Egitto: monasteri cristiani nel mirino delle forze armate

Nel caos post-Mubarak si temono fermenti di islamismo radicale

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di Paul De Maeyer
 

ROMA, venerdì, 25 febbraio 2011 (ZENIT.org).- In una Nord Africa in continuo e drammatico subbuglio, non c’è pace nell’Egitto post-Mubarak per la più numerosa minoranza cristiana di tutto il Medio Oriente, cioè quella copta (secondo alcune stime conterebbe fino a 10 milioni di fedeli).

Per la seconda volta in appena due giorni, il 24 febbraio scorso le forze armate egiziane hanno sferrato un assalto al noto monastero di San Bishoy. Il complesso monastico di Deir Anba Bishoy – così si chiama – risale al V secolo ed è il più visitato dei quattro grandi monasteri copti rimasti ancora oggi nella regione desertica di Wadi el-Natroun – ritenuta la culla del monachesimo egiziano -, nel governatorato di Al Buhayrah, a circa un centinaio di chilometri a nord-ovest della capitale Il Cairo.

L’obiettivo dell’azione dell’esercito era il muro eretto nelle scorse settimane in fretta e furia dalla comunità per proteggersi dagli attacchi di gruppi di predoni, che stanno sfruttando lo stato di insicurezza generale che domina l’Egitto dalla “rivoluzione del 25 di gennaio”, come è stata ribattezzata l’ondata di protesta popolare che ha portata appena due settimane fa alla caduta del presidente o “faraone” (come veniva soprannominato) Hosni Mubarak.

I militari avevano dato lunedì 21 febbraio un ultimatum ai responsabili del monastero per l’abbattimento del recinto considerato abusivo, una domanda respinta dai monaci, i quali sostengono di essersi rivolti invano alle autorità e persino alla televisione pubblica per richiamare l’attenzione sull’insicurezza e sulle incursioni da parte di malviventi. “Abbiamo contattato la Sicurezza di Stato e ci hanno risposto che non c’erano poliziotti a disposizione per proteggerci”, così ha raccontato padre Bemwa del monastero di San Bishoy. Alla fine, “ci hanno detto di proteggerci da soli” (Assyrian International News Agency, 24 febbraio).

I testimoni dell’assalto raccontano che i militari hanno usato il pugno di ferro. Parlando con l’attivista Nader Shoukry, dell’organizzazione Freecopts, uno dei monaci, Aksios Ava Bishoy, ha rivelato che i militari sono arrivati di mattina ed hanno impiegato cinque carri armati, veicoli blindati ed una ruspa per buttare giù la recinzione. “Quando abbiamo tentato di rivolgerci a loro, l’esercito ha sparato pallottole vere, ferendo padre Feltaows alla gamba e padre Barnabas all’addome”, ha detto padre Aksios. Nello scontro sono rimasti feriti anche sei lavoratori copti del monastero. Durante l’operazione, i soldati hanno effettuato anche quattro arresti, fra cui un legale copto che stava indagando sulla precedente incursione dell’esercito.

Come ha raccontato un altro membro della comunità, padre Hemanot Ava Bishoy, “l’esercito è rimasto sbalordito nel vedere i monaci pregare ‘Signore, abbi pietà’ senza scappare via. Questo li ha davvero sconvolti” (AINA, 24 febbraio). Secondo il religioso, durante la demolizione della recinzione i soldati hanno gridato “Allah è grande” e anche “vittoria, vittoria”.

Mentre i monaci hanno accusato i militari di “violenza eccessiva”, il Consiglio Supremo delle Forze Armate, che governa l’Egitto dall’11 febbraio, ha diffuso su Facebook un messaggio, nel quale ha dichiarato che i soldati hanno rimosso “alcuni muri che erano stati costruiti illegalmente sulla strada e sul terreno di proprietà dello Stato” (Al-Masry Al-Youm, 24 febbraio). Nel comunicato, le forze armate hanno poi confermato il loro impegno nel garantire “la libertà e l’inviolabilità dei luoghi di culto”.

Sempre per lo stesso motivo – la costruzione di un muro o recinto di protezione -, i militari avevano attaccato lunedì 21 febbraio il monastero di San Makarios d’Alessandria, nella località di Wadi el-Rayan, nella zona del Fayoum, a sudovest del Cairo. Mentre domenica 20 febbraio, la stessa sorte era toccata al monastero di San Paolo (o Deir Anba Boula), sul Mar Rosso. La comunità, le cui origini risalgono al IV secolo, aveva deciso la costruzione di una recinzione dopo aver subito il 13 febbraio un assalto da parte di alcuni detenuti evasi da un carcere (AINA, 23 febbraio).

La difficile convivenza tra cristiani e musulmani è dimostrata anche da un grave atto di violenza anticristiana perpetrato nei giorni scorsi nella città egiziana con la maggior concentrazione di abitanti copti, Assiut, nell’Alto Egitto. Nel villaggio di Shotb, nel governatorato di Assiut, è stato ucciso un sacerdote copto ortodosso, padre Daoud Boutros. Come ha raccontato all’Agenzia Fides (24 febbraio) il vescovo copto cattolico di Assiut, monsignor Kyrillos William, il sacerdote è stato finito con numerosissime coltellate – ben 22 – e poi decapitato, facendo intuire un gesto rituale da parte di qualche estremista musulmano. Padre Boutros aveva ricevuto in passato infatti delle minacce da parte di un sito internet radicale, che lo accusava di proselitismo. I vicini di casa del sacerdote avrebbero sentito inoltre degli slogan islamisti.

Nel corso degli ultimi anni, la comunità copta è stata fatta sempre più bersaglio di gravi attacchi ed attentati. Martedì 11 gennaio, un sottufficiale della polizia aveva ucciso con la sua arma di servizio un cristiano nella stazione di Samalut, nel governatorato di Minya, e il primo gennaio un attentato suicida contro la comunità copta aveva provocato ad Alessandria d’Egitto una ventina di vittime. Basta pensare alla strage di Nag Hammadi, nella quale il 7 gennaio del 2010 morirono sei cristiani e un agente di sicurezza musulmano. Proprio questa domenica, il 20 febbraio, una corte ha inoltre assolto due complici dell’artefice dell’attentato, suscitando una protesta da parte della US Commission on International Religious Freedom (USCIRF), la quale ha chiesto giustizia per i cristiani.

Un test importante per il nuovo Egitto potrebbe essere il dibattito sulla riforma delle istituzioni egiziane ed in particolare della Costituzione. Come ricorda Fides, l’articolo 2 stabilisce che la legge islamica o “sharia” è la fonte principale della legislazione. Mentre alcuni non vogliono assolutamente toccare l’articolo in questione, altri chiedono di eliminare o almeno modificare il testo. Altri ancora sostengono invece che non è il momento adatto per parlarne. Una posizione questa che trova d’accordo anche la comunità cristiana. Come ha sottolineato monsignor William, chiedere l’abolizione dell’articolo ferirebbe i sentimenti dei musulmani. L’unica cosa che la comunità cristiana chiederà in seguito è “qualche garanzia per le comunità non musulmane” (24 febbraio). Nella speranza che alcuni gruppi, come i Fratelli musulmani, non approfittino della “rivoluzione senza leader” per imporre la loro agenda.

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ZENIT Staff

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