Le questioni in sospeso tra Santa Sede e Israele, e il futuro di Gerusalemme

Padre Jaeger affronta i nodi dell’Accordo Fondamentale del ’93 e le prospettive sui Luoghi Santi

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di Mariaelena Finessi

ROMA, lunedì, 18 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Frate francescano della Custodia di Terra Santa, docente di diritto canonico a Roma, padre David-Maria A. Jaeger è un noto esperto dei rapporti giuridici Chiesa-Stato in Terra Santa e da più di trent’anni studia la “questione di Gerusalemme” sul piano del diritto internazionale.

In questa intervista a ZENIT, padre Jaeger spiega il complesso percorso che Santa Sede ed Israele hanno avviato, in seguito alla firma dell’Accordo fondamentale del 1993, per l’attuazione dei punti riguardanti il regime tributario della Chiesa e le questioni di proprietà sui Luoghi Santi.

Tutto questo proprio mentre il rabbino David Rosen spiega al quotidiano Haaretz che l’atteggiamento di Israele verso il Vaticano è “oltraggioso” e che “ogni [altra] nazione avrebbe minacciato il ritiro del suo ambasciatore molto tempo prima, per il modo in cui Israele non onora gli accordi”.

Benedetto XVI è tornato la settimana scorsa sul tema del Medio Oriente, ribadendo il diritto di Israele ad esistere e a godere di pace, ed un uguale diritto del popolo palestinese ad una patria sovrana, a vivere con dignità oltre che a potersi spostare liberamente. «Mi preme inoltre – ha aggiunto il Pontefice – sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui valore è universale». Padre David-Maria A. Jaeger, come si può proteggere nella pratica il carattere sacro di questa città?

Padre Jaeger: Verso la fine del passato decennio, e più precisamente nel 1999, un “Gruppo di lavoro” messo insieme da diversi governi europei ha preso in esame, tra l’altro, un progetto, di matrice cristiana, che prevedeva a tale scopo un trattato multilaterale, al quale avrebbero aderito diversi Stati tradizionalmente interessati alla Terra Santa, oltreché Israele e l’erigendo Stato palestinese, denominato “The Jerusalem and Environs Multilateral Treaty“. Il trattato sarebbe stato fatto valere da un’apposita organizzazione multilaterale, che si sarebbe chiamata “The Jerusalem and Environs Multilateral Treaty Organisation“. I valori fondamentali che tale Trattato e relativa Organizzazione avrebbero salvaguardato sarebbero poi sostanzialmente gli stessi successivamente proclamati nel Preambolo dell’«Accordo di base» tra la Santa Sede e l’Olp (PLO), l’organismo che rappresenta il popolo palestinese sul piano internazionale. Essenzialmente si tratterebbe di garantire a tutti la libertà di coscienza e di religione; di assicurare la parità giuridica delle tre grandi religioni monoteistiche, delle loro istituzioni e dei loro seguaci; di rispettare il carattere particolare della Città di Gerusalemme e dintorni; di salvaguardare i Luoghi Santi e il regime giuridico detto di “Statu quo” che si applica ad alcuni di essi. Per quel che possa valere un mio parere, credo che tale Trattato multilaterale, garnatito dall’apposita Organizzazione, potrebbe davvero essere la miglior via e dovrebbe non aver alcuna difficoltà ad essere abbracciato sia dagli israeliani che dai palestinesi, oltreché dalla Comunità internazionale, perché a vantaggio di tutti.

Ancora nessuna soluzione tra Israele e Santa Sede per l’Accordo fondamentale del 1993. Le trattative per l’attuazione dei punti riguardanti il regime tributario della Chiesa e le questioni di proprietà si sarebbero arenate proprio sui Luoghi Santi. Quali sono i reali motivi che da 17 anni impediscono la soluzione della controversia?

