* * *
La Dichiarazione conciliare Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non-cristiane in alcuni passi fondamentali attinge al pensiero dell’apostolo Paolo. Al numero 2 essa afferma: «La Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini. Tuttavia essa annuncia ed è tenuta ad annunciare il Cristo che è “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose».
Infatti il documento fa appello ad una nota espressione di Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi: «È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (cfr. 2Cor 5,18-19).
Di fronte alla storia che frequentemente è apparsa come quadro di divisioni, lacerazioni e fratture, l’appello dell’Apostolo alla riconciliazione può essere inteso come un richiamo a ciò che oggi chiamiamo con il termine di “dialogo”. Sebbene questo termine non compaia negli scritti paolini, lo spirito che guida l’Apostolo alla ricerca dell’unità e della cordiale convivenza nel mondo pervaso da culture, religioni e sistemi filosofici diversi è quello che si ispira alla realtà del dialogo interreligioso (oggi anche interculturale e interetnico).
Il centro dell’unità cui deve convergere necessariamente l’umanità è per il grande Apostolo la persona di Cristo. Egli con frequenza ama infatti evidenziare il ruolo non solo cosmico, ma anche salvifico della Croce e della Pasqua che hanno fatto del Cristo il Kyrios, Signore dell’umanità e della Storia. Non solo, ma è nel “mistero” della Croce che Paolo vede l’abbraccio di tutta l’umanità, riconciliata dalle lacerazioni e dalle divisioni che al suo tempo venivano raffigurate nella duplice realtà del mondo religioso ebraico e del mondo religioso greco – romano. Quanto avviene ad Atene presso l’Areopago rende ben visibile l’atteggiamento con cui Paolo si pone di fronte all’uomo che ricerca nella sincerità la verità. L’Agnostos Theos, cioè il “Dio sconosciuto”, è pur sempre il Dio da tutti ricercato e verso il quale si protende la profondità del cuore dell’uomo. È qui che l’Apostolo propone in tutta la sua verità l’annuncio del Vangelo di Cristo e l’opera della sua salvezza, racchiusa nell’evento straordinario della Risurrezione.
L’autore degli Atti degli Apostoli non esita ad esprimere la difficoltà di tale annuncio in un mondo religiosamente complesso e profondamente radicato in un pensiero limitato al solo orizzonte umano (cfr. At 17,32). Tuttavia è in questo annuncio che si trovano la radice e l’origine della consapevolezza che Paolo ha della forza rinnovatrice e propulsiva sia del messaggio di verità di Gesù, sia della sua Pasqua di Risurrezione. Un simile atteggiamento dell’Apostolo nei confronti degli Ateniesi che come “a tentoni” sono alla ricerca del vero Dio (cfr. At 17,27) appare profondamente rispettoso e nello stesso tempo capace di cogliere quei semina Verbi che guideranno sia l’ulteriore annuncio della prima Chiesa, sia il dialogo attuale con le diverse religioni.
L’edificio della pace
Come ha ricordato il Santo Padre nel discorso alla plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso (8 giugno 2008) «tutti hanno il dovere naturale e l’obbligo morale di ricercare la verità. Conosciutala, sono tenuti ad aderire ad essa e a ordinare la propria vita secondo le sue esigenze». E ha proseguito, rievocando 2Cor 5,14: «È l’amore di Cristo che esorta la Chiesa a raggiungere ogni essere umano senza distinzione, oltre i confini della Chiesa visibile. La fonte della missione della Chiesa è l’amore divino». Il contenuto e la modalità del dialogo, pertanto, sono strettamente vincolati. «Veritatem facientes in caritate» (Ef 4,15), ricorda san Paolo, al quale fa eco sant’Agostino: «Victoria veritatis est caritas».
Ritornando al Documento Conciliare Nostra Aetate, al numero 5, leggiamo: «Il Sacro Concilio seguendo le tracce dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i Cristiani che “mantenendo tra le genti una condotta impeccabile (1Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini, affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli». San Paolo aveva già raccomandato ai Romani di coltivare nel contesto di un mondo contrassegnato dalle diversità e dalle differenti sensibilità religiose, l’atteggiamento caratteristico del cristiano incentrato nella eirene/pace: «per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti» (cfr Rm 12,18). Simile raccomandazione, originariamente sulle labbra di Gesù nel discorso della Montagna (cfr. Mt 5,9), è un invito a costruire un mondo ravvivato da rapporti cordiali e fraterni che trovano nel “Principe della Pace” il primo costruttore e il modello raggiungibile da tutti gli uomini. In questa luce ogni religione offre il proprio apporto, anzi è invitata a incrementare alacremente l’“edifico” della pace, per il quale Cristo ancora ama proporsi quale “pietra angolare”. Ed è in questo senso che la Chiesa Cattolica si è fatta più volte promotrice di dialogo con le altre religioni per la pace.
Un ulteriore aspetto che meglio definisce l’esemplarità di Paolo è da ricercare nel concetto di “libertà”: «Dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà!» (2Cor 3,17). Paolo è un uomo libero proprio perché conquistato da Cristo. Ed è uomo di preghiera. È nella preghiera che egli trova soccorso nella debolezza, vede un senso là dove sembra esserci soltanto sofferenza, affronta le divisioni tra i credenti, risponde con il coraggio a episodi che – umanamente parlando – appaiono come scoraggianti fallimenti. Ricordava ancora papa Benedetto XVI che «la collaborazione interreligiosa offre opportunità di esprimere gli ideali più elevati di ogni tradizione religiosa». Tra tali ideali vi è sicuramente anche il recupero della dimensione spirituale, avvertita oggi quanto mai urgente di fronte a uno stile di vita sempre più diffuso che non risponde ad alcuna regola oltre al dictat di un consumo sempre più ampio, a ogni costo. Paolo al contrario è un modello di equilibrio: non solo per la sobrietà imposta dal suo stile di vita missionario, sempre in movimento, consapevole della transitorietà di questa vita, ma perché lavora con le proprie mani. Spiritualità, missione e laboriosità sono tutte ben presenti in lui. San Paolo non trasforma mai la religione in un mezzo di arricchimento materiale e in questo modo dà la prima e più forte testimonianza che il denaro non è il dio che regola questo mondo, ma che una Provvidenza più alta muove la storia. Egli ha a cuore anche il destino della natura, vista non solo come risorsa da soggiogare e sfruttare, ma come sorella dell’umanità che invoca anch’essa salvezza (cfr. Rm 8,19-22). Inoltre l’Apostolo diventa anche un modello di solidarietà quando, ad esempio, si fa promotore presso le chiese che vengono dal paganesimo di una raccolta di denaro per le necessità dei credenti più poveri nella comunità di Gerusalemme (1Cor 16,1; Rm 15,26).
Card. Jean Louis Tauran
Presidente del Pontificio Consiglio
per il Dialogo Interreligioso