2. La rottura con l’Oriente nel Medio Evo

Passiamo ora al quadro storico che ci viene offerto dal Medio Evo. In questo periodo Milano fu coinvolta nei grandi cambiamenti che ridisegnarono il profilo dell’occidente europeo e dell’Italia, con l’istituzione del Sacro Romano Impero, la riforma gregoriana, il progressivo distacco dall’oriente bizantino. I rapporti con l’oriente si deteriorano e si indebolì la coscienza di una fraterna solidarietà. Gli incontri divennero rari, e con l’ignoranza crebbero i pregiudizi.

Particolarmente grave fu la separazione che si introdusse tra la Chiesa latina e quella greco-bizantina, e alcuni errori tragici - come lo scisma con la Chiesa bizantina del 1055, il sacco crociato di Costantinopoli, gli atteggiamenti di disprezzo e di antisemitismo - segnarono questo lungo periodo storico.

In questo quadro piuttosto buio, la tradizione ambrosiana continuò ad offrire un po’ di luce, perchè specialmente nell’architettura sacra e nella liturgia mantenne vivo nel popolo il senso di uno stretto rapporto con l’oriente. Intorno all’anno 1000 sorge sull’area del Foro, ormai abbandonato, una chiesa che col tempo viene ristrutturata sul modello della chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme e per questo chiamata con il nome di San Sepolcro. Questo tempio, collocato nel cuore della Milano romana, medievale e moderna, divenne ben presto centro della spiritualità del movimento di riforma della Chiesa ambrosiana, contribuendo a mantenere fisicamente e spiritualmente viva, fino ad oggi, la devozione e la coscienza di un rapporto diretto e peculiare fra Milano, Roma, Costantinopoli e Gerusalemme. San Sepolcro costituisce per noi, ancora oggi, un invito e un appello all’unità ecumenica della Chiesa indivisa di Cristo, e alla solidarietà con il popolo primogenito dell’Alleanza, Israele “secondo la carne”.

Un altro dato interessante: quando nel 1386 venne fondato l’attuale Duomo di Milano, la nuova cattedrale venne rivolta a oriente e nell’abside fu collocato il Cristo-Sole, centro ideale attorno al quale si stringe e si sviluppa tutta la città. Cristo risorto è il Sole di giustizia (Malachia 3, 20), è la Luce «che sorge dall’alto» (Lc 1, 78). Siamo nella linea di sant’Ambrogio che celebra nelle sue catechesi e canta nei suoi Inni l’infinita gloria di questo Sole:

O splendore del Padre,

O Luce nata da Luce,

Luce che origini luce,

Giorno che illumini i giorni.

Il gallo, mistico annunziatore del Cristo Messia che come il sole sorge da oriente all’alba, diventa in Ambrogio segno dell’attesa di una nuova aurora di redenzione universale nel Cristo: Gallo canente, spes redit, “Al canto del gallo, ritorna la speranza”. E’ quella stessa speranza di un’alba nuova, che guidava i Magi per il deserto verso la Stella che avevano visto nel suo sorgere in direzione di Betlemme.

Così, possiamo ben dire che - nonostante tutto - anche durante l’epoca medievale Milano mantenne vivo il senso dei suoi rapporti con il Mediterraneo e con l’Oriente, mentre la storia d’Europa in quel tempo spostò progressivamente il suo centro a nord delle Alpi, verso la Francia e la Germania.


3. Le nuove sfide dell’Età moderna

I secoli XVI e XVII videro la Chiesa milanese esercitare spesso un’azione sociale, civile e culturale che suppliva alle carenze della pubblica autorità, e il popolo seppe corrispondere con fiducia all’azione di pastori santi come Carlo Borromeo o illuminati come il suo cugino Federico.

Dopo Cristoforo Colombo e Magellano molte novità avevano lanciato nuove sfide alla Chiesa: la scoperta del Nuovo Mondo, la circumnavigazione del globo, le missioni cattoliche nelle Americhe e in Asia, gli inizi della scienza moderna, la Riforma invocata da Martin Lutero. Occorreva che la Chiesa d’occidente reagisse in modo forte e sapiente. Sorsero così nuovi Ordini religiosi come i Gesuiti, che interpretavano la tradizione con slancio missionario, testimonianza di santità e grande apertura intellettuale.