Padre Jaeger: Come si sa, l’Accordo fondamentale è stato firmato il 30 dicembre 1993 ed è entrato in vigore il 10 marzo 1994. Ne è seguito l’Accordo sul riconoscimento agli effetti civili delle persone giuridiche ecclesiastiche, firmato il 10 novembre 1997 ed entrato in vigore il 3 febbraio 1999. Manca sempre l’iscrizione dei due Accordi nella legislazione israeliana interna, il che vuol dire che entrambi valgono certamente sul piano del diritto internazionale, ma si incontrerebbero inevitabilmente delle difficoltà nel farli valere nelle sedi giudiziarie israeliane. Si sa pure che i negoziati sull’attuazione dell’art. 10.2 dell’Accordo fondamentale, con un accordo globale su tutte le questioni fiscali e di proprietà pendenti tra Chiesa e Stato sono state avviate l’11 marzo 1999. Durano oramai da ben più dei due anni previsti dall’Accordo fondamentale, ma non si può dire che siano “arenate”. Anzi, il più recente comunicato congiunto al termine della seduta è stato emesso proprio in questo mese, il 7 gennaio. Quanto ai contenuti dettagliati dei lavori, la Commissione bilaterale – “luogo” e “veicolo” dei negoziati – non suole dare informazioni, anche perché tali informazioni non avrebbero senso: sarebbe del tutto inutile dire se su questa o quell’altra questione ci sia “accordo”, perché in trattative di questo genere vale il principio “niente concordato finché non sia stato tutto concordato”. Così, tra l’altro, si tutelano meglio i diritti  sui quali le Parti fanno affidamento. E’ evidente infatti che finché non ci sia l’auspicato Accordo, la Chiesa non rinuncia, e non mette neppure in discussione, i diritti acquisiti prima della creazione dello Stato (nello 1948), e che lo Stato ha più volte e in tanti modi promesso di osservare.

In merito a tale mancato accordo, al termine della plenaria della commissione bilaterale di lavoro tra Santa Sede e Israele – riunitasi in dicembre in Vaticano – il capodelegazione israeliano, Daniel Alayon, vice ministro degli Esteri, avrebbe parlato di “crisi” delle trattative e di “passo indietro” tanto che “tutte le conclusioni raggiunte prima della riunione sono state di fatto annullate”. Cosa vuol dire questo e qual è dunque la situazione oggi?

Padre Jaeger: Non si può parlare di “mancato accordo”, perchè si sarebbe trattato in ogni caso di riunione solo interlocutoria, semplicemente un’altra tappa dei negoziati. Nessuna persona informata  – anche solo genericamente – pensava che potesse essere quella la riunione conclusiva! Quanto alle asserite dichiarazioni attribuite da un quotidiano israeliano al vice ministro, era subito evidente che erano ad uso e consumo interno, per tranquillizzare gli ambienti fondamentalisti che, non informati dei fatti, paventavano un qualche patto con “il Vaticano” che sarebbe stato contrario a quello che riterrebbero essere principi ed interessi dello Stato ebraico. Chi era presente all’inizio dei lavori della Commissione bilaterale Santa Sede-Israele, nel 1992, sa raccontare che c’era una specie di “accordo da gentlemen” che ogni tanto una o l’altra Parte avrebbe avvertito il bisogno di fare qualche dichiarazione pubblica per soddisfare le proprie esigenze “politiche”, senza con ciò incidere sul rapporto bilaterale. Poi, ci sono state anche dichiarazioni pubbliche da parte israeliana in senso ben diverso. Così il noto rabbino David Rosen, già membro importante della delegazione isrealiana ai negoziati – proprio nella fase “costituente” – ha asserito, in una recentissima intervista pubblicata sulla versione inglese online del più influente quotidiano israeliano, HaAretz, il 17 gennaio [giorno della visita del S. Padre alla Grande Sinagoga di Roma], che Israele – è sempre lui che parla –  non è stato fedele ai patti del 1993, nel non aver ancora accettato di riconfermare in blocco tutti i diritti acquisiti alla Chiesa in materia fiscale, come invece – dice – Israele avrebbe promesso di fare in relazione all’allacciamento (già nel 1994) dei rapporti diplomatici con la Santa Sede.

Sempre Daniel Alayon avrebbe tuttavia confermato un chiaro “interesse a dialogare” con la Santa Sede, soprattutto su temi come “antisemitismo, terrorismo, radicalismo islamico”. In che modo la Chiesa può aiutare Israele in merito a tali fenomeni?

Padre Jaeger: Il reciproco impegno “cooperazione appropriata nella lotta contro ogni forma di antisemitismo e ogni tipo di razzismo e di intoller
anza religiosa” è iscritta nello sesso Accordo fondamentale (1993), all’articolo 2.1, e infatti i cattolici e gli ebrei ovunque si vedono uniti in tale lotta pacifica. Parimenti, lo stesso Accordo, all’Articolo 11.1, contiene la dichiarazione del rispettivo impegno di entrambe le Parti, Santa Sede e Stato di Israele, “alla promozione della risoluzione pacifica dei conflitti fra gli Stati e le Nazioni, con l’esclusione della violenza e del terrore dalla vita internazionale”.

