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Vorrei riflettere sull'eucaristia come il sacramento che realizza e manifesta la koinonia della Chiesa e nello stesso tempo ne proclama le esigenze. In altre parole, l'eucaristia come profezia, ma anche epifania della comunione ecclesiale. Prendo lo spunto dal seguente noto testo di san Paolo: «Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1 Corinzi 10, 16-17). La parola «corpo» ricorre due volte nei due versetti, ma con un significato diverso. Nel primo caso, corpo indica il corpo reale di Cristo, nato da Maria, morto e risorto; nel secondo caso, corpo indica il corpo mistico, la Chiesa. Non si poteva dire in maniera più chiara e più sintetica che la comunione eucaristica è sempre comunione con Dio e comunione con i fratelli; che c'è in essa una dimensione, per così dire, verticale e una dimensione orizzontale e che perciò la comunione eucaristica è l'attuazione sacramentale dei due massimi comandamenti della legge: «Amerai il Signore Dio tuo... e il prossimo tuo come te stesso».

Paolo parla dell'eucaristia come comunione con il corpo e il sangue di Cristo. Ma che significano esattamente le parole corpo e sangue? La parola «corpo» non indica, nella Bibbia, una componente, o una parte, dell'uomo che, unita alle altre componenti che sono l'anima e lo spirito, forma l'uomo completo. Così ragioniamo noi che siamo eredi della cultura greca che pensava, appunto, l'uomo a tre stadi: corpo, anima e spirito (tricotomismo). Nel linguaggio biblico, e quindi in quello di Gesù e di Paolo, «corpo» indica tutto l'uomo, in quanto vive la sua vita in una condizione corporea e mortale. «Corpo» indica, dunque, tutta la vita. Gesù, istituendo l'eucaristia, ci ha lasciato in dono tutta la sua vita, dal primo istante dell'incarnazione all'ultimo momento, con tutto ciò che concretamente aveva riempito tale vita: silenzio, sudori, fatiche, preghiera, lotte, umiliazioni, in una parola «il vissuto» esistenziale e storico di Gesù. Cosa aggiunge allora la parola «sangue», se Gesù ci ha già donato tutta la sua vita nel suo corpo? Aggiunge la morte! Il termine «sangue» nella Bibbia non indica, infatti, una parte del corpo, cioè una parte di una parte dell'uomo; indica un evento: la morte. Se il sangue è la sede della vita (così si pensava allora), il suo «versamento» è il segno plastico della morte. Dire che l'eucaristia è il mistero del corpo e del sangue del Signore, significa dire che è il sacramento della vita e della morte del Signore, il sacramento che rende presente nello stesso tempo l'incarnazione e la passione del Salvatore.

Nell'eucaristia non c'è solo comunione tra Cristo e noi, ma anche assimilazione; la comunione non è solo unione di due corpi, di due menti, di due volontà, ma è assimilazione all'unico corpo, l'unica mente e volontà di Cristo. «Chi si unisce al Signore forma con lui un solo Spirito» (1 Corinzi 6, 17).

Nell'eucaristia noi riceviamo il corpo e il sangue di Cristo, ma anche Cristo «riceve» il nostro corpo e il nostro sangue. Gesù, scrive sant'Ilario di Poitiers, assume la carne di colui che assume la sua. Egli dice a noi: «Prendi, questo è il mio corpo», ma anche noi possiamo dire a lui: «Prendi, questo è il mio corpo».

Dare a Gesù le nostre cose — fatiche, dolori, fallimenti e peccati — è solo il primo atto. Dal dare si deve passare subito, nella comunione, al ricevere. Ricevere nientemeno che la santità di Cristo! Se non facciamo questo «colpo di audacia» non capiremo mai «l'enormità» che è l'eucaristia.

Riflettere sull'eucaristia è come vedersi spalancare davanti, a mano a mano che si avanza, orizzonti sempre più vasti che si aprono uno sull'altro, a perdita di vista. L'orizzonte cristologico della comunione si apre infatti su un orizzonte trinitario. In altre parole, attraverso la comunione con Cristo noi entriamo in comunione con tutta la Trinità. Il motivo ultimo di ciò è che Padre, Figlio e Spirito Santo sono un'unica e inseparabile natura divina, sono «una cosa sola».

Ci resta da dire della dimensione orizzontale della comunione eucaristica, la comunione con il corpo di Cristo che è la Chiesa e, in senso diverso, tutti gli uomini. Il pane eucaristico realizza l'unità delle membra di Cristo tra di loro, significandola. Ciò che i segni del pane e del vino esprimono sul piano visibile e materiale — l'unità di più chicchi di frumento e di una molteplicità di acini d'uva — il sacramento lo realizza sul piano interiore e spirituale. Lo realizza non però da solo, automaticamente, ma con il nostro impegno. In questo senso si può dire che l'eucaristia è «profezia» di comunione: nel senso che spinge ad essa, ne proclama le esigenze. Io non posso più disinteressarmi del fratello nell'accostarmi all'eucaristia; non posso rifiutarlo, senza rifiutare Cristo stesso e staccarmi, io, dall'unità. Il Cristo che viene a me, nella comunione, è lo stesso Cristo indiviso che va anche al fratello che è accanto a me; egli, per così dire, ci lega gli uni agli altri, nel momento in cui ci lega tutti a sé.

Si insiste giustamente sul fatto che l'eucaristia presuppone la piena comunione ecclesiale, ma non si dovrebbe tacere il ruolo che l'eucaristia, per sua natura, è destinata a svolgere nel promuovere la stessa comunione e in particolare la comunione tra tutti i cristiani. Essa non è solo effetto, ma anche causa di unità. Affrettare il giorno in cui potremo davvero «condividere lo stesso pane» e così mostrare che siamo «un corpo solo», è l'ardente aspirazione di tutti i credenti in Cristo.

[L'OSSERVATORE ROMANO - Edizione quotidiana - del 28 agosto 2010]