ROMA, martedì, 22 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Una palestra di inclusione sociale, d’integrazione e volontariato: è questo il profilo della rete dei doposcuola parrocchiali della diocesi di Milano secondo l’indagine condotta dai ricercatori di Caritas ambrosiana che ne hanno realizzato la prima mappatura completa.
I dati presentati il 22 febbraio segnalano 267 doposcuola parrocchiali frequentati da circa 7 mila ragazzi, più del 40% dei quali stranieri. La gestione è affidata a volontari il 37% dei quali ha meno di 30 anni.
Dalla ricerca, realizzata tra maggio 2009 e giugno 2010, risulta che i doposcuola sono diffusi capillarmente su tutto il territorio diocesano (in media sono presenti in una parrocchia su quattro), con una concentrazione maggiore nelle zone pastorali di Milano (82), Rho (43), Varese (40). Si tratta di esperienze in larga parte consolidate (più della metà ha più di 5 anni), nate per iniziativa diretta del parroco (il 46,6%) o di un gruppo di volontari (49,2%) e sono ospitati negli spazi messi a disposizione dalla parrocchia, prevalentemente negli oratori.
I 7 mila ragazzi (dato stimato) che vi fanno capo frequentano sia la scuola primaria che la scuola secondaria di primo e di secondo grado: la fascia di età più seguita è quella compresa tra gli 11 e i 14 anni. La percentuale di ragazzi immigrati supera il 50% a Milano e nella zona pastorale di Lecco.
Nella maggior parte dei casi il doposcuola è aperto due giorni a settimana e l’attività centrale consiste nello svolgimento dei compiti a casa affidata ad operatori quasi tutti volontari. La ricerca ne stima 4 mila e 500. Si tratta per lo più di donne (il 71%). Il 37% dei volontari ha meno di 30 anni: sono in genere gli adolescenti che frequentano l’oratorio, in alcuni casi studenti delle superiori e universitari.
L’indagine mette in evidenza “la tendenza dei doposcuola a ricercare la collaborazione con gli altri soggetti che accompagnano i minori nei percorsi di crescita”. I ragazzi arrivano ai doposcuola inviati dalle famiglie, ma capita anche che sia l’insegnante o l’assistente sociale a indirizzare a questo servizio l’alunno o lo studente in difficoltà. In 44 casi i ricercatori hanno potuto accertare la sottoscrizione di un protocollo d’intesa tra scuola e doposcuola.
“I doposcuola parrocchiali – ha rilevato don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana sono una palestra di inclusione sociale perché consentono ai ragazzi che partono da condizioni di svantaggio di recuperare terreno e di non essere tagliati fuori nella gara per la crescita e l’affermazione di sé”.
Si configurano altresì come “una palestra d’integrazione, dal momento che nonostante non siano e non vogliano essere un servizio scolastico integrativo per gli stranieri, sono di fatto frequentati da una quota consistente, che in alcuni contesti come Milano diventa maggioritaria, di stranieri”. I figli degli immigrati “saranno gli italiani di domani solo se sapremo farli sentire a casa loro a cominciare naturalmente proprio dai banchi di scuola”.
I doposcuola rappresentano, infine, “una palestra di formazione al volontariato come dimostra l’alta percentuale di giovani che dedica il proprio tempo libero a questo servizio”. Un servizio che diventa per questi giovani “una sorta di apprendistato alla solidarietà e, per chi tra loro è interessato a fare l’insegnante da grande, anche un banco di prova dove sperimentare le proprie abilità”.
Per Matteo Zappa, responsabile dell’area minori di Caritas Ambrosiana, “i doposcuola parrocchiali sono una grande risorsa per il territorio e l’istituzione scolastica in particolare. Molti dirigenti e insegnanti se ne sono accorti e hanno cominciato ad approfittarne in modo intelligente”. Sono nati così veri e propri protocolli d’intesa: “gli insegnanti inviano l’alunno al doposcuola e tengono conto del lavoro che lì si svolge nella valutazione del suo percorso formativo”.
Ci sono anche “scuole che individuano tra i propri docenti il referente per le attività del doposcuola parrocchiale”. “Queste intese – ha concluso Zappa – così come le collaborazioni con le amministrazioni locali e gli altri soggetti di terzo settore sono da incoraggiare, partendo ad esempio dall’accompagnamento formativo dei volontari”.