di Chiara Santomiero
ROMA, domenica, 7 febbraio 2010 (ZENIT.org).- “Per andare a Istanbul ci vuole molta fantasia: non vi diremo cosa fare”: è stata questa la “consegna” ricevuta da fr. Ruben Tierrablanca, all’epoca Guardiano della casa generalizia dei Frati minori a Roma, quando alcuni anni fa accolse l’invito di costituire con altri due compagni la Fraternità internazionale di Istanbul per la promozione del dialogo ecumenico ed interreligioso.
Fr. Tierrablanca ne ha parlato con ZENIT all’approssimarsi del sesto anniversario di nascita della comunità e del progetto ad essa legato.
In che cosa consiste il progetto?
Fr. Tierrablanca: Da diversi anni l’Ordine francescano – presente in Turchia fin dal XIII secolo – pensava ad una presenza che promuovesse in particolar modo il dialogo ecumenico ed interreligioso, sull’esempio di S. Francesco e del suo incontro con il sultano Malik-al-Kamil a Damietta nel 1219. La presenza di diverse Chiese cristiane – greco-ortodossa, armena, siriaca, protestante nelle varie denominazioni – rende Istanbul un luogo particolarmente adatto alla promozione del dialogo ecumenico. Con naturalezza, da questo discende l’apertura all’incontro con le comunità musulmana ed ebraica.
I tempi per l’attuazione del progetto sono maturati nel settembre del 2003 quando ci siamo trovati prima in tre, poi in quattro, presso il convento di S. Maria Draperis, nel centrale quartiere di Pera, per iniziare questa avventura. Abbiamo accolto come un segno della Provvidenza il fatto che i quattro frati minori che si sono ritrovati qui provengano da quattro paesi e continenti diversi: Corea (Asia), Congo (Africa), Francia (Europa) e Messico (America).
Già a partire da noi si realizza la sfida di una convivenza tra culture e lingue diverse in un paese che non è di nessuno dei quattro. La fraternità è stata poi ufficialmente inaugurata nel febbraio del 2004 dal ministro generale, fr. José Rodriguez Carballo.
Quali attività svolgete?
Fr. Tierrablanca: Ci muoviamo su diversi livelli. Innanzitutto vogliamo essere presenza francescana per il rapporto con le chiese cristiane. Questa disponibilità si traduce nell’attenzione alle festività, alle cerimonie religiose, agli eventi rilevanti vissuti da ciascuna chiesa – per condividerle con semplicità – e nell’organizzazione di momenti comuni di confronto e preghiera.
Si è conclusa da poco la settimana di intercessione per l’unità dei cristiani durante la quale, come si è soliti fare dappertutto, ci sono state celebrazioni insieme nelle varie chiese. E’ stato bello constatare non solo una maggiore partecipazione dei fedeli, ma anche una maggiore mescolanza tra loro e la presenza alle celebrazioni nelle chiese diverse dalla propria. Per la prima volta, inoltre, in questa occasione le Chiese orientali hanno usato il turco per la preghiera e non il greco o il siriaco: non sono passaggi da poco. In maniera progressiva si acquista sempre più fiducia gli uni negli altri.
La fraternità di Istanbul ha anche l’obiettivo di essere presenza francescana in ricerca del rapporto con l’Islam. Sebbene non ci consideriamo degli specialisti in materia, svolgiamo però uno studio costante ed approfondito delle religioni con cui entriamo in contatto.
Un altro impegno è quello di offrire ai confratelli di tutto il mondo periodi di formazione sul dialogo ecumenico ed interreligioso. L’esperienza diretta di vivere accanto alle altre chiese e comunità religiose permette di entrare più facilmente nello spirito del dialogo. Sono aperti a chi lo desidera e si svolgono ad ottobre, di solito dal 17 al 28, perché il 27 c’è una preghiera interreligiosa nello spirito dell’incontro di Assisi voluto in quella data da Giovanni Paolo II nel 1986.
L’ultimo aspetto della nostra attività è riportare fuori dalla Turchia – laddove ci invitino a farlo – riflessioni ed esperienze relative al nostro cammino qui.
Un progetto da inventare giorno per giorno…
Fr. Tierrablanca: Tutto da inventare, da sognare anche. Con spirito francescano: non si insegna nulla, piuttosto si impara.
