Il Presidente della Mongolia annuncia la moratoria della pena di morte

Decisione “sorprendente e coraggiosa”, dichiara la Comunità di Sant’Egidio

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ULAN BATOR/ROMA, martedì, 19 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Il 14 gennaio scorso, con uno storico discorso in Parlamento, il Presidente della Mongolia Tsakhiagiin Elbegdorj ha proclamato solennemente l’introduzione di una moratoria ufficiale delle esecuzioni, ha decretato la riduzione automatica di tutte le sentenze capitali a 30 anni di reclusione e ha espresso apertamente la sua intenzione di raggiungere quanto prima l’abolizione totale e incondizionata della pena di morte.

La Comunità di Sant’Egidio ha espresso in un comunicato il suo più caloroso apprezzamento per “una sorprendente e coraggiosa determinazione nella volontà di cancellare una volta per tutte dalla legislazione della Mongolia la pena capitale”.

Questa risoluzione, secondo la Comunità, “non è il frutto di una decisione improvvisa. Già 19 anni fa, da deputato, Elbegdorj aveva infatti proposto di introdurre, a livello costituzionale, la sua completa eliminazione dal sistema giudiziario del Paese centroasiatico”.

Ad ogni modo, aggiunge, “la straordinarietà dell’iniziativa presidenziale si contraddistingue per un approccio profondamente umanista nella concezione della giustizia, e per una teoria singolarmente progredita del rispetto della vita e della dignità umana, che mostra pochi precedenti nel continente asiatico”.

Da quando ha assunto la Presidenza della Mongolia, sette mesi fa, Elbegdorj non ha intenzionalmente sottoscritto alcuna esecuzione e indica oggi la necessità di porre fine a quella che egli stesso non esita a definire la “vergogna” del regime penale mongolo: l’oblio assoluto dei detenuti nei bracci della morte e dei loro corpi dopo l’esecuzione, nascosti dal più rigido segreto di Stato, senza che le loro famiglie possano avere un luogo dove poterli piangere.

Il Capo di Stato, spiegando le ragioni della sua decisione, dichiara soprattutto che la facoltà di concedere la grazia, anche a chi si è macchiato del peggior crimine, è un principio al quale bisogna restare fedeli perché è garanzia e tutela del valore della vita umana. Si mostra poi particolarmente preoccupato per gli errori giudiziari e il rischio di condannare un innocente. In Mongolia si contemplano 59 fattispecie di pena capitale.

In appena 16 mesi, tra il 1937 e il 1939, 20.474 cittadini mongoli – dei quali 1.228 in un unico processo – vennero soppressi, vittime delle persecuzioni del regime, ricorda.

“La pena di morte degrada la dignità umana, provoca nelle famiglie delle vittime e dei condannati ferite, dolore e risentimenti”, denuncia il Presidente, sottolineando che secondo le antiche tradizioni del Paese la vita è la più grande ricchezza per ogni uomo e ogni donna.

“Lungi dal privare della vita i propri cittadini – dichiara –, al contrario lo Stato deve esercitare il potere di impedire la soppressione di un essere umano, laddove la società civile lasciata libera a se stessa non riesca a garantire che gli uomini non si uccidano gli uni gli altri”.

Sul fatto che maggioranza della popolazione sia favorevole alla pena capitale, ribatte che nessuno dei Paesi che hanno abolito la pena di morte finora lo ha fatto per pressioni “dal basso”, e che uno Stato incapace di clemenza non può a suo avviso infondere fiducia nei propri cittadini.

“Intendo essere un Presidente che non privi della vita i suoi cittadini in qualsiasi circostanza in nome dello Stato. Il diritto alla vita è assoluto e non può dipendere neanche dal Capo dello Stato”, ha detto Elbegdorj.

“Non esiste alcuno studio in grado di provare che l’abolizione della pena di morte aumenti il tasso di criminalità. E’ invece largamente dimostrato che mantenendola si assiste ad un incremento dei reati più gravi. Dunque, la pena capitale non è un deterrente ai delitti”.

La Comunità di Sant’Egidio afferma di condividere “nel profondo tali convincimenti, sostiene e incoraggia il Presidente Elbegdorj nel non agevole itinerario verso l’abolizione nel suo Paese e saluta un evento di straordinaria rilevanza verso l’affermazione della vita sempre e comunque”.

Il lavoro comune della Comunità di Sant’Egidio con Tamara Chikunova, che ha già condotto all’abolizione della pena capitale in Uzbekistan, ha sostenuto gli sforzi che in questi anni hanno creato a livello istituzionale e della società civile un cambiamento decisivo per un maggiore rispetto della vita umana e una giustizia senza pena di morte in Mongolia.

Quello compiuto nel Paese, afferma Sant’Egidio, “è un passo importante che indica una strada percorribile anche da altri governi dell’Asia, nell’anno in cui verrà ripresentata alle Nazioni Unite la Risoluzione per una Moratoria Universale all’Assemblea Generale”.

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ZENIT Staff

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