di Marija Burdulyte
ROMA, giovedì, 17 febbraio 2011 (ZENIT.org).- La voce del Papa è importante sia per i credenti che per i non credenti, afferma l’Ambasciatore della Lituania presso la Santa Sede, sostenendo che il ruolo del Vaticano nel dialogo tra le civiltà e le culture è apprezzato in tutto il mondo.
Vytautas Ališauskas ha parlato con ZENIT in occasione del 20° anniversario del riconoscimento internazionale dell’indipendenza del suo Paese dall’occupazione sovietica negli anni 1945-1991.
Il diplomatico ha ricordato poi il ruolo del Vaticano in questo riconoscimento ed ha riflettuto sull’attuale ruolo svolto dalla Santa Sede.
Nonostante l’occupazione sovietica, i rapporti diplomatici non sono mai cessati e la missione diplomatica lituana ha continuato a lavorare a Roma. Dopo il riconoscimento internazionale nel 1991 dell’indipendenza lituana, quei rapporti si sono rinnovati. Ci può dire come si è svolto questo processo?
Ališauskas: A quel tempo lavoravo come consigliere del Ministro degli esteri in Lituania. L’arcivescovo Audrys Juozas Bačkis, che era pro-nunzio apostolico in Olanda, venne in Lituania, su incarico del Santo Padre, per dare un nuovo corso alle relazioni diplomatiche. Fu concordato che le relazioni diplomatiche dovessero svolgersi a livello di ambasciatori.
Successivamente fu nominato il primo ambasciatore della Repubblica di Luituania presso la Santa Sede, Kazys Lozoraitis, mentre prima i diplomatici lituani a Roma avevano il grado di ministro plenipotenziario. L’arcivescovo Bačkis sottolineò che il Santo Padre intendeva evidenziare che la Santa Sede aveva sempre riconosciuto l’indipendenza dello Stato lituano e rifiutato la sua incorporazione nell’Unione Sovietica. Quindi, in questo caso, i rapporti diplomatici non sono stati rinnovati, ma elevati ad un nuovo, più alto livello.
In che modo si sono sviluppate queste relazioni da allora?
Ališauskas: Direi che l’evento più importante è stato quello della firma di tre accordi con la Santa Sede nel 2000. Il primo riguardava gli aspetti giuridici dei rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato; il secondo, la pastorale dei cattolici impiegati nell’esercito; il terzo, la cooperazione nell’istruzione e nella cultura.
I sovietici avevano a suo tempo annullato il concordato del 1927 con la Lituania. Formalmente era ancora valido, ma effettivamente la realtà storica, i mutamenti nell’ordine sociale e politico, e i principi del Concilio Vaticano II dovevano essere riflessi nei rapporti tra la Lituania e la Santa Sede. Per questo si era deciso di adottare la forma di tre distinti accordi. Il lavoro è iniziato piuttosto presto nel 1996. Le proposte di accordi sono state elaborate con cura, per evitare il più possibile problemi e questioni con l’inizio dei negoziati bilaterali.
La legislazione esistente era stata studiata con grande attenzione, perché con l’indipendenza la Lituania aveva riacquistato la piena libertà religiosa. In seguito, questi accordi hanno trovato facile accoglimento da entrambe le parti, perché come ho già detto vi era stato lo sforzo diretto a sostenere la legislazione della Lituania, cosa che coincideva con la visione sia dello Stato democratico, che della Chiesa cattolica.
E nel 2000 gli accordi sono stati firmati e subito dopo ratificati a grande maggioranza dal Parlamento. Oggi, qualunque questione che richieda attenzione, viene discussa in una commissione bilaterale che si riunisce regolarmente e prende le decisioni sulla base di questi accordi.
Uno degli accordi riguarda la cooperazione nell’istruzione e nella cultura, e tra le altre cose definisce l’istruzione cattolica in Lituania. A suo avviso, l’educazione cattolica aiuta ad arrestare il processo di secolarizzazione che proviene dall’Occidente?
Ališauskas: Riguardo all’educazione cattolica in Lituania, devo dire che le scuole superiori cattoliche sono considerate prestigiose. Conosco poco le scuole elementari cattoliche, ma sono sicuro che funzionano molto bene. Esiste anche una facoltà di teologia cattolica, presso l’Università Vytautas Magnus a Kaunas – la seconda città più grande in Lituania – che è titolata a rilasciare diplomi approvati dalla Chiesa. Tra i suoi laureati vi sono stati diversi dottori in teologia, cosa che mostra una certa maturità di questa istituzione accademica.
Il processo di secolarizzazione è diverso nei Paesi che sono stati sotto il regime sovietico, rispetto alla realtà occidentale.
La Lituania ha subito 50 anni di persecuzione religiosa e di ateismo forzato. Da un lato queste prove hanno rafforzato la fede della generazione più anziana e il prestigio della Chiesa. Dall’altra, le giovani generazioni non hanno avuto l’occasione di conoscere e acquisire i valori cristiani.
