Omelia del Card. Bertone nella Cattedrale cattolica di Karaganda

ROMA, domenica, 5 dicembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata questo sabato dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, S.D.B. nel presiedere la Santa Messa nella vecchia Cattedrale cattolica di Karaganda, dedicata a San Giuseppe, a conclusione della sua visita pastorale in Kazakhstan

Share this Entry

* * *

Eccellenze,
cari Sacerdoti,
cari Religiosi e Religiose,
distinte Autorità,
cari fedeli!

All’inizio di questa solenne celebrazione eucaristica, mi è innanzitutto gradito farmi interprete dei cordiali sentimenti di Sua Santità Benedetto XVI, che, per mio tramite, invia a tutti una speciale Benedizione, e assicura in questi giorni della mia visita la Sua spirituale vicinanza. Unisco al Suo il mio affettuoso saluto per ciascuno di voi qui presenti. In particolare, saluto il Pastore di questa Chiesa, S. E. Mons. Jan Paweł Lenga, e lo ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto a nome di tutti. Saluto il Vescovo Ausiliare, i Sacerdoti, i Religiosi e le Religiose, i seminaristi e tutti i fedeli, con un ricordo speciale per i giovani. Saluto le Autorità che hanno voluto intervenire a questa festosa manifestazione di fede. Ringrazio quanti hanno preparato la mia visita e per ciascuno assicuro un grato ricordo nella preghiera.

Sono molto lieto di trovarmi a Karaganda, nel cuore delle sconfinate steppe dell’Asia Centrale, e di aver potuto constatare la presenza viva del Popolo di Dio visitando alcune delle opere significative della Diocesi e della Chiesa Cattolica in Kazakhstan, come i cantieri della nuova Cattedrale dedicata alla Madonna di Fatima, della Curia Vescovile e del Centro Sociale “Bonus Pastor”; il Monastero delle Suore Carmelitane di clausura, il Seminario Interdiocesano, senza dimenticare la Cattedrale di San Giuseppe, che venne edificata dai fedeli nel 1978, durante il periodo sovietico, e nella quale si trovano le tombe di alcuni eroici Sacerdoti che in quel periodo oscuro di sofferenza e di persecuzione dettero splendida testimonianza della propria fede, come S.E. Mons. Alexander Hira, per oltre vent’anni Pastore amato e generoso di Karaganda, e il Servo di Dio P. Wladysław Bukowiński. A loro, e a tutti gli altri che hanno consumato la vita fra stenti e prove di ogni genere, intendo rendere omaggio a nome di tutta la Chiesa.

Celebriamo oggi la seconda domenica di Avvento, tempo liturgico forte che ci prepara alla festa del Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Il messaggio spirituale dell’Avvento è però più profondo e ci proietta già verso il ritorno glorioso del Signore, alla fine dei tempi. Adventus è la parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico questo termine indicava l’arrivo di un funzionario regale, o addirittura la visita di re o dell’imperatore nelle province, ma poteva anche essere utilizzato per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la sua presenza veniva solennemente celebrata nel culto.

Adottando questo termine “Avvento”, i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera “provincia” denominata Terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi, che accogliamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si è ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e, se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ad ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria della prima venuta del Signore nella carne, pensando già al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero.

Questa consapevolezza, cari fratelli e sorelle, alimentata nell’ascolto della Parola di Dio, dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Dio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando “di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”, come ripeteremo tra poco nel Credo. In questa prospettiva, l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare incontro al Signore che viene.

