1967, pp. 98-102
17) Cf F. Nietzsche, Così parlo Zarathustra, a cura di Giangiorgio Pasqualotto, (Pensatori Antichi e Moderni 114), La Nuova Italia, Firenze 1987, pp. 48-54.
18) Cf Benedetto XVI, Vi consiglio la lettura di un libro straordinario, Prefazione al prossimo Catechismo You Cat, «Messaggero di Sant’Antonio» 113 (2011) n. 1280, pp. 59-66.