Per Gerusalemme lei ha rimesso sul tavolo recentemente l’idea di uno “statuto speciale internazionalmente riconosciuto”, sostenendo che Israele e Palestina non sono abilitati a disporre di Gerusalemme, fino a quando le Nazioni Unite non avranno constatato il rispetto delle finalita’ indicate dalla comunita’ internazionale. Perché, ancora oggi, la Santa Sede ritiene che sia questa la migliore soluzione per Gerusalemme?

Padre Jaeger: Questa non è minimamente un’idea “mia” che israeliani e palestinesi non possono attualmente disporre di Gerusalemme, né disgiuntamente e neppure congiutamente. Piuttosto questa è la condizione del territorio secondo il diritto internazionale, come manifestato oggettivamente, tra l’altro, dalla continua presenza a Gerusalemme dei Consolati generali di “corpus separatum”, mai accreditati a nessuno Stato, ma testimoni eloquenti della situazione de iure, mai cambiata dopo la Risoluzione ONU (la 181 del 29 novembre 1947, la stessa che ha autorizzato la creazione dello Stato Ebraico e dell’ancor futuro Stato palestinese), che destinava Gerusalemme ad amministrazione internazionale, come "luogo” di diritti e legittimi interessi che appartengno a grandi comunità mondiali e non rilevano semplicemente dalle due nazioni confinanti. Ora, nel contesto della ricerca di una risoluzione complessiva delle situazioni in Terra Santa che non risultano attualmente conformi al diritto internazionale, è evidente che anche – e innanzitutto –  la condizione del territorio gerosolimitano dovrà essere regolarizzata. Le molte dichiarazioni al riguardo da parte della Santa Sede, nel corso di decenni, farebbero pensare – e questa, sì, che è una mia interpretazione da giurista – a far aderire isreliani e palestinesi a un trattato multilaterale – forse più o meno simile al progetto descritto sopra – che garantisse i valori universali rappresentati a Gerusalemme, e conseguentemente, con l’avallo delle Nazioni Unite, autorizzasse israeliani e palestinesi di disporre, mediante trattato di pace bilaterale, del territorio medesimo. I palestinesi sembrano essersi già impegnati ad accettare di seguire una simile strada, o almeno questa sarebbe la lettura che faccio del Preambolo dell’«Accordo di base» che hanno firmato con la Santa Sede il 15 febbraio 2000. Non ci sarebbe poi motivo per cui non lo possa accettare ugualmente Israele, qualora sia invitato a farlo, concretamente. Sarebbe infatti a favore di tutti e contro nessuno. Un classico “win-win”, dove cioè tutte le parti “vincono”, come si dice nel mondo degli affari.

Uno statuto speciale per la città, implica – come lei stesso ha ricordato – l’entrata in vigore di strumento giuridico internazionale che superi qualsiasi accordo bilaterale israeliano-palestinese. Nello specifico, come pensa che tale strumento possa salvaguardare il regime dello Status Quo dei Luoghi Santi? In che modo dovrebbe funzionare?

Padre Jaeger: Questa sarebbe infatti la parte più semplice di tale “statuto speciale internanzionalment garantito” per Gerusalemme e dintorni, specie se segue la traccia del ricordato progetto di Trattato Multilaterale con rispettiva Organizzazioe per farlo valere. Infatti il regime giuridico di “Statu quo” che vige per determinati Luoghi Santi prevede che sia il Governo civile pro tempore a vigilare sulla sua regolare osservanza, incaricandosi di sicurezza e ordine pubblico in quei Luoghi Santi particolari. Così, oltre alla riconferma nel Trattao del valore legale internazionale di questo regime giudico, sarebbe in tal caso la rispettiva Organizzazione multlaterale ad assumersi questi oneri “laici” mediante i propri dipendenti, muniti anche dei poteri necessari per mantenere l’odine pubblico. Così si sottrarebbero questi pochi ma importantissimi Luoghi Santi (pensi al Santo Sepolcro di Gerusalemme) agli interessi e ai calcoli politici degli Stati locali o di qualsiasi singolo Stato.

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ZENIT Staff

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