Il Risorgimento ha unito l’Italia?

di Andrea Bartelloni

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ROMA, martedì, 22 febbraio 2011 (ZENIT.org).- “Unità si, Risorgimento no” è lo slogan lanciato da Giovanni Cantoni, a chiusura della giornata di studi sul Risorgimento organizzata da Alleanza Cattolica a Roma sabato 12 febbraio. Non solo uno slogan, ma anche un programma di studio e di riflessione articolato in sei interventi e una tavola rotonda che, attraverso un’anamnesi della nostra storia – per usare le parole di Attilio Tamburrini che ha presieduto la sessione di lavori del mattino -, chiarisse e facesse capire i problemi che viviamo per affrontarli e cercare di risolverli.

Uno dei primi problemi affrontati è stata “La questione cattolica” descritta dallo storico Marco Invernizzi e distinta dalla questione romana che nasce con la breccia di Porta Pia (1870) e si conclude con i Patti Lateranensi (1929). La questione cattolica nasce prima, nasce con l’invasione delle truppe napoleoniche, con le reazioni popolari non tanto contro l’invasore straniero, ma contro una cultura estranea che voleva imporre stili di vita diversi rispetto alla storia nazionale. Quindi una questione che diventa culturale e che ancora, come tale, non si è conclusa.

Mentre, forse, si è conclusa la querelle sulla legittimità dello Stato italiano nato 150 anni fa. Su questo tema si è soffermato il giurista Mauro Ronco concentrandosi su quello che univa gli italiani e sulle diversità culturali dei governanti post 1861. Il centralismo, le idee socialiste, estranee alla gran parte degli italiani venivano mitigate dagli interventi sociali dei cattolici (istituzione delle casse di risparmio, diffusione degli istituiti educativi, ecc.) e questo Stato, imposto alla nazione, veniva legittimandosi attraverso fatti storici: la partecipazione dei cattolici alla vita politica, l’estensione graduale del suffragio universale, il Concordato, che contribuivano a mitigare il processo unitario iniquo che aveva assorbito la società civile distruggendo corpi intermedi vitali.

Capire come sono nati questi problemi è un’occasione per riportare la politica nazionale ad un sano realismo. Tra le questioni che assillano la politica nazionale da sempre c’è quella meridionale e la storia del meridione d’Italia è stata oggetto della relazione di Francesco Pappalardo che ha descritto la forzata annessione delle terre del Regno delle due Sicilie causa del declino del mezzogiorno che è andato avanti fino alla metà del ‘900. La società meridionale si trova a subire un modello di sviluppo estraneo (interventismo statale) che indossa come una camicia di forza e che fallisce non per un particolare ethos napoletano né per una presunta arretratezza del meridione.

Infine la religiosità e la grande socialità delle popolazioni meridionali attaccate alla famiglia, al luogo natale, alle amicizie, al culto dei Santi, viste come segno di arretratezza, che sono identità che purtroppo si stanno dissolvendo, ma che restano l’unica speranza per la sua rinascita che sarà religiosa o non sarà.

Gli interventi della mattina si sono conclusi con Marina Valensise, giornalista, che ha riflettuto sulla memoria ritrovata grazie anche ad una grande produzione saggistica della quale ha fatto una breve rassegna: dalle discutibili tesi di Alberto Mario Banti (Nel nome dell’Italia, Laterza, 2010) ai volumi sul brigantaggio e sul meridione (P. Aprile, Terroni, Piemme, 2010) che riportano la storia del sud ad una dimensione positiva. Altre pubblicazioni hanno messo in luce il sostanziale equilibrio tra nord e sud nel periodo preunitario e analizzato il divario accentuatosi per una forte crescita del nord Italia e per un sud che ha visto l’emigrazione delle forze migliori che hanno decapitato e impoverito il capitale sociale. Entrando nel merito dei problemi legati all’unificazione dell’Italia, la Valensise ha riconosciuto nel processo nato nel 1789 le basi rivoluzionarie dell’unificazione del nostro paese.

La sessione della mattina si è conclusa con l’intervento del sindaco di Roma Gianni Alemanno che, nella percezione del nodo irrisolto dell’Unità d’Italia, che ancora pesa sulla vita nazionale, vede, nelle celebrazioni del 150° anniversario, possibilità di approfondimenti che possano portare al superamento di questi problemi: un federalismo a matrice comunitaria; una ricucitura dell’unità nazionale a partire dal basso con una ritrovata concordia tra le identità locali; il riconoscimento che la bellezza dell’essere italiani è il riconoscimento della bellezza delle varie componenti e realtà; una riforma dello Stato che riduca la sua invadenza e attui una vera sussidiarietà; una soluzione della questione meridionale grazie alle sue popolazioni che dovranno assumersi la responsabilità di far crescere le proprie terre che hanno grandi potenzialità. Tutto intorno a Roma che è capitale per la sua dimensione cattolica imprescindibile.

