di Mirko Testa
CITTA’ DEL VATICANO, giovedì, 3 febbraio 2011 (ZENIT.org).- La Commissione internazionale anglicana-cattolica ha annunciato che il primo incontro della terza fase di dialogo (denominata ARCIC III) sarà ospitato presso il Monastero di Bose, nei pressi di Biella, dal 17 al 27 maggio 2011.
La Commissione approfondirà tematiche come “La Chiesa come comunione, locale e universale” e “Come, nella comunione, la Chiesa locale e universale giunge a discernere il giusto insegnamento etico”. L’iniziativa riflette la volontà espressa da Papa Benedetto XVI e dall’Arcivescovo di Canterbury, il dott. Rowan William, in occasione del loro incontro a Roma nel novembre del 2009.
Il dialogo ufficiale tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana – proposto da Paolo VI e dall’Arcivescovo di Canterbury Michael Ramsey nel 1966 – viene portato avanti attraverso la Commissione internazionale anglicana-cattolica (ARCIC), istituita nel 1970, e attraverso la Commissione internazionale anglicana-cattolica per l’unità e la missione (IARCCUM), creata nel 2001 per tradurre in passi concreti il grado di comunione spirituale raggiunto.
L’ARCIC III è composta da 18 membri (10 da parte anglicana e 8 da parte cattolica) e riunisce in sé un ampio spettro di background culturali e discipline teologiche. I suoi Copresidenti sono mons. Bernard Longley, Arcivescovo di Birmingham, in Inghilterra (cattolico) e l’Arcivescovo David Moxon delle diocesi della Nuova Zelanda (anglicano).
La prima fase del lavoro dell’ARCIC (1970-1981) è stata suggellata dalle dichiarazioni sull’Eucaristia e sul ministero e da due dichiarazioni sull’autorità nella Chiesa; mentre la seconda fase (1983-2005) ha prodotto dichiarazioni sulla salvezza, sulla giustificazione, sull’ecclesiologia così come ulteriori studi sull’autorità della Chiesa.
Nel corso degli ultimi 20 anni, l’ARCIC ha pubblicato cinque dichiarazioni congiunte: “La Salvezza e la Chiesa” (1987), “La Chiesa come comunione” (1991), “La vita in Cristo” (1994), “Il dono dell’autorità” (1999), “Maria: Grazia e Speranza in Cristo” (2005).
Queste dichiarazioni dell’ARCIC non costituiscono una presa di posizione ufficiale né della Chiesa Cattolica Romana né tanto meno della Comunione Anglicana, quanto piuttosto dei documenti suscettibili di uno studio e una valutazione ulteriori.
La Chiesa d’Inghilterra riflette sui dogmi mariani
Il Sinodo Generale della Chiesa di Inghilterra, che si aprirà lunedì prossimo, ha messo tra i temi all’ordine del giorno che verranno affrontati il 9 febbraio anche il documento “Maria: Grazia e Speranza in Cristo”, noto anche come “Dichiarazione di Seattle”. Per l’occasione il dibattito verrà introdotto da una presentazione del Vescovo anglicano di Guildford, il rev. Christopher Hill, e dal Vescovo ausiliare di Westminster, mons. George Stack.
Il documento annunciato già nel 1999 è stato ispirato dalla pubblicazione dell’Enciclica Ut unum sint del 1995, dove nel paragrafo 79 Giovanni Paolo II parla di Maria come “Madre di Dio e icona della Chiesa”.
Il frutto del lavoro della Commissione congiunta non scioglie completamente i nodi teologici che separano anglicani e cattolici, e che riguardano principalmente i dogmi mariani dell’Immacolata Concezione (1854) e dell’Assunzione di Maria in Cielo (1950), in quanto rivelati da Dio, secondo la Chiesa cattolica, mentre per gli anglicani la Sacra Scrittura contiene tutto ciò che è necessario alla salvezza.
Già in una dichiarazione del 1981 – “L’Autorità nella Chiesa II” – l’ARCIC osservava che i due dogmi “suscitano un problema particolare per quegli anglicani che non ritengono che le definizioni precise fornite da questi dogmi siano sufficientemente sostenute dalle Scritture”.
In un rapporto redatto, tuttavia, dal Faith and Order Advisory Group (FOAG) della Chiesa d’Inghilterra si legge che il documento “rappresenta un autentico progresso ecumenico”, sebbene “permanga ancora la questione cruciale dello status dei dogmi mariani e delle scomuniche associate ad essi”.
“Maria: Grazia e Speranza in Cristo”
La prima sezione del documento delinea il ruolo di Maria nelle Scritture. A questo proposito al paragrafo 30 si dice che: “La testimonianza nelle Scritture invita tutti i credenti di ogni generazione a chiamare ‘benedetta’ Maria, questa donna ebrea di umili condizioni, questa figlia di Israele che viveva nella speranza della giustizia per il povero, che Dio ha riempito di grazia e ha scelto per essere la madre vergine di suo Figlio per l’azione dello Spirito Santo”.
“Dobbiamo benedirla – si legge ancora – come la ‘serva del Signore’ che ha dato il suo consenso incondizionato al compimento del piano salvifico di Dio, come la madre che meditava tutte le cose nel suo cuore, come la rifugiata in cerca di asilo in terra straniera, come la madre trafitta dalla sofferenza innocente del proprio figlio e come la donna alla quale Gesù ha affidato i suoi amici”.
La seconda sezione del testo tratta la figura di Maria nelle “antiche tradizioni comuni”, vale a dire nei primi Concili della Chiesa – che sono fonti di autorità sia per gli anglicani che per i cattolici – e negli scritti dei Padri della Chiesa, teologi dei primi secoli del cristianesimo. Di seguito ripercorre “la crescita della devozione a Maria nei secoli medievali e le controversie teologiche associate ad essi”, mostrando “come alcuni eccessi nella devozione alla fine del Medioevo e le reazioni contro questi da parte dei riformatori abbiano contribuito ad una rottura della comunione tra di noi”.
La terza sezione del documento inizia con il contemplare Maria e il suo ruolo nella storia della salvezza nel contesto di “una teologia di grazia e di speranza”. A questo proposito utilizza come chiave interpretativa la Lettera di San Paolo ai Romani (8,28-30) in cui l’apostolo fornisce un modello di grazia e di speranza operative nel rapporto tra Dio e l’umanità: “(Dio) quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati”.
Ella è stata “indicata fin dall’inizio come l’eletta, chiamata e colmata di grazia da Dio attraverso lo Spirito Santo per il compito che le spettava” (par. 54). Nel “fiat” liberamente pronunciato da Maria – “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38) – vediamo “il frutto della sua preparazione precedente, espressa nell’affermazione di Gabriele su di lei come ‘piena di grazia’” (par. 55).
Così, si legge nel documento, “in vista della sua vocazione ad essere la madre del Santo (Lc 1,35), possiamo affermare insieme che l’opera redentrice di Dio ha raggiunto Maria nella profondità del suo essere e fin dall’inizio” (par. 59).