di Chiara Santomiero

ROMA, martedì, 16 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Un “uomo mite”: è la definizione di Vittorio Bachelet che più spesso è riecheggiata all’Università La Sapienza di Roma – il luogo in cui la violenza brigatista lo ha colpito a morte il 12 febbraio 1980 – in occasione del convegno per il trentennale della sua scomparsa, promosso dall’Azione cattolica italiana dal 12 al 13 febbraio in collaborazione con la stessa Università e il Consiglio superiore della magistratura.

“Un uomo mite che non si è sottratto al compito di testimoniare con la vita i valori nei quali credeva” nel ricordo del rettore dell’Università, Luigi Frati; “un uomo mite, disponibile al dialogo, pronto a mettersi all’ascolto di tutti” secondo Gianluigi Rossi, il preside della Facoltà di scienze politiche nella quale Bachelet insegnava; “un uomo buono, mite, un amico” nelle parole dell’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini, ricordate da Giovanni Conso, presidente dell’associazione “Vittorio Bachelet”, che era presente alla seduta del Consiglio superiore della magistratura – di cui Bachelet era vice presidente - convocata da Pertini subito dopo la sua uccisione; “un uomo mite, sapiente, che sapeva creare il futuro compromettendosi con il presente” nelle parole di Mario Agnes, a lungo direttore de L’Osservatore Romano, che fu il primo successore di Vittorio Bachelet alla presidenza dell’Azione cattolica italiana della stagione post-conciliare.

“La memoria nella Chiesa – ha affermato monsignor Lorenzo Chiarinelli, vescovo di Viterbo, aprendo la sessione dei lavori svoltasi alla Domus Mariae, sede della Presidenza nazionale di Azione cattolica – non è pura nostalgia del passato né declamazione retorica” ma “esperienza essenzialmente spirituale: è presenza ed evocazione, è comunione e testimonianza, è messaggio e consegna”.

Quale la testimonianza di Bachelet? Quella, ha detto alla stampa presente all’incontro, monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), “offerta con l’esempio oltre che attraverso i documenti, di un laico da cui imparare in un momento difficile della storia del nostro Paese”. Quella, gli ha fatto eco il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano presente all’Università La Sapienza, “di una personalità straordinaria che ha dato un grandissimo contributo sia alla cultura giuridica che alla vita pubblica e morale del Paese e dal cui esempio abbiamo ancor molto da attingere”.

Quale messaggio? La possibilità “di una conciliazione alta – ha affermato Nicola Mancino, attuale vice presidente del Consiglio superiore della magistratura commentando l’eredità lasciata da Bachelet a questa istituzione – fra l’ispirazione ideale e la sfida della concretezza storica” attraverso una “lezione di metodo”. “Prendeva nota di tutto – ha spiegato Giovanni Conso a proposito del modo di procedere di Bachelet durante le sedute del Csm -, ascoltava tutti, non aveva mai fretta di chiudere: un dialogo paziente per tenere conto delle ragioni di ognuno che è vera democrazia. Alla fine le decisioni venivano sempre prese all’unanimità”.

Quale consegna? “Lo stile apostolico di un laico – ha affermato monsignor Chiarinelli – capace di far lievitare i dinamismi della storia e far germogliare i semi del Verbo nel tessuto sociale”. Non “custode delle serre ma coltivatore dei campi, anche incolti, inariditi, sempre con la fiducia che il deserto fiorirà”. Lo stile di un laico, ha ribadito Chiarinelli, per il quale “se è nessario agire e parlare con coraggio, soprattutto è necessario agire e parlare con amore”. Non a caso, ha ricordato il vescovo di Viterbo, “le confidenze di alcuni brigatisti a p. Adolfo Bachelet, il fratello di Vittorio, affermavano 'Noi siamo stati sconfitti quando siamo stati perdonati'”.

“La capacità autenticamente laicale di farsi carico del proprio tempo – ha sottolineato Franco Miano, presidente dell’Azione cattolica italiana - implicava innanzitutto l’abitudine a una sapiente lettura dei segni dei tempi: un esercizio che Bachelet compì sempre con un atteggiamento improntato alla fiducia nell’uomo e nella dimensione salvifica della storia: «questo nostro tempo», era infatti solito dire, «non è meno ricco di generosità, di bontà, di senso religioso, di santità, persino, di quanto non lo fossero altri tempi passati»”.

“Io non posso dire – ha ribadito Giovanni Bachelet nel suo intervento al convegno – cosa avrebbe detto o fatto mio padre di fronte agli eventi dell’oggi. Sono sicuro, però, che non sarebbe stato seduto tra i 'profeti di sventura', ma avrebbe sostenuto che, con l’aiuto di Dio e l’impegno di tutti, il mondo di domani sarà anche migliore di quello di oggi”.

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Nato a Roma nel 1926, durante gli anni dell’università Bachelet collaborò con la Fuci (Federazione degli universitari cattolici italiani) nazionale e, dopo la laurea conseguita nel 1947, iniziò l’attività di ricerca in università a cui unì l’impegno di elaborazione culturale attraverso i periodici associativi. Chiamato da Giovanni XXIII ad assumere l’incarico di presidente nazionale dell’Azione cattolica nel 1964, Bachelet guidò la riforma delle strutture dell’associazione perché fosse più aderente al modello di Chiesa disegnato dal Concilio Vaticano II. Concluso l’impegno associativo nel 1973, nel 1976 venne eletto al Comune di Roma nelle liste della Democrazia cristiana ma poco dopo fu nominato dal Parlamento nel Consiglio superiore della magistratura ed eletto vice presidente. Intanto proseguiva la professione di docente presso la Facoltà di scienze politiche dell’Università La Sapienza e proprio qui, al termine di una lezione, il 12 febbraio 1980 fu assassinato da due giovani militanti delle Brigate rosse. Al suo funerale, il figlio Giovanni pronunciò a nome della famiglia la seguente invocazione: “Vogliamo pregare anche per quelli che hanno colpito il mio papà perché, senza nulla togliere alla giustizia che deve trionfare, sulle nostre bocche ci sia sempre il perdono e mai la vendetta, sempre la vita e mai la richiesta della morte degli altri”.