Dai progetti elaborati a tavolino spesso scaturiscono delusioni. Forse non abbiamo trovato tutto ciò che ci aspettavamo venendo qui, ma molto più di quanto desideravamo. Scopriamo il desiderio di tutti i cristiani di avere un contatto e questa è la benedizione di essere in pochi.
Il dialogo con l’Islam non è sempre facile, ma in Turchia ci sono buone relazioni di amicizia ed accoglienza rispetto ad altri paesi.
Non pesa essere una minoranza?
Fr. Tierrablanca: Minoranza sa di statistica e lamentazione. Non sempre dove sono garantite tutte le possibilità di espressione, la Chiesa è più autentica e forte. Qui ci è data l’occasione di vivere un approfondimento radicale della fede attraverso il riconoscersi fratelli in Cristo, centrando attenzione e spirito nella fede trinitaria e con l’Eucarestia come punto di riferimento speciale.
Veneriamo insieme i santi del calendario cattolico e di quello della Chiesa orientale: questo apre alla ricchezza della tradizione cristiana cioè la comunione dei santi. Essendo in pochi abbiamo la possibilità di conoscerci tutti e di camminare insieme con il desiderio di costituire una presenza significativa.
La situazione di minoranza diventa una grazia e la vocazione religiosa e cristiana si purifica e si approfondisce. Si rompono tutte le strutture mentali sul “se” e “come”. Una cosa che non avevo mai sognato prima.
Ci sono restrizioni alla vostra attività?
Fr. Tierrablanca: Purificare la fede significa anche stabilire l’ordine delle priorità. Per legge – vale per tutti, anche per l’Islam -, fuori dai luoghi di culto è vietata ogni attività religiosa, tranne la voce dell’imam e il suono delle campane. Non si può svolgere un servizio negli ospedali, per esempio, o nelle scuole e le processioni all’esterno non si possono fare, ma non si può dire che una fede che non può essere manifestata in questo modo sia meno significativa. C’è una maggiore libertà: nulla da difendere, tutto è guadagno.
Certo le difficoltà esistono. Negli ultimi anni, la grande crescita dell’industrializzazione ha creato zone abitate fuori dalla città, dove vivono anche cristiani e cattolici e non ci sono chiese. Loro non possono venire sempre in centro e noi possiamo visitare le famiglie, ma non più di una volta, altrimenti questa attività viene intesa come proselitismo e si corre il rischio dell’espulsione.
Ma non viviamo tutto questo con il peso che sembra avere: d’altra parte né Gesù né Paolo hanno cambiato l’impero romano; si sono limitati ad andare avanti.
Lo spirito francescano è semplicità, gioia e rispetto. Siamo ospiti e ringraziamo per l’accoglienza in questo Paese. Le limitazioni non ci impediscono di vivere la nostra fede ma ci aiutano a darci da fare. Le regole da rispettare, cioè, ci danno lo spazio per fare le cose che si possono fare.
Ad ottobre si svolgerà il Sinodo sul Medio Oriente: quale cammino di preparazione è previsto?
Fr. Tierrablanca: Abbiamo preso visione dei Lineamenta e stiamo programmando il cammino di riflessione sul documento. Proprio in questi giorni c’è stato un incontro delle tre case della famiglia francescana – frati minori, conventuali e cappuccini – per un convegno da fare insieme.
In vista del Sinodo si era pensato anche a una riflessione comune con i musulmani ma forse è un progetto troppo ambizioso. Rimane però la proposta di un incontro a metà settembre insieme ad esponenti della comunità musulmana e docenti universitari per una riflessione sui valori spirituali che utilizzi un taglio più pastorale che dottrinale, così da porre al centro la vita concreta della gente e di tutti noi.
Spero che il Sinodo ci aiuti a maturare un pensiero condiviso sulle necessità che maggiormente sono evidenti oggi nella vita delle nostre comunità:
il bisogno di tornare alla radici della fede per dare rinnovato vigore alla Chiesa in Turchia e il bisogno di allargare il dialogo ecumenico ed interreligioso a tutti i livelli, non solo quello istituzionale.
Lei è messicano, è stato a lungo a Roma: come si trova in questa nuova e complessa realtà?
Fr. Tierrablanca: Ho riscoperto la gioia di “manifestarsi” cristiani. Qui un rahiq, un consacrato è molto stimato dalla gente, perché c’è grande rispetto per la consacrazione a Dio, al di là della religione di appartenenza.
Chi mi conosce sa che dico spesso: “Io sono nato a 50 anni, quando sono venuto a Istanbul”.