Solidarietà, rispetto e giustizia: il vero significato della pace

Il Card. Erdő interviene all’incontro KEK/CCEE a Belgrado

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di Roberta Sciamplicotti

ROMA, venerdì, 18 febbraio 2011 (ZENIT.org).- La pace non è semplicemente assenza di conflitto; implica infatti una serie di realtà e valori, come la solidarietà, il rispetto, la giustizia e l’uguaglianza.

Il Cardinale Péter Erdő, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), lo ha ricordato questo venerdì intervenendo a Belgrado (Serbia) all’incontro annuale del Comitato Congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e del CCEE, in svolgimento dal 17 al 20 febbraio.

Dopo la riunione del 2009 che ha affrontato la salvaguardia del creato e quella del 2010 sulle migrazioni, quest’anno ci si è voluti soffermare sul tema della pace e sul contributo che i cristiani sono chiamati a dare per la sua piena realizzazione.

Nel suo discorso, il porporato ha spiegato che “il mondo è in grado di abusare del concetto di pace, come è successo per esempio nei Paesi dietro la cortina di ferro, dove il cosiddetto ‘movimento della pace’ intendeva dividere il clero e manovrare la Chiesa per gli scopi del partito comunista”.

Per questo motivo bisogna vigilare, “per poter distinguere tra il vocabolario usato e i veri scopi di vari gruppi di interesse, partiti o movimenti”.

Il fatto che generalmente con il termine “pace” si intenda l’assenza di guerra, ovvero l’assenza di conflitto armato, “è corretto e giusto”, “ma la vera pace significa molto di più”, ha osservato il Cardinale.

“Potremmo forse parlare di pace quando nel mondo ci sono persone discriminate per la loro nazionalità o religione?”, ha chiesto. “Come parlare di pace in quei Paesi in cui tanti cristiani sono privati della libertà religiosa e sono minacciati nella loro stessa esistenza fisica attraverso gravi forme di discriminazione (psicologica, economica e culturale) che a volte posso tradursi in vera e propria persecuzione?”.

Di fronte a ciò, emerge chiaramente la necessità di “cercare modi nuovi ed efficaci di solidarietà con i nostri fratelli”.

Per molti, ha aggiunto, la pace “significa anche una certa tolleranza passiva, ovvero un tacito accordo di lasciarsi reciprocamente ‘in pace’ finché i diritti individuali sono rispettati”.

“L’insufficienza di tale concetto di tolleranza superficiale appare però evidente nei casi, sempre più presenti, in cui l’opinione o l’interesse di una minoranza contraria ai diritti della maggioranza, inizia una battaglia giuridica e sotto il velo della non discriminazione comincia a costringere la maggioranza di rinunciare ai propri diritti comuni e tradizioni culturali”.

La via del Signore

“Come è la pace che il Signore ci ha lasciato e vuole darci anche oggi?”, ha chiesto il Cardinale Erdő.

“La pace del Signore è basata sulla verità di Dio e dell’uomo”, “ci chiama a scoprire la bellezza e la ricchezza delle varie forme dell’identità e della comunione”, ha risposto.

In particolare, la pace di Cristo chiama a riconoscere tre elementi fondamentali, iniziando dall’“importanza vitale della diversità delle singole persone nella famiglia e nella società che non è contraria alla loro necessaria uguaglianza dei diritti”.

Si deve poi riconoscere “il valore delle Nazioni come comunità di lingua, storia, cultura, di esperienze storiche, di tradizioni religiose”, “in un mondo che tende a dimenticare le sue radici e finisce nel confluire in una massa indistinta di consumatori uniformizzati, oppure che si rifugge, sentendosi minacciato, nel nazionalismo o nell’estremismo”.

“Il vero cittadino responsabile, invece, proprio perché conosce e ama la sua cultura, la sua lingua e la sua patria, diventa capace di rispettare e valorizzare l’eredità culturale degli altri”.

Il terzo elemento da riconoscere è il fatto che la pace “ha sicuramente anche una dimensione economica”.

“La recente crisi economica ha mostrato che il desiderio sfrenato del profitto sempre maggiore non è in grado di assicurare un ordine economico sostenibile”, ha riconosciuto il Cardinale.

In questo contesto, ha concluso, i cristiani hanno “una grande sfida”: “quella di scoprire, di vivere e di appoggiare le iniziative già esistenti, dove il vero bene della persona, dell’imprenditore e il bene comune dei lavoratori e dei consumatori, non si escludono ma si arricchiscono a vicenda, nella solidarietà e nella sussidiarietà”.

Ecumenismo

Il Cardinale Erdő ha quindi sottolineato come la presenza dei delegati KEK/CCEE a Belgrado sia “un segno importante” del desiderio di pace dei cristiani, ma ha riconosciuto che “l’unità delle Chiese cristiane non può essere costruita solo attraverso un ‘accordo di pace’ confessionale sul minimo denominatore comune”.

In questo contesto, ha citato Papa Benedetto XVI, che durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ha riconosciuto il cammino ecumenico compiuto negli ultimi decenni, ma ha anche rilevato ciò che ancora manca.

“Siamo ancora lontani da quella unità per la quale Cristo ha pregato”, un’“unità espressa nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio”, ha ammesso nella celebrazione conclusiva della Settimana, il 25 gennaio.

Il cammino verso questa unità è un “imperativo morale”, al quale rispondere vincendo “la tentazione della rassegnazione e del pessimismo, che è mancanza di fiducia nella potenza dello Spirito Santo”.

“Il nostro dovere – ha dichiarato il Papa – è proseguire con passione il cammino verso questa meta con un dialogo serio e rigoroso per approfondire il comune patrimonio teologico, liturgico e spirituale; con la reciproca conoscenza; con la formazione ecumenica delle nuove generazioni e, soprattutto, con la conversione del cuore e con la preghiera”.

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ZENIT Staff

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