Indonesia: cresce l'intolleranza verso le minoranze religiose

Attaccate oggi tre chiese e due centri cristiani a Temanggung, nella Giava Centrale

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di Paul De Maeyer

ROMA, martedì, 8 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Nella capitale dell’Indonesia, Giacarta, è stata inaugurata domenica 6 febbraio con un evento nello stadio “Istora Senayan”, dove il 9 ottobre del 1989 Papa Giovanni Paolo II celebrò una messa, la “Settimana per l’Armonia Interreligiosa”, un’iniziativa sponsorizzata dalle Nazioni Unite. Ma dietro ai proclami di circostanza e agli inviti alla reciproca tolleranza e all’accettazione si cela purtroppo una realtà poco brillante.

Lo dimostra la notizia diffusa da AsiaNews che martedì 8 febbraio una folla di musulmani inferociti ha attaccato e distrutto a Temanggung – capoluogo dell’omonima reggenza nella provincia di Giava Centrale – tre chiese, fra cui la parrocchia cattolica di san Pietro e Paolo, un orfanotrofio cristiano e un centro sanitario delle Suore della Provvidenza. Nel raid è stato percosso anche il parroco, padre Saldanha, missionario della Sacra Famiglia, colpito mentre cercava di proteggere il tabernacolo e l’Eucaristia.

A scatenare l’ira della folla, che chiedeva la pena di morte, era la condanna a cinque anni di carcere – considerata “troppo mite” – inflitta ad un cristiano accusato di proselitismo e blasfemia, Antonius Richmond Bawengan, 58 anni. L’uomo, originario della provincia del Sulawesi Settentrionale, era stato arrestato nell’ottobre scorso perché aveva distribuito materiale missionario ritenuto offensivo nei confronti dell’islam. La folla ha preso d’assalto prima il tribunale, per poi scendere nelle strade della città inneggiando alla violenza: “uccidere, uccidere” e “bruciare, bruciare” (Jakarta Globe).

“Siamo scossi da questo evento. La violenza non è mai una buona soluzione. Chiediamo a tutti, musulmani e cristiani, di affrontare le questioni con senso di civiltà e spirito di fraternità. Invito i fedeli cattolici e tutti i cristiani a non reagire alla violenza. Vogliamo dare un segno di pace a tutti”, così ha detto a Fides monsignor Johannes Pujasumarta, arcivescovo di Semarang e segretario della Conferenza Episcopale dell’Indonesia (KWI o Konferensi Waligereja Indonesia), il quale ha parlato di una “violenza pianificata e orchestrata”. Il presule preparerà anche un messaggio ai fedeli.

Le sue parole sono state confermate dal gesuita Ignazio Ismartono, esperto dei vescovi indonesiani per il Dialogo interreligioso. “L’aumento dell’intolleranza – in un contesto come quello indonesiano, caratterizzato dalla pacifica convivenza – fa pensare che vi siano delle forze oscure che vogliono alimentare la tensione nella società. La violenza a Temanggung era in preparazione da giorni, ma la polizia non ha fatto nulla per prevenire i disordini”, ha detto sempre a Fides.

Tutto indica, infatti, che nel più popoloso paese musulmano del globo (con oltre 220 milioni di abitanti l’Indonesia è anche la quarta nazione più popolosa del pianeta) gli attacchi e gli atti di intolleranza nei confronti delle minoranze religiose sono in netto aumento. L’ultima inchiesta al riguardo è stata pubblicata nei giorni scorsi dal Setara Institute for Democracy and Peace. Dai dati raccolti da questo centro con sede a Giacarta emerge che nel corso del 2010 sono state registrate in Indonesia almeno 216 violazioni della libertà di religione e di culto.

Mentre 91 casi (ovvero quasi la metà) si sono verificati nella parte occidentale di Giava – l’isola principale e più popolosa dell’arcipelago indonesiano – e 28 nella parte orientale; quelli contro le varie denominazioni cristiane sono stati 75. Secondo l’istituto, si tratta di un netto aumento rispetto all’anno precedente, quando furono appena 12. Come riferisce Compass Direct News (3 febbraio), nella maggior parte di questi 75 incidenti, cioè 43, si è trattato di attacchi contro edifici di culto ed altre minacce alla sicurezza.