A Milano la risposta dell’arcivescovo, il cardinale Federico Borromeo, fu di dotare la Chiesa e la città di un centro culturale all’altezza dei tempi, in cui venissero recepite e studiate con intelletto d’amore tutte le culture e le civiltà, le scienze e le arti – antiche e moderne, vicine e lontane – senza preconcetti né pregiudizi. Nacque così il progetto di una “Casa di Saggezza”, di una “Cattedrale dello Spirito” in cui lo studio dell’oriente poteva essere condotto secondo metodi rispettosi dell’identità dei popoli e delle loro culture. E il progetto divenne realtà con la fondazione nel 1609 dell’Ambrosiana.

Con l’Ambrosiana, Federico e la Chiesa di Milano hanno degnamente accolto e coltivato l’eredità umanistica, artistica e scientifica del Rinascimento, unendola alle nuove esigenze della fede del tempo, secondo il programma di riforma spirituale tracciato dal Concilio di Trento, accendendo un faro che ancora brilla dopo quattro secoli.

A Milano, in Ambrosiana, si trovano molti tra i più antichi codici ebraici, siriaci ed arabi, fatti acquistare da Federico in medio oriente. In particolare tra i testi arabi l’Ambrosiana custodisce uno dei più antichi Omiliarii, tradotto in arabo dal greco e dal siriaco probabilmente a Damasco nel secolo IX, copiato nel secolo XI forse proprio nella laura palestinese di Mar Kharitun. Questo Omiliario è stato pubblicato in arabo e inglese nell’anno del Grande Giubileo. Sono contento di poterne omaggiare qualche copia.

Venendo al secolo ora trascorso vorrei ricordare la figura di Achille Ratti, dottore e prefetto dell’Ambrosiana. Egli, prima di esser chiamato alla cattedra di Pietro come successore di papa Benedetto XV (1914-1922), era stato anche rappresentante pontificio in Polonia e arcivescovo di Milano. Qui, da esperto bibliotecario aveva dato grande impulso agli studi arabi, procurando all’Ambrosiana la maggior raccolta europea di duemila manoscritti dallo Yemen; la sua stima per la sapienza islamica traspare nella lapide che da un secolo sta accanto all’ingresso della Sala di Lettura della Biblioteca e che è sovrastata da una bella iscrizione araba in caratteri cufici su fondo dorato rivolta agli studiosi; si tratta di un Detto (Hadīth) che Sufyan ibn ‘Unyayna attribuisce a Maometto con l’invito a dedicarsi incessantemente allo studio: «Quando entri in un Tesoro, fa’ attenzione a non uscirne finché non hai compreso ciò che contiene». Quando poi divenne prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, nel 1914, con analoga larghezza di spirito volle che l’atrio della biblioteca papale fosse decorato con la monumentale Mappa cinese che Matteo Ricci aveva realizzato in Cina per l’imperatore tre secoli prima.

4. Dal Concilio Vaticano II a oggi

Giungiamo così al Concilio Vaticano II e ai suoi documenti, di cui ricordo in particolare il Decreto sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, quello sulle Chiese orientali cattoliche Orientalium Ecclesiarum, e la Dichiarazione sulle religioni non cristiane Nostra aetate. Mi limito qui ad una sola citazione, tratta dall’Orientalium Ecclesiarum: «La Chiesa cattolica ha in grande stima le istituzioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della vita cristiana delle Chiese orientali, In esse infatti, essendo illustri di veneranda antichità, risplende la Tradizione che deriva dagli Apostoli, attraverso i Padri, e che costituisce parte del patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale» (n.1).

