Quella grande forza del Papa in ginocchio

ROMA, martedì, 22 febbraio 2011 (ZENIT.org).- In occasione del VI anniversario della morte di don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, riproponiamo una sua riflessione a proposito della richiesta di perdono per i peccati dei cristiani compiuta da Giovanni Paolo II il 12 maggio 2000.

 

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Vedere il Papa, percosso come Cristo profeta e umiliato per tutta la Chiesa, domandare perdono per le colpe commesse dai cristiani, mi commuove profondamente, come ha colpito tanti in questi tempi. Questa richiesta di perdono mi pare la cosa più sfavillante e più documentativa della novità del cristianesimo, segnando con ciò la diversità irrimediabile tra il cristiano e il non cristiano.

Per noi è difficile comprendere l’importanza del gesto papale, che potrebbe facilmente essere ridotto dentro gli schemi del revisionismo storico. Non è uno scopo politico o propagandistico a muovere papa Wojtyla; credo, invece, che Giovanni Paolo II, provocato da una circostanza favorevole – la festa per i duemila anni dell’Incarnazione -, abbia voluto dimostrare la verità di Cristo e della Chiesa. Questa verità è portata da uomini in carne e ossa, perché questo è il metodo che Dio ha scelto per farsi conoscere nella storia. Infatti il Mistero altrimenti ignoto si comunica utilizzando il fattore umano: Dio è venuto al mondo come un bambino nel grembo di una giovane ebrea, nascendo nella carne esattamente come ciascuno di noi.

Per cui nessuna sproporzione, inadeguatezza, errore degli uomini può essere obiezione al cristianesimo. Il limite esistenziale – che la Bibbia chiama “peccato” – di cui l’uomo fa esperienza non è obiezione al tramandarsi e al tradursi del cristianesimo nella storia, perché nessuna miseria potrà eliminare la paradossalità dello strumento, cioè il fattore umano, scelto da Dio per farsi conoscere.

La Chiesa è una realtà umana in cui si possono trovare persone indegne, gente rozza e di poco conto, talvolta violenta, uomini fragili o presuntuosi, genitori sprovveduti e figli ribelli. Ma la Chiesa non sta da un’altra parte, cioè da quella dei farisei e dei senza peccato. Così il cristiano sa di essere peccatore e proprio la coscienza di esserlo è il primo e più onesto passo che si possa fare nei confronti di se stessi e degli altri, se non si vuole diventare presuntuosamente intolleranti e violenti. Per questo la richiesta di perdono degli uomini a Dio è l’atto più puro dell’uomo che crede in Lui e che grida a Dio, come tutti i Salmi di Israele ci rendono ogni giorno evidente.

È, dunque, per affermare una positività, la positività di Cristo presente nella storia e vincitore, che l’uomo chiede perdono. Ed è perché questa positività sia per tutto il mondo che il Papa si mette in ginocchio, addossandosi le colpe di tutti e di ciascuno. Appunto, non giudicandole in nome di una morale astratta o di leggi imposte dagli uomini, ma rinnovando la dinamica della conversione e del perdono, che non è un cedimento, bensì forza che ricrea l’umano di fronte alla grande Presenza. Qui sta la differenza.

A nulla fuorché a Gesù il cristiano è attaccato. Tutte le ideologie hanno un aspetto per cui l’uomo è sicuro almeno in una cosa che lui stesso fa ed è quella a cui non vorrà mai rinunciare né mai mettere in discussione. Ma il cristiano sa che i suoi tentativi e tutto ciò che possiede o fa sempre debbono cedere alla verità. Perciò egli è l’unico vero lottatore per la purificazione del mondo e per la giustizia. Perché la giustizia è il rapporto con Dio, è il disegno di Dio; perciò chi ha incontrato Cristo non aspetta un istante per aiutare il mondo a essere migliore o, almeno, più sopportabile. Ma egli è anche profondamente persuaso che il mondo sempre lo perseguiterà, accusandolo di ogni male.

Il Papa in ginocchio non mi suggerisce un’immagine di debolezza. Mi ricorda piuttosto lo Spartaco antico, che si erge in tutta la statura della sua umanità in un gesto supremo di libertà, come esempio offerto per la sempre desiderata felicità di tutti e di ciascuno. Questo Papa rinnova in me e nei miei amici il coraggio necessario per sostenere la speranza degli uomini.

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ZENIT Staff

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