Gli autori delle violenze erano nella maggioranza dei casi membri di movimenti radicali musulmani. Secondo Ismail Hasani, ricercatore presso il Setara Institute, tra questi gruppi fondamentalisti spiccano l’Islamic Defenders Front (FPI) e l’Islamic People’s Forum (FUI), che sono stati responsabili rispettivamente di almeno 17 e 11 incidenti del genere.

Una delle difficoltà che le varie denominazioni cristiane incontrano in Indonesia è ottenere i necessari permessi per poter costruire nuovi luoghi di culto o effettuare lavori di ristrutturazione. Emblematico è il caso della chiesa protestante Taman Yasmin a Bogor, nella Giava Occidentale, i cui lavori sono stati bloccati nel 2008 dalle autorità locali su richiesta del FUI. Neppure una sentenza della Corte Suprema indonesiana, emessa il 14 gennaio scorso, è riuscita a sbloccare la situazione. Come riferisce il Jakarta Post (29 gennaio), la comunità protestante di Bogor ha chiesto adesso ai giudici supremi una copia ufficiale della sentenza, nella speranza di mettere a tacere le voci degli estremisti.

Dopo la comunità cristiana, la minoranza religiosa più esposta a gravi violazioni o abusi in Indonesia è la setta musulmana degli ahmadiyya (o Ahmadi), considerati “eretici” o “apostati”, perché ritengono che Maometto non sia l’ultimo profeta. Secondo i dati del Setara Institute, questa minoranza, che in Indonesia conterebbe appena 200.000 seguaci, ha subito ben 50 attacchi nell’arco del 2010.

L’ultimo gravissimo episodio si è verificato proprio domenica scorsa, 6 febbraio, quando una folla di circa 1.500 persone (armate di spranghe e di machete) ha preso d’assalto l’abitazione di un capo della minoranza nel villaggio di Cikeusik, nella provincia di Banten (estremo ovest di Giava). Come riferisce l’agenzia Associated Press (6 febbraio), l’attacco si è concluso con almeno tre morti e 6 feriti, di cui 4 sono in gravi condizioni.

Come in altri paesi musulmani, i capi delle minoranze e i gruppi per i diritti umani denunciano l’inazione, nonché la connivenza o collusione delle autorità con i radicali, spesso per fini elettorali. Nei giorni scorsi, il vescovo di Padang, monsignor Martinus Dogma Situmorang, ha lanciato un duro monito a tal riguardo e ha bollato come “pigra” la risposta della classe governativa ai veri problemi del paese. Secondo il presule, in Indonesia è in atto una “crisi morale”, la quale va insieme con la crescita dell’intolleranza, un fenomeno davanti al quale la Chiesa non può rimanere in silenzio (AsiaNews, 1 febbraio).

Molti osservatori criticano d’altronde il presidente dell’Indonesia, Susilo Bambang Yudhoyono (noto anche semplicemente come SBY). Secondo Hasani, del Setara Institute, il presidente fa finta di non vedere le varie violazioni della libertà di religione nel suo paese. Durante un incontro con rappresentanti della Chiesa, il mandatario ha ribadito infatti il 21 gennaio scorso con orgoglio che durante la sua amministrazione non ci sono stati seri abusi dei diritti umani. “Al contrario”, così sostiene Hasani: “non ci sono state iniziative o progressi significativi per superare i vari abusi affrontati dalla Chiesa cristiana” (Compass Direct News, 3 febbraio).

Gli ultimi sviluppi hanno costretto però il presidente a reagire. Come riferisce il Jakarta Globe, il ministro coordinatore degli Affari Politici, Legali e di Sicurezza, Djoko Suyanto, ha diffuso infatti oggi un comunicato da parte di Yudhoyono. “Il presidente denuncia l’atto anarchico perpetrato da un gruppo di persone, che hanno danneggiato luoghi di culto ed altre strutture a Temanggung”, così dice il testo. La polizia di Giava Centrale ha ricevuto anche l’ordine di identificare immediatamente i responsabili e di condurli in tribunale. Con qualche successo. Infatti, sempre secondo il Jakarta Globe, le forze di polizia hanno arrestato proprio in queste ore un primo sospetto.

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ZENIT Staff

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