In questa domenica il Vangelo ci prepara alla venuta del Salvatore con un insegnamento vigoroso, con un invito molto forte alla conversione. Abbiamo infatti ascoltato l’imperativo “metanoeite“: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino» (Mt 3,1). Giovanni Battista chiama ciascuno di noi alla metanoia, a cambiare mentalità. Chi vuole essere degno del nome cristiano deve continuamente «cambiare mentalità». Il nostro atteggiamento naturale ci porta a voler affermare noi stessi. Chi vuole trovare Dio, deve continuamente camminare interiormente, andare in una direzione diversa da quella che ci indica una mentalità materialista, individualista, edonista. E questo vale per tutto il nostro modo di concepire la vita. Ogni giorno, anche qui a Karaganda, ci confrontiamo con la realtà concreta che ci circonda. Irrompe in tutte le circostanze della vita quotidiana, con una potenza tale che siamo tentati di pensare che non ci sia altro che questo. Ma, in realtà, l’invisibile è più grande e vale più di tutto il visibile. Per sperimentare questa verità, è necessario cambiare mentalità, superare l’illusione che l’uomo abbia solo una dimensione orizzontale, visibile, e diventare sensibili e attenti nei confronti della sua dimensione verticale, dell’invisibile; considerarlo, anzi, più importante di tutto ciò che ci assale così prepotentemente tutti i giorni. Giovanni Battista ci esorta a questa metanoia e ci dice: convertitevi, trasformate il vostro modo di pensare, affinché Dio divenga presente in voi e, per mezzo di voi, in queste terre come in tutto il mondo. Neppure a Giovanni Battista fu risparmiato questo pesante processo di cambiamento della mentalità, del dovere della conversione. Lo vediamo proprio nel Vangelo odierno, quando grida nel deserto e deve annunciate Colui che neppure egli stesso conosce. Questo è anche il compito del sacerdote e di ogni cristiano che annuncia il Cristo. Anche noi dobbiamo dare testimonianza di Colui che conosciamo ancora e sempre troppo poco, e per questo dobbiamo conoscerlo sempre più pienamente! Proprio per noi sacerdoti la figura del Battista riveste un’eloquenza particolare. Ci ricorda con forza che non siamo chiamati a predicare noi stessi, ma Cristo Signore. La nostra missione è annunciare Lui, preparare la sua strada, non la nostra, affinché ogni fedele possa vivere l’incontro personale con Cristo risorto. Perciò, cari Confratelli, dobbiamo fuggire ogni individualismo e personalismo, e come il Battista gioire del fatto che Gesù possa “crescere” e noi “diminuire”.

La seconda lettura, tratta dalla sezione finale della Lettera ai Romani, contiene un caloroso appello all’accoglienza fraterna. Come sempre, per l’Apostolo la morale è modellata sul Cristo, e i comportamenti cristiani devono ricalcare quelli di Cristo. Ora, Gesù si è fatto servitore dei giudei con la sua incarnazione in un popolo, in una storia, in una cultura precisa. Così il cristiano deve inserirsi nell’ambiente sociale in cui vive, in una realtà talvolta difficile, testimoniando l’amore di Dio. Carissimi fratelli e sorelle, vi esorto ad essere sempre più figli devoti e solleciti, fedeli al patrimonio spirituale e culturale cristiano ereditato dai padri e capaci di adattarlo alle nuove esigenze. Il rispetto dei diritti di ciascuno, anche se di convinzioni personali diverse, è il presupposto di ogni
convivenza autenticamente umana. Cercate di vivere un profondo e fattivo spirito di comunione tra di voi e con tutti, ispirandovi a quanto gli Atti degli Apostoli attestano della prima comunità dei credenti (At 2,44-45; 4,32). La carità, che alimentate alla Mensa eucaristica, testimoniatela nell’amore fraterno e nel servizio ai poveri, ai malati, agli esclusi. Siate artefici di incontro, di riconciliazione e di pace tra persone e gruppi differenti, coltivando l’autentico dialogo, perché emerga sempre la verità.

La festa del Natale, che si avvicina, ridesta in noi una meravigliosa speranza nel progetto di Dio che, malgrado tutte le difficoltà presenti nel nostro mondo sempre travagliato da tendenze negative, da violenze ed ostilità reciproche, si realizza in Gesù. Il Signore viene per salvarci e, nella misura in cui nella fede apriamo a lui i nostri cuori, possiamo avere la certezza di essere veramente salvati, di ottenere, cioè, la gioia, la pace e la pienezza dell’amore e di contribuire, con la grazia di Dio, alla trasformazione positiva del mondo. E Tu, o Vergine Maria, Madre nostra, aiuta questi tuoi figli ad impegnarsi generosamente nella testimonianza della loro fede, perché il Vangelo di Gesù sia conosciuto e vissuto. Amen!

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione