di Roberta Sciamplicotti
ROMA, venerdì, 18 febbraio 2011 (ZENIT.org).- “Un esame di coscienza collettivo e per un accostamento esigente dell’Europa al problema della tutela delle minoranze cristiane in diversi Paesi” è l’auspicio formulato da Massimo Introvigne di fronte al dramma della discriminazione e persecuzione dei cristiani nel mondo.
Introvigne, dal 5 gennaio scorso Rappresentante dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione e l’intolleranza contro i cristiani e i membri di altre religioni, è intervenuto questo venerdì all’incontro annuale del Comitato Congiunto della Conferenza delle Chiese Europee (KEK) e del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa (CCEE), in svolgimento a Belgrado (Serbia) dal 17 al 20 febbraio.
Nel suo discorso, ha sottolineato le difficoltà nell’applicazione della libertà religiosa, prendendo spunto da due interventi di Papa Benedetto XVI: il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2011 e l’ultimo Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede.
Rivolgendosi agli ambasciatori, ha spiegato Introvigne, il Pontefice ha sottolineato cinque minacce contro la libertà religiosa, tra le quali spicca la “cristianofobia” che ormai invade l’Occidente e porta a “pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto, particolarmente in tema di aborto”.
Un’altra manifestazione dell’emarginazione della religione, e in particolare del cristianesimo, consiste nel bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi in nome del rispetto per chi appartiene ad altre religioni o è non credente.
La “cristianofobia”, ha proseguito Introvigne, “si manifesta anche nelle minacce alla libertà di educazione e nell’avversione amministrativa alle scuole cristiane”, o imponendo di partecipare a corsi di educazione sessuale o civile che, come ha detto il Papa, “trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione”.
Il fatto che l’OSCE abbia istituito l’ufficio di un Rappresentante per la lotta alla discriminazione contro i cristiani, ha osservato, “rappresenta un successo della diplomazia della Santa Sede e di quei Governi che l’hanno intelligentemente affiancata”, anche se “le difficoltà e le opposizioni, naturalmente, non mancano, e in tempi di crisi economica le risorse delle organizzazioni internazionali sono severamente limitate”.
Tra le azioni concrete dell’ufficio, figurano una tavola rotonda programmata a Roma per il 4 maggio sul tema “Intolleranza e Discriminazione contro i Cristiani” e la proposta lanciata da Introvigne della celebrazione di una Giornata dei Martiri Cristiani del nostro tempo, “da celebrarsi non – o non solo – nelle chiese, dove ci sono già iniziative analoghe, ma nelle scuole, nelle città, nelle istituzioni pubbliche perché la persecuzione dei cristiani non riguarda solo i cristiani, ma tutti”.
Introvigne ha proposto la data del 7 maggio, ricordando che in quel giorno del 2000 Papa Giovanni Paolo II organizzò al Colosseo un evento ecumenico “con otto ‘stazioni’ che ricordavano i principali gruppi di martiri cristiani del nostro tempo: le vittime del totalitarismo sovietico, del comunismo in altri Paesi, del nazismo, dei conflitti tra religioni, dei nazionalismi religiosi violenti in Asia, dell’odio tribale e anti-missionario, del laicismo aggressivo e della criminalità organizzata”.
Altre sfide
L’esperto ha poi ricordato le altre minacce alla libertà religiosa, iniziando dal fatto che questa “è stata spesso confusa con il relativismo, cioè con la tesi che non esista una verità religiosa e che la scelta di una religione o di un’altra sia più o meno indifferente”, così come si vorrebbe “confinare la religione in una dimensione meramente privata”.
Un altro rischio “è quello del tentativo dell’islam ultra-fondamentalista, che certo non va confuso con l’islam in genere, di porre fine all’esistenza bimillenaria di comunità cristiane nel Vicino Oriente, ricorrendo anche al terrorismo”.
Non si tratta solo di un problema di polizia, perché sono coinvolte anche le leggi, “che in molti Paesi a maggioranza islamica riducono la libertà religiosa alla sola libertà di culto”.
C’è poi il rischio delle “aggressioni nei confronti dei cristiani da parte di fondamentalisti indù o buddhisti, che identificano l’identità nazionale dei loro Paesi con un’identità religiosa, difesa in modi talora violenti contro il cristianesimo”.
Infine, “ci sono ancora regimi comunisti nel senso più stretto e duro del termini”.
A questo proposito, il Papa ha ricordato la Cina, ma lo stesso discorso vale anche per la Corea del Nord, un Paese che, ha concluso Introvigne, “vince ogni anno la ‘medaglia d’oro’ della organizzazione protestante Porte Aperte come il luogo dove in assoluto è più pericoloso essere cristiani”.
Nel contesto dell’incontro di Belgrado, è partita una lettera a Lady Catherine Ashton, rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea, sottoscritta dalle Chiese partecipanti e in cui si lamenta l’impossibilità riscontrata finora nell’UE di approvare una risoluzione contro le persecuzioni dei cristiani nel mondo che menzioni esplicitamente la parola “cristiani”, chiedendo che questa risoluzione sia approvata entro la riunione del vertice europeo del 21 febbraio.