La Chiesa raccontata dai giornalisti

Mons. Paglia: “Se sapessero del loro ruolo, avrebbero paura a scrivere”

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di Mariaelena Finessi

ROMA, lunedì, 14 febbraio 2011 (ZENIT.org).– «L’informazione religiosa è una forma particolare di giornalismo», poiché «la materia da trasmettere spesso coinvolge lo stesso comunicatore in modo molto diverso da come coinvolgerebbe, per esempio, la materia informativa del cronista politico o di quello sportivo». Direttore della Sala stampa vaticana dal 1984 al 2006, Joaquín Navarro-Valls così spiega il mestiere del vaticanista nella prefazione al volume “La Chiesa di carta” di Rodolfo Lorenzoni e Ferdinando Tarsitani.

Non di rado si crede nel messaggio che si vuole trasmettere, facendolo proprio. Anzi, come precisa Tarsitani, nel corso della presentazione del libro a Roma lo scorso 10 febbraio, la prerogativa del vaticanista – parafrasando Navarro-Valls – deve essere quella di «trasmettere un’esperienza personale che egli considera vera: se manca una di queste componenti, verità e persona, non è giornalismo».

Quanto al vescovo di Terni-Narni-Amelia, Vincenzo Paglia, questi riconosce ai vaticanisti una sorta di “piccolo magistero”: «Non sono giornalisti come tutti gli altri – spiega -. Non sanno di essere importantissimi. Ciò che scrivono ritorna infatti, tramite la rassegna stampa, alla fonte da cui è scaturita la notizia: alla Chiesa, alla curia. E crea opinione. Se sapessero del loro ruolo, avrebbero paura a scrivere».

«Nel loro lavoro – lamenta il prelato – dovrebbero però dare maggiore attenzione alla vita delle parrocchie, ai movimenti e lasciarsi contagiare da essi». Allo stesso modo, i «miei colleghi che si schiacciano sulla politica per farsi ascoltare» hanno la colpa di «far dimenticare il variegato mondo della Chiesa e la sua ricchezza».

Il rischio infatti è quello di dare voce al mondo religioso solo quando c’è di mezzo lo scandalo, il torbido, tanto nell’ambito cattolico quanto in quello delle altre confessioni. Scrive Luigi Accattoli, uno dei più apprezzati vaticanisti: «Non si è riusciti a dare dignità di notizia agli eventi del mondo protestante e ortodosso, tranne quando c’è di mezzo la politica o la sessualità, che sono i due motori infallibili nel ravvivare l’interesse per l’informazione religiosa».

«Penso però che si debba insistere su questo – suggerisce Accattoli -, perché il vero fatto è la fede, non è la forza politica di un’istituzione. Ora il papato domina per la sua forza “politica”, ma l’informazione religiosa dovrebbe badare all’attualità della fede e l’attualità della fede si dimostra anche nelle Chiese non cattoliche».

Per quanto piccolo possa essere, lo spazio che occupa oggi nei media la religione racconta il suo ritorno sulla scena pubblica dopo dopo essere stata relegata all’ambito privato. Uno spazio conquistato con l’avvento di Giovanni Paolo II, «che per molti degli intervistati ha costituito, dal punto di vista temporale – come ricorda infine Navarro Valls -, lo spazio maggiore della loro attività».

Un papa che ha accompagnato i «contenuti concettuali e morali dei suoi discorsi» con dei gesti semplici, analizzati e trasmessi attraverso i media, ovunque nel mondo. «Tutto questo ha facilitato una percezione quasi visiva e comunque pubblica» della religione e dei valori che essa «porta con sé».

Con Ratzinger qualcosa è cambiato (o forse no): in altri termini, le opinioni dei giornalisti sono discordanti. Un esempio per tutti è quello che offre Accattoli, presente all’incontro romano, proponendosi di rintracciare, nelle 32 interviste di cui si compone il libro, l’opinione dei reporter circa la facile o difficile comprensione del linguaggio ratzingeriano.

Premesso che per alcuni dei vaticanisti interpellati Benedetto XVI risulterebbe persona “affabile” o, al contrario, dotato di “rigidità teutonica”, i pareri divergono anche sullo stile della sua comunicazione. C’è chi, incalzato dalle domande, risponde che l’attuale Papa, rispetto al suo predecessore, «non è per niente riassumibile in frasi ad effetto» e che «non si può quasi mai identificare in gesti spettacolari», obbligando invece chi è in ascolto ad un attento «esame dei suoi testi».

Altri echeggiano con «un Papa mai banale» per raccontare il quale «serve un atto di umiltà», mentre altri ancora riconoscono «che nell’arco di questi anni Benedetto si è “sciolto”, come se avesse preso coscienza della necessità di un rapporto più spigliato con la gente» sebbene egli non parli spesso «alle grandi masse», rivolgendosi piuttosto «a chi ha già un seme dentro».

In nuce, in questo ultimo libro delle Edizioni Paoline, vi è raccontato quel che accade fuori, dentro e all’ombra del cupolone. Giornalisti laici ma anche preti giornalisti e quelli che sacerdoti non lo sono più, che svelano i propri esordi professionali e l’approdo, spesso fortuito, sulla pagina vaticana.

Sparuta, invece, la presenza delle donne. Le motivazioni addotte non sembrano reggere: alcuni avanzano la teoria che occorra maggiore «preparazione», «competenza» e che in questo le donne sarebbero più lente, altri mettono sul piatto della bilancia i tempi per la famiglia, per i figli. Insomma. Anche qui, come in altri ambienti di lavoro, i pregiudizi nei confronti delle donne non mancano. Ma tant’è.

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ZENIT Staff

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