L’esempio e l’insegnamento dei Pontefici che si sono succeduti a Papa Giovanni XXIII, il pontefice che ha aperto il concilio Va ticano II, sono stati costanti nel riferimento a questo concilio come fattore di sintesi fra la tradizione e le esigenze di rinnovamento o “aggiornamento” della Chiesa. I papi Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II, fino all’attuale pontefice, hanno dedicato grandi energie a promuovere la pace e l’armonia fra popoli e credenti nel vicino Oriente, in particolare in Terra Santa a partire da Gerusalemme. Grazie a questi sforzi congiunti per ritrovare la piena e perfetta comunione ecclesiale, la Chiesa latina sta cercando di mettere in pratica l’invito a “respirare con entrambi i polmoni” – quello della tradizione greca e quello della tradizione latina – secondo la felice espressione coniata da papa Giovanni Paolo II di venerata memoria.

Ci ispirano gli esempi di santi patriarchi e pastori che hanno celebrato e promosso, con la vita e l’insegnamento, la comunione fraterna tra Chiesa orientale e occidentale: il patriarca ecumenico Athenagoras I che sui santi colli di Gerusalemme abbracciò papa Paolo VI il 6 gennaio 1964; papa Giovanni Paolo II che come umile “pellegrino della fede” visitò la Terra Santa nel 2000, l’anno del grande giubileo, e l’anno seguente continuò questo cammino di fede in Grecia, Siria e Malta, percorrendo “i luoghi legati alla storia della salvezza”; papa Benedetto XVI pellegrino in Turchia nel 2006, in Terra Santa nel 2009, e quest’anno a Malta e Cipro. Il loro magistero è raccolto in encicliche e lettere apostoliche - in particolare Ut unum sint e Orientale lumen del 1995 – mentre i nostri cuori continuano a « intensificare le nostre preghiere perché si avvicini il giorno benedetto in cui ci sarà dato di spezzare insieme il pane e bere insieme il vino dalla stessa coppa che contiene il prezzo della nostra salvezza» (Benedetto XVI, Indirizzo ai Vescovi della Grecia, 30 ottobre 2006).

II. La Chiesa ambrosiana e l’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo dei Vescovi

In questa seconda parte, sia pure soltanto con veloci accenni, vorrei mettermi in ascolto della parola, della testimonianza di fede, dei problemi e delle speranze delle Chiese d’Oriente. Mi muove il desiderio, meglio il bisogno, di vivere, come Chiesa ambrosiana, la cattolicità della Chiesa del Signore, la sua vitalità spirituale e il suo impegno pastorale, respirando a due polmoni, per riprendere l’immagine di Giovani Paolo II.

In questo senso mi sembra importante partire da me, come Chiesa ambrosiana, da quello che siamo e dobbiamo essere secondo il disegno del Signore.

Ci è chiesto una più viva coscienza del debito di grazia che ci lega con l’Oriente: c’è una ricchezza spirituale e di umanità che, lungo i secoli e in modalità diverse, ci è stata donata. E ciò deve suscitare in noi ammirazione, gratitudine e insieme rinnovata responsabilità per il presente e il futuro delle nostre Chiese.

Per alimentare questa coscienza siamo chiamati ad una maggiore conoscenza della vostra situazione, non solo sociale, economica, culturale e politica, ma anzitutto religiosa ed ecclesiale. Il localismo rischia, infatti, di trasformarsi per tutti noi in isolazionismo. Al contrario il fenomeno storico della crescente globalizzazione e ancor più la natura universalistica della Chiesa del Signore ci spingono ad essere più attenti – direi più “curiosi” – delle vicende difficili e promettenti dei nostri popoli e delle nostre comunità religiose. Siamo aiutati un poco – anche se non sempre in corrispondenza con la verità –dai mezzi della comunicazione sociale. In particolare, come Chiesa in Italia riceviamo un prezioso servizio di conoscenza dalle notizie vaticane e dal quotidiano cattolico “Avvenire”, che rispetto ai normali media italiani è assai attento alle questioni mondiali.

