Il Rettore dell'Università di Bologna presenta il Cortile dei Gentili

 

 

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BOLOGNA, lunedì, 14 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo una parte dell’intervento tenuta dal Rettore dell’Università di Bologna, Ivano Dionigi, nel primo incontro del Cortile dei Gentili, svoltosi il 12 febbraio presso l’aula Magna dell’ateneo. L’iniziativa promossa dal Pontificio Consiglio della Cultura risponde a un’iniziativa di Benedetto XVI.

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Quali reazioni interrogative ha suscitato in me questa intuizione del Presidente del Consiglio Pontificio della Cultura?

Il problema di Dio, declinato come rapporto tra fede e ragione, è solo una occupazione ‘diurna’ di filosofi e teologi, psicologi e antropologi, oppure riguarda la riflessione ‘notturna’ di ognuno di noi?

Il dialogo credenti/non-credenti, oltre che dimostrare la compatibilità tra religiosità e laicità, può assumere forme e toni che contribuiscano a chiarire e arricchire l’originalità e nobiltà delle rispettive posizioni?

Un’Università pubblica e laica, nel momento in cui ospita il confronto tra il credere e l’intelligere, abdica alla propria autonomia oppure assolve la propria funzione di istituzione vocata, per natura e storia, alla formazione e alla ricerca?

Queste domande – che si possono riassumere nell’interrogativo polemico di Tertulliano “cos’hanno in comune Gerusalemme e Atene?” – oggi si caricano di nuovi contributi, nuove difficoltà e nuove prospettive, soprattutto dopo l’avvento di due inattesi “barbari”: la globalizzazione, col suo profeta Internet, e le culture “altre”, non riducibili ai nostri canoni classici.

Anzitutto io penso che parlare dell’uomo equivalga a parlare di Dio, e parlare di Dio equivalga a parlare dell’uomo: dico questo, non per arruolare tutti nella grande truppa dei credenti né per limitare il discorso al Dio-fatto-uomo del Cristianesimo: molto più semplicemente perché essere uomini fino in fondo significa porsi le questioni ultime e interpretare la vita come continua interrogazione e ricerca di quella verità che non è mai né comoda né consolatoria. E preliminarmente distinguere i fini dai mezzi: questi ultimi così invasivi e aggressivi da oscurare e soffocare i primi.

Le risposte potranno essere molteplici divergenti e anche divaricate: l’intellettuale greco si rassegnerà al Dio ignoto; Paolo e Agostino nel pieno di una vita scomposta si convertiranno al Deus patiens cristiano, ponte tra l’abisso del peccato e l’abisso della grazia; Marx e Nietzsche negheranno Dio perché nemico della libertà e della dignità dell’uomo; Dostoevskij, trovando insopportabile la sofferenza dell’innocente, bestemmierà il nome di Dio e gli restituirà il biglietto di uno spettacolo così indecente; Pascal, in una serrata teoria dei vantaggi comparati, scommetterà sull’esistenza di Dio. Ognuno di noi, a suo modo, per volontà o per accidente, finisce per trovarsi a faccia a faccia con il problema: se non altro, quando sbatte contro lo scoglio di quella “realtà dura e contronatura che non è un bene per nessuno” e che si chiama morte (Agostino, La città di Dio 13, 6 habet enim asperum sensum et contra naturam … nulli bona est).

E a proposito della domanda religiosa gioverà anche ricordare l’etimologia vera e confortante di religio (da re-legere), che rimanda alla “raccolta paziente delle idee”, al “vaglio continuo”, alla “riflessione scrupolosa”; piuttosto che a quella popolare e ambigua (da re-ligare), che rimanda al “legame”, al “vincolo”, alla “cattività” tra uomo e Dio: etimologia, questa, sorprendentemente e parimenti cara, per motivi opposti e non disinteressati, sia ai pagani sia agli stessi apologisti cristiani.

In secondo luogo il dialogo, vale a dire “l’uso condiviso (dia-) della ragione (logos)” tra credenti e non credenti, va inteso come un’opportunità reciproca. Aprirsi alle ragioni degli altri, specchiarsi nel prossimo al contempo uguale e diverso da sé, accettare la sfida di terreni ignoti: tutto ciò rende omaggio e servizio alla nostra natura di esseri pensanti, itineranti, rivolti all’attesa. L’assenza del confronto, viceversa, inaridisce mente e cuore, e genera incomprensioni, pseudocertezze, fanatismi, fino a negare e contraddire proprio ciò in cui si crede: sia essa fede religiosa o laica.

Qui – per usare una terminologia cara alla filosofia da Platone in poi – le “navigazioni” potranno essere diverse: quella naturale degli scienziati, quella razionale dei filosofi, quella religiosa dei credenti.

Con il Cortile dei Gentili il dialogo sale «in cattedra». Io credo che il dialogo, solo il dialogo ci salverà.

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ZENIT Staff

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