Il Papa: nell’amicizia con Gesù, l'amore per il prossimo

Nell’udienza alla Fraternità sacerdotale dei missionari di San Carlo Borromeo

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ROMA, domenica, 13 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Occorre nutrire una profonda amicizia per Gesù per poter servire gli altri. E’ quanto ha detto questo sabato Benedetto XVI ai partecipanti all’Assemblea generale della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, nata venticinque anni fa dal movimento di Comunione e liberazione. 

Una realtà che conta venticinque case in sedici Paesi del mondo, centoquattro preti e quaranta seminaristi impegnati prevalentemente nella missione parrocchiale e nell’insegnamento, a testimonianza, ha detto il Papa, della “fecondità” del carisma di don Luigi Giussani.

E proprio nella “sapienza cristiana” di don Giussani, nel “suo amore per Cristo e per l’uomo, indistruttibilmente congiunti” affondano le radici della Fraternità sacerdotale, ha detto il suo fondatore e Superiore generale, don Massimo Camisasca, in un breve indirizzo di saluto al Papa.

In particolare, ha spiegato, “l’esperienza della comunione, di cui don Giussani è stato per noi un maestro ci ha portato, fin dall’inizio, a scegliere la vita comune e perciò la casa come luogo di irraggiamento della fede”.

Nel suo discorso, Benedetto XVI ha innanzitutto ribadito che “il sacerdozio cristiano non è fine a sa stesso”. Esso, ha infatti sottolineato, “è stato voluto da Gesù in funzione della nascita e della vita della Chiesa”.

“La gloria e la gioia del sacerdozio è di servire Cristo e il suo Corpo mistico – ha detto il Pontefice –. Esso rappresenta una vocazione bellissima e singolare all’interno della Chiesa, che rende presente Cristo, perché partecipa dell’unico ed eterno Sacerdozio di Cristo”.

Il Papa ha poi posto l’accento sull’importanza della preghiera da vivere come “dialogo con il Signore risorto” e sul “valore della vita comune”, non solo come risposta alle urgenze del momento quali la carenza di sacerdoti ma anche come “espressione del dono di Cristo che è la Chiesa”, “prefigurata nella comunità apostolica, che ha dato luogo ai presbiteri”.

“Nessun sacerdote infatti – ha spiegato – amministra qualcosa che gli è proprio, ma partecipa con gli altri fratelli a un dono sacramentale che viene direttamente da Gesù”.

Vivere con altri, ha osservato, “significa accettare la necessità della propria continua conversione e soprattutto scoprire la bellezza di tale cammino, la gioia dell’umiltà, della penitenza, ma anche della conversazione, del perdono vicendevole, del mutuo sostegno”.

Ma se “nessuna autentica vita comune è possibile senza la preghiera” è anche vero che “occorre stare con Gesù per poter stare con gli altri”.

“È questo il cuore della missione – ha quindi concluso –. Nella compagnia di Cristo e dei fratelli ciascun sacerdote può trovare le energie necessarie per prendersi cura degli uomini, per farsi carico dei bisogni spirituali e materiali che incontra, per insegnare con parole sempre nuove, dettate dall’amore, le verità eterne della fede di cui hanno sete anche i nostri contemporanei”.

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ZENIT Staff

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