La conoscenza passa, in modo più concreto, popolare ed efficace, attraverso la visita e la presenza sul territorio delle Chiese orientali. E’ quanto avviene soprattutto con i pellegrinaggi che con il Concilio Vaticano II e il postconcilio hanno ricevuto un particolare impulso e un’ampia diffusione. Per la Terra Santa vorrei ricordare l’esperienza della Chiesa ambrosiana, che vede nell’Arcivescovo milanese Andrea Carlo Ferrari il primo cardinale che porta i suoi diocesani a visitare Gerusalemme e la terra del Signore e a diffonderne la pratica. Per stare poi agli anni a noi più vicini non posso dimenticare il mio predecessore, il Card. C.M. Martini per la sua intensa attività pastorale ecumenica e, conclusa la sua guida pastorale della Diocesi, per la sua presenza per alcuni anni a Gerusalemme, favorendo così una straordinaria fioritura di pellegrinaggi dalla Diocesi di Milano. In questo momento, a distanza di poco più d’un mese dalla tragica morte di Mons. Luigi Padovese, ricordo la serie di pellegrinaggi in terra di Turchia in occasione dell’Anno Paolino.

Una provvidenziale occasione a noi vicina, dal 10 al 24 ottobre di quest’anno, è la celebrazione del Sinodo dei Vescovi come Assemblea Speciale per il Medio Oriente, dal tema “La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza”.

L’impegno immediato che ci viene affidato è la lettura dell’Instrumentum laboris con le riflessioni che suscita e i confronti che stimola. Da questo testo, che riferisce peraltro le risposte fornite dai rappresentanti delle Chiese particolari del Medio Oriente al Questionario dei Lineamenta, risulta che la situazione della fede e della vita ecclesiale si rivela piuttosto ricca di convergenze se non comune sia nell’ambito occidentale che in quello orientale, evidentemente con la presenza di differenze inevitabili dovute alla tipicità dei singoli popoli e delle circostanze concrete. E’ dunque un testo meritevole di essere affrontato nei problemi posti con un discernimento evangelico condiviso.

Vorrei in parte rileggere tre numeri dell’Instrumentum laboris che ritroviamo nella conclusione, sotto l’interrogativo Quale avvenire per i cristiani del Medio Oriennte? Siamo rimandati a ritrovarci tutti quanti fratelli e sorelle nella preoccupazione per le difficoltà del momento presente e nella speranza, fondata sulla fede cristiana, in un futuro migliore, pieno di filiale affidamento alla Divina Provvidenza.

“La storia ha fatto sì che diventassimo un piccolo gregge. Ma noi, con la nostra condotta, possiamo tornare ad essere una presenza che conta. Da decenni, la mancata risoluzione del conflitto israelo-palestinese, il non rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani, e l’egoismo delle grandi potenze hanno destabilizzato l’equilibrio della regione e imposto alle popolazioni una violenza che rischia di gettarle nella disperazione…” (n. 118).

“Anche se, a volte, pastori e fedeli possono cedere alla sconforto, dobbiamo ricordare che siamo discepoli del Cristo risorto, vincitore del peccato e della morte. Abbiamo quindi un avvenire e dobbiamo prenderlo in mano. Ciò dipenderà in gran parte dalla maniera con cui sapremo collaborare con gli uomini di buona volontà in vista del bene comune delle società di cui siamo membri. Ai cristiani del Medio Oriente, si può ripetere ancora oggi: ‘Non temere, piccolo gregge’ (Lc 12,32), tu hai una missione, da te dipenderà la crescita del tuo paese e la vitalità della tua Chiesa, e ciò avverrà solo con la pace, la giustizia e l’uguaglianza di tutti i suoi cittadini!” (n. 119).

“La speranza, nata in Terra Santa, anima tutti i popoli e le persone in difficoltà nel mondo da 2000 anni. Nel mezzo delle difficoltà e delle sfide, essa resta una fonte inesauribile di fede, carità e gioia per formare testimoni del Signore risorto, sempre presente tra la comunità dei suoi discepoli” (n. 120).

Di questa speranza, che viene dal Risorto e dal suo Spirito, tutti abbiamo immenso bisogno. Sia l’oggetto della nostra preghiera quotidiana e la sorgente del nostro impegno ad edif icare una Chiesa che vive nella comunione, nello slancio missionario e nel cammino verso la santità.

+ Dionigi card. Tettamanzi

Arcivescovo di Milano