ROMA, giovedì, 10 febbraio 2011 (ZENIT.org).- “La morte di Sebastian, Patrizia, Fernando e Raul è come un macigno che ci pesa sul cuore e ci invita ad un grave esame di coscienza, ciascuno per la sua parte di responsabilità”. Lo ha detto mercoledì sera il Cardinale Agostino Vallini, Vicario del Papa per la diocesi di Roma, nella Veglia di preghiera celebrata nella basilica Santa Maria in Trastevere.
Un incontro voluto dalla comunità ecclesiale per testimoniare il dolore e la vicinanza ai parenti delle vittime dopo il tragico rogo divampato il 6 febbraio in un insediamento abusivo all’altezza del civico 803 di via Appia Nuova, in cui hanno perso la vita i tre figli di Mircea Erdei e della moglie Elena (Sebastian di 11 anni, Patrizia di 9, Fernando di 7) e il nipote Raul, di 4 anni. Ma anche una giornata di lutto cittadino voluta dal sindaco Gianni Alemanno, con un minuto di silenzio nelle scuole e in tutti gli uffici comunali e bandiere a mezz’asta in tutta Roma.
Negli ultimi 20 anni, nella Capitale – dove ci sono attualmente 7 campi nomadi ufficiali e altri 94 abusivi – il bilancio dei bambini Rom morti per cause accidentali è salito a 54. I Rom e i Sinti che vivono nei campi in Italia sono invece 40.000 (il 40% dei quali con meno di 14 anni), secondo i dati diffusi mercoledì dalla Commissione per i Diritti Umani del Senato.
Se da una parte, ha detto il Cardinale Vallini nell’omelia, “dinanzi al mistero della morte si rimane sgomenti, perché – qualunque sia la forma con cui ci ferisce – la morte rende enigmatico e penoso il nostro destino di creature che anelano alla vita e alla gioia”, dall’altra “questo tragico evento pone anche a ciascuno di noi una domanda: potevamo fare qualcosa per scongiurare questa morte ingiusta?”.
“Questi nostri anni – ha continuato – , segnati da una globalizzazione problematica, tra gli altri fenomeni registrano il crescente movimento di persone e di famiglie che emigrano dalle loro terre per fuggire dalle guerre, dalle violenze e dalla fame, alla ricerca disperata di pace e di dignità”.
“Certo – ha aggiunto il porporato – , la presenza degli immigrati pone nuovi problemi che non possiamo eludere né semplificare: sarebbe un errore umano gravissimo affrontare con superficialità ciò che è invece complesso e richiede per essere risolto efficacemente tempo, pazienza e lungimiranza”.
Tuttavia, ha precisato, “dinanzi a questo fenomeno è necessaria anzitutto una conversione personale e comunitaria del cuore, che ci faccia guardare la realtà con gli occhi della verità: non dimentichiamo che abbiamo davanti uomini e donne come noi, bambini come i nostri figli, fratelli nostri, che valgono non per quello che hanno o possiedono ma per quello che sono, persone umane”.
Questo però non deve far pensare solo a delle soluzioni politiche e normative, ha spiegato, perché è “necessaria una visione dell’uomo e della società che diventi cultura diffusa, ispirata dal rispetto per ogni uomo, perché è uomo, una cultura aperta all’accoglienza e alla solidarietà, nella legalità, per una integrazione sociale degna di una società progredita”.
“Dinanzi ai tanti poveri, vecchi e nuovi, della nostra città dobbiamo chieder perdono a Dio e a loro di quanto non abbiamo fatto e convertirci. Lo facciamo questa sera meditando sulla morte di questi quattro amati bambini: nel loro sacrificio impegniamoci per una vita nuova”.
“Ma la carità è inseparabile dalla giustizia – ha ricordato ancora –. Domandiamoci se non dobbiamo riparare in tanti casi alla giustizia negata, promuovendo una concezione della società in cui gli immigrati non siano considerati solo una fonte di problemi, ma persone meno provvedute e come noi titolari di diritti fondamentali”.
“Né va dimenticato che essi sono di grande aiuto alla vita della comunità civile, nella quale svolgono molto spesso lavori umili e faticosi e offrono un prezioso contributo alla stessa economia del nostro paese – ha sottolineato ancora –. In questa logica non parleremo più di assistenzialismo, ma di impegno per la giustizia e la solidarietà”.
“Oggi il fenomeno immigrazione, a Roma, come in tante altre città, è una grave emergenza, che richiede misure urgenti per essere affrontata e superata”, ha continuato rivolgendo poi alle istituzioni civili l’invito ad “andare oltre l’emergenza”.
Occorre infatti, ha concluso, “operare con sapienza e pazienza per promuovere forme di integrazione sociale che permettano a chi si trasferisce nel nostro paese e vive legalmente condizioni di vita alla pari di tutti gli altri cittadini, a cominciare dal diritto alla casa, alla scuola dei figli, al lavoro. E’ una questione di giustizia che un paese democratico non può eludere”.