di padre Angelo del Favero*
Roma, venerdì, 11 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Egli ti ha posto davanti fuoco e acqua: là dove vuoi tendi la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. (…) A nessuno ha comandato di essere empio, e a nessuno ha dato il permesso di peccare (Sir 15,16-20).
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. (…) Io vi dico..: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio”. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geenna.(…) Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.(…) (Mt 5,17-37).
Gesù è venuto a dare “pieno compimento alla Legge” (Mt 5,17), e a rivelare che “pienezza della Legge è la carità” (Rm 13,10). L’antico “occhio per occhio, dente per dente” (Es 21,24), da Gesù è sostituito con la misericordia e il perdono: “amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano..siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6, 27.36).
Per questo il Vangelo è “buona notizia”! Ma il Vangelo di oggi può dare l’impressione di una drasticità che sa ancora di antica Legge. Gesù, infatti, ci avvisa severamente sulle conseguenze di certi peccati, facendo temere il giudizio di Dio e dando consigli fin troppo radicali per non finire nell’inferno: “Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te;..tagliala (la mano destra) e gettala via da te…” (Mt 5,29-30).
Certo, questa Parola non ha niente a che fare con la mutilazione del corpo, dato che vuol solo far intendere la necessità di una determinazione assoluta nell’impegno di eliminare ogni grave abitudine di peccato; tuttavia proprio per questo non si può sottovalutare ciò che Gesù afferma sulle conseguenze della negligenza colpevole: il giudizio, il sinedrio e il fuoco della Geenna.
Al primo posto tra i peccati egli ricorda l’omicidio: “Avete inteso che fu detto agli antichi: non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico..” (Mt 5,21s).
Riflettiamo sul significato fisico del precetto “non ucciderai”.
Oggi l’omicidio che per numero di vittime e gravità di conseguenze è al primo posto nel mondo intero è l’aborto volontario, definito dalla Chiesa “abominevole delitto” al pari dell’infanticidio (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 51) e considerato un peccato tanto grave da comportare la sanzione penale della scomunica.
Vogliamo perciò soffermarci sull’autentico significato spirituale di tale grave sanzione, considerato che la piaga spirituale del peccato di aborto è diffusissima anche fra i battezzati.
Per “aborto”, il Diritto Canonico intende l’interruzione volontaria della gravidanza, dal concepimento alla nascita. Al riguardo, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) e il Codice di Diritto Canonico (CIC) affermano: “La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. “Chi procura l’aborto, ottenendo l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae” (CIC, can. 1398) “per il fatto stesso d’aver commesso il delitto” (CIC, can. 1314). La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all’innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società” (CCC 2272).
La sottolineatura “ottenendo l’effetto” permette di affermare che non incorre nella scomunica chi fa uso di farmaci “intercettivi” (la “pillola del giorno dopo”: Norlevo, EllaOne, ecc.), i quali agiscono intercettando mortalmente l’embrione nel suo percorso verso la parete uterina. Infatti, dato che non si può sapere se il concepimento sia avvenuto o meno dopo il rapporto sessuale, non può esserci certezza di avvenuto aborto. Al contrario, chi fa uso di farmaci “contragestativi” (l’RU486), che agiscono compromettendo irreparabilmente l’impianto vitale dell’embrione nella parete uterina, incorre nella scomunica se sussistono determinate condizioni (età maggiore di 16 anni, piena avvertenza, deliberato consenso, ecc..: cfr cann. 1323, e 1324 del CIC). Lo stesso vale per l’aborto ottenuto con qualunque altro mezzo: chirurgico, chimico, meccanico.
Il motivo della scomunica è perciò pastorale: si tratta di salvare la vita dell’anima!
Tale sanzione medicinale si oppone infatti a quella gravissima malattia della coscienza che è l’anestesia del senso del peccato contro la vita.
Davanti alla vita, oggi l’uomo sta indifferente, come davanti alla morte, poiché una sola cosa desidera scegliere: il proprio piacere; ma Dio lo avverte: “Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà” (Sir 15,17). Il fatto criminoso dell’aborto non accade solo nel grembo, ma anche fuori di esso, nel vetro di in una provetta. Nella fecondazione artificiale, infatti, la sorte è fatale per circa il 94 % dei figli innocenti concepiti, tutti fratelli di coloro che sono stati trasferiti nel grembo “con successo”. Dal 2005 ad oggi, in Italia, i bambini nati con tecniche di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) sono stati 31.791, al prezzo di 550.000 loro fratelli uccisi nell’indifferenza generale.