Oggi abbiamo una piena libertà religiosa, ma questa libertà rappresenta una enorme sfida per la Chiesa cattolica. Possiamo dire che esistono due processi paralleli che si svolgono oggi in Lituania: la secolarizzazione occidentale, e il rinnovamento della Chiesa e la sua integrazione nella vita quotidiana del Paese.
Sebbene la Lituania sia uno Stato laico, le sue azioni concrete dimostrano la sua volontà di collaborare con la Chiesa cattolica, così come con le altre confessioni religiose.
Da tre anni lei si trova a Roma in qualità di ambasciatore. Crede che la diplomazia sia importante per i Paesi piccoli? Qual è il loro ruolo rispetto alle grandi nazioni?
Ališauskas: Anzitutto ricordiamoci che sono molti di più i Paesi piccoli che quelli grandi. E questo è importante. Se immaginiamo che i grandi giocatori giocano solo tra di loro, ci stiamo sbagliando. Non so se la metafora del gioco è appropriata in questo caso, ma i grandi giocatori giocano in un mondo in cui esistono soggetti molti diversi.
Ciascuno di loro ha i propri interessi e la propria volontà e sicuramente il prodotto della politica mondiale non è esattamente ciò che ciascun singolo giocatore avrebbe voluto. La politica mondiale produce sempre un certo risultato, talvolta del tutto inaspettato. In questo senso il ruolo degli Stati piccoli e medi non è insignificante.
L’altra questione riguarda l’Unione europea. Io credo che il Trattato di Lisbona sia uno strumento utile per i piccoli e medi Stati, per affermarsi come soggetti attivi della politica internazionale ed europea, perché tra qualche anno le decisioni non potranno essere più prese senza la partecipazione di un certo numero di Stati membri. Il criterio della dimensione della popolazione non sarà più sufficiente. Credo che questo equilibrio, nel Trattato di Lisbona, tra i voti degli Stati membri e il criterio della popolazione sia molto razionale e apra nuove opportunità ai Paesi piccoli e medi di partecipazione al processo decisionale.
La Santa Sede ha tradizioni diplomatiche antiche. Normalmente è considerata un’autorità morale, ma la voce del Santo Padre è ascoltata anche lontano da Roma?
Ališauskas: Senza alcun dubbio. È un fatto che durante questi tre anni in cui sono stato qui, sono state aperte circa cinque ambasciate permanenti. Tra queste quella australiana e quella canadese. Ciò dimostra che il ruolo della Santa Sede nella vita internazionale è effettivamente importante. Il Vaticano prende parte attiva nel dialogo tra civiltà e culture, e questo è apprezzato in tutto il mondo. Esso contribuisce anche molto alle missioni di aiuto umanitario. Inoltre, la Santa Sede partecipa regolarmente ai dibattiti concernenti non solo le questioni morali di ogni giorno, ma anche le questioni che pongono problemi etici per tutte le persone, come quelle di bioetica, l’inseminazione artificiale, l’ambiente e le sperimentazioni che possono incidere sull’intera umanità. La Santa Sede esprime la sua opinione su questi temi e, sia i credenti che i non credenti, la prendono in considerazione con attenzione, perché si basa non solo sul
la Rivelazione, ma anche sulla grande saggezza ed esperienza della Chiesa. Quindi la voce del Santo Padre è importante per tutte le persone e in questo senso la posizione della Santa Sede è molto forte e stabile.
Recentemente vi è stata una conferenza ecumenica internazionale in Lituania sui problemi della famiglia. È stata organizzata congiuntamente dai vescovi cattolici, ortodossi e luterani. E’ un forte segnale ecumenico, quello di tre confessioni cristiane che si riuniscono per discutere di problemi comuni. Lei crede che questo possa far avanzare il dialogo con il Patriarcato di Mosca?
Ališauskas: Vorrei sottolineare che si tratta di tre confessioni storiche per il nostro Paese. Sia i luterani che gli ortodossi sono comunità religiose molto antiche in Lituania e hanno avuto un’enorme influenza nella vita culturale lituana e nel plasmare l’identità nazionale.
Il rapporto con il Patriarcato di Mosca è sempre stato cordiale in Lituania. E possiamo constatare che il Patriarcato di Mosca spesso mette in evidenza la validità delle posizioni della Santa Sede a sostegno dei valori tradizionali, della famiglia e della giustizia sociale. In questo ambito, il dialogo ecumenico è molto promettente. Inoltre, anche gli approcci ecclesiologici comuni, come lo scetticismo verso l’ordine sacerdotale o episcopale per le donne, rappresentano un ampio terreno ecumenico.
Grazie alla sua posizione di Paese cattolico nordico, collocato tra la Scandinavia protestante da un lato e la Bielorussia ortodossa dall’altro, la Lituania potrebbe rappresentare un punto d’incontro significativo per il dialogo ecumenico.