I lavori pomeridiani sono iniziati con l’introduzione della tavola rotonda su “Quale identità” che centrava il tema del convegno intitolato appunto: “1861-2011. A centocinquant’anni dall’Unità d’Italia”. Giovanni Formicola che ha presentato i partecipanti: mons. Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro, l’on. Alfredo Mantovano, l’on. Alessandro Pagano e l’on. Massimo Polledri Quale identità? Proprio quest’ultimo, esponente della Lega Nord, ha iniziato la discussione soffermandosi sull’importanza dell’identità e specialmente di quella culturale e come tre violenze, militare, amministrativa e culturale, siano alla base dell’Unità d’Italia.

Quale progetto abbiamo per il nostro paese? Su questo si è soffermato l’on. Pagano (Pdl) trovando la risposta nel recupero dell’identità nazionale, delle nostre radici che non possono essere altro che quelle cristiane. Grande ottimismo deriva dalla costatazione che alle giornate mondiali della gioventù, ai pellegrinaggi a Medjugoie, la maggioranza dei giovani proviene dall’Italia e questo fa ben sperare per il futuro del nostro paese.

L’on Mantovano (Pdl) ha descritto quali sono le cose che danno stabilità al nostro paese e lo fanno andare avanti: il rispetto per la vita, l’importanza della famiglia, la libertà da aggressioni interne (criminalità organizzata) ed esterne (terrorismo) e il riannodare i legami tra nord e sud. Soffermandosi sui problemi del meridione, l’on. Mantovano, pugliese, ha auspicato la nascita di un nuovo meridionalismo che smetta di rappresentarlo come sprecone, piagnone o come un nord mancato e porti quelle popolazioni a riprendere in mano il proprio destino partendo da un corretto utilizzo delle ingenti risorse a disposizione.

La tavola rotonda è stata conclusa da mons. Negri che ha esordito affermando che l’identità di un popolo si costruisce e quella italiana è stata curata, educata, maturata dalla Chiesa e dalla famiglia. La Chiesa ha contribuito a questa identità attraverso l’educazione come inculturazione della fede e questa identità si è cercato di sostituirla forzosamente con un’ideologia che senza scrupoli voleva imporsi a dispetto della maggioranza. Ci chiediamo come il popolo italiano abbia potuto sopportare, non solo le ideologie risorgimentali, ma l’”inutile strage” della prima guerra mondiale o l’altra strage immane della spedizione in Russia della seconda che le sono passate sopra travolgendolo? Solamente grazie all’educazione cristiana il cuore del popolo italiano ha retto al trauma subito ed ha potuto superare queste tragedie.

I nostri tempi, ha concluso il Vescovo di San Marino-Montefeltro, ci vedono aggrediti da altre ideologie forse ancora più pervasive: quella massmediatica e quella scientista e la Chiesa, in questo frangente, assume una responsabilità ancora più grande: deve ritrovare la sua capacità educativa affinché il vero dialogo veda confrontarsi posizioni diverse, ma consapevoli della loro identità.

Massimo Introvigne ha continuato sul tema dell’identità in rapporto con l’unità degli
italiani ed ha cercato di chiarire cosa sia questa identità. Prima di tutto sgombrare il campo dalle bugie. Una certa storiografia vedeva l’Italia colpita da una grande sciagura: il rifiuto della Riforma protestante (Piero Gobetti) con il Risorgimento a sanare questo vulnus. E il rifiuto del protestantesimo sarebbe stato anche la causa dell’arretratezza del nostro paese. Paese che era pervaso da un ethos che lo rendeva unito: il realismo, tratto fondamentale dell’ethos cattolico che lo opponeva al perfettismo tipico delle ideologie che negano il peccato originale; la libertà dall’esito: ciò che Dio premia è l’impegno a prescindere dal risultato; l’universalismo dovuto alla presenza di Roma che è universale e che mette in disparte il concetto di patria.

Ma questi pregi derivanti dall’ethos cattolico possono trasformarsi in difetti se il realismo porta allo scetticismo, la libertà dall’esito al fatalismo e l’universalismo rende vulnerabili al cosmopolitismo. L’ethos risorgimentale, protestante, cerca ancora la sua rivincita nonostante le elité minoritarie siano sempre state sconfitte nelle varie tornate elettorali, ma hanno ugualmente egemonizzato il resto della società e possono essere fermate solamente grazie ad uno sforzo di memoria che coltivi la verità della nostra storia.

La giornata di studi e riflessioni è stata chiusa dall’intervento di Giovanni Cantoni, reggente nazionale di Alleanza Cattolica, che si è fatto carico di sottolineare l’importanza di passare dall’utopia alla storia reinserendo le parti dimenticate, come è stato fatto dai relatori che lo hanno preceduto.

L’unità d’Italia è stata un fatto politico, ha rimarcato di fronte alle oltre 400 persone che hanno affollato la sala della Protomoteca del Campidoglio, ma la verità sul passato deve superare la vuota retorica per procedere sulla giusta strada della verità, dalla quale soltanto può nascere un vero processo di unificazione. Ma il Risorgimento è stato un’altra cosa.

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ZENIT Staff

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