Il danno che la Chiesa vuole evitare mediante la sanzione della scomunica, non è solo quello irreparabile della morte di un numero così sterminato di persone, ma anche quello della ferita profonda nel cuore dei genitori dei figli abortiti, assieme a quello dell’autodistruzione “legale” della nostra società, sempre più vittima della perversa cultura di morte generata dalle leggi contrarie alla vita.
Pur comprendendo tale intendimento “terapeutico”, si può avere l’impressione che la sanzione della scomunica consista in una drastica rottura del rapporto vitale con la Chiesa e con il Dio della misericordia. Sembra quasi che il consiglio di Gesù di cavare e gettare via da sé l’occhio o la mano responsabili di uno scandalo, la Chiesa lo metta in pratica senza pietà nei confronti delle persone che hanno abortito.
Ma, al di là del vocabolo, si tratta di capire il senso profondo della “scomunica”. Il termine, in effetti, non appare felice: sa di punizione, di rifiuto, di cacciata di casa. L’aggiunta poi delle parole latine “latae sententiae” (ai più non del tutto chiare), accentua tale impressione. “Latae sententiae” significa che all’aborto commesso è automaticamente associata la pena della scomunica, con-portata dal fatto in sé (latae = portata, da “ferre” = portare), come un cortocircuito che interrompe la corrente elettrica.
Ma il significato della scomunica non è né quello di uno sfratto dalla Chies
a, né quello di un’amputazione di un suo membro dal Corpo di Cristo.
Anche se la parola di per sé non fa pensare alla bontà di Gesù con l’adultera, la Chiesa che “scomunica” lo fa per comportarsi esattamente come Lui, quasi dicendo alla persona scomunicata: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11).
La scomunica, infatti, è una sanzione, non una condanna; cioè è pena medicinale, correttiva, che aiuta con massima efficacia a non peccare più, non solo educando alla gravità delle conseguenze, ma offrendo subito la grazia del perdono che salva. Chi è scomunicato non può accedere ai sacramenti, ma solo fintanto che non si confessa, allo stesso modo in cui un paziente non può entrare in sala operatoria senza preparazione chirurgica. In tal modo, la scomunica automatica interviene sul piano delle conseguenze immediate del peccato commesso, avendo come fine non la punizione del battezzato, ma il suo ravvedimento. L’aborto infatti, e la cooperazione formale ad esso, causano una specie di “black-out” interiore (come quando saltano le valvole per un consumo eccessivo di corrente) che “spegne” la luce della presenza di Dio nell’anima, togliendo la pace del cuore e la gioia di vivere. La “scomunica latae sententiae” è in realtà un “avviso di interruzione di grazia”, un avviso anche preventivo.
In verità, perciò, con la scomunica la Chiesa non intende restringere il campo della comprensione e della misericordia, come scrive il beato Giovanni Paolo II nell’enciclica Evangelium vitae: “E’ vero che molte volte la scelta abortiva riveste per la madre carattere drammatico e doloroso, in quanto la decisione di disfarsi del frutto del concepimento non viene presa per ragioni egoistiche e di comodo, ma perché si vorrebbero salvaguardare alcuni importanti beni, quali la propria salute o un livello dignitoso di vita per gli altri membri della famiglia. Talvolta si temono per il nascituro condizioni di esistenza tali da far pensare che per lui sarebbe meglio non nascere. Tuttavia, queste e altre simili ragioni, per quanto gravi e drammatiche, non possono mai giustificare la soppressione deliberata di un essere umano innocente” (n. 58).
Concludo, infine, con la risposta a due domande fondamentali:
1) Come fare a sapere se in un caso di aborto la persona interessata è incorsa nella scomunica? Occorre guardare queste nostre sorelle e fratelli con lo sguardo del cuore e alla luce del Vangelo della vita, tenendo ben presenti i cann. 1321-1325 del CIC, che regolano la materia “Il soggetto passivo delle sanzioni penali”.
2) Chi può assolvere dal peccato d’aborto? Tradizionalmente tutti i sacerdoti di un Ordine Religioso, mentre, per quanto riguarda il clero diocesano, le disposizioni in materia vengono date dal vescovo Ordinario del luogo.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.