Più facile riaccogliere e regolarizzare le unioni di ex "sbattezzati"

Una conseguenza pratica del Motu proprio “Omnium in mentem”

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CITTA’ DEL VATICANO, martedì, 15 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Ora sarà più facile riaccogliere e regolarizzare le unioni di persone battezzate che si sono separate dalla Chiesa cattolica con atto formale e che desiderano ritornare cattoliche.

E’ quanto ha affermato alla “Radio Vaticana” monsignor Juan Ignacio Arrieta, Segretario del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, nel commentare il Motu proprio Omnium in mentem firmato lo scorso 26 ottobre da Benedetto XVI e reso noto questo martedì, con il quale vengono introdotte nel Codice di Diritto Canonico alcune modifiche riguardanti la funzione ministeriale dei diaconi e il sacramento del matrimonio.

La prima modifica riguarda due canoni sul sacramento dell’Ordine (1008 e 1009) ed è stata operata per meglio precisare la distinzione tra episcopato, presbiterato e diaconato.

Il can. 1008 – spiega in una nota monsignor Francesco Coccopalmerio, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi – “non affermerà più che il sacramento conferisce la facoltà di agire nella persona di Cristo Capo, ma si limiterà ad affermare, in maniera più generica, che chi riceve l’Ordine Sacro è destinato a servire il popolo di Dio per un nuovo e peculiare titolo”.

Nel can. 1009, ha aggiunto, “viene precisato che il ministro costituito nell’Ordine dell’Episcopato o del Presbiterato riceve la missione e la facoltà di agire in persona di Cristo Capo, mentre i Diaconi ricevono l’abilitazione a servire il Popolo di Dio nella diaconia della liturgia, della Parola e della Carità”.

La seconda modifica è applicata a tre canoni riguardanti l’ambito matrimoniale (1086, 1117 e 1124) e interessa in particolare quelle persone che hanno scelto di “sbattezzarsi”, cioè di separarsi dalla Chiesa. Una pratica sempre più comune in Paesi come la Germania, l’Austria o la Svizzera, che oltre a essere frutto di una scelta personale meditata è anche dettata da vantaggi economici: così facendo, si evita di essere tassati per la propria appartenenza alla Chiesa cattolica.

A questo proposito, monsignor Arrieta ha spiegato che “la modifica riguarda la soppressione della frase sulla separazione dalla Chiesa ‘con atto formale’, che escludeva dall’obbligo di sposarsi in chiesa quei battezzati cattolici che avessero lasciato la Chiesa, entrando per esempio nelle sette”.

Nel Motu proprio si legge che il Codice di Diritto Canonico stabiliva che l’eccezione alla norma generale sul matrimonio per i fedeli che si erano separati dalla Chiesa con “atto formale” – ovvero “non erano tenuti alle leggi ecclesiastiche relative alla forma canonica del matrimonio (cfr. can. 1117), alla dispensa dall’impedimento di disparità di culto (cfr. can. 1086) e alla licenza richiesta per i matrimoni misti (cfr. can. 1124)” – “aveva lo scopo di evitare che i matrimoni contratti da quei fedeli fossero nulli per difetto di forma, oppure per impedimento di disparità di culto”.

“Tuttavia – continua il testo -, l’esperienza di questi anni ha mostrato, al contrario, che questa nuova legge ha generato non pochi problemi pastorali. Anzitutto è apparsa difficile la determinazione e la configurazione pratica, nei casi singoli, di questo atto formale di separazione dalla Chiesa, sia quanto alla sua sostanza teologica sia quanto allo stesso aspetto canonico”.

“Inoltre sono sorte molte difficoltà tanto nell’azione pastorale quanto nella prassi dei tribunali. Infatti si osservava che dalla nuova legge sembravano nascere, almeno indirettamente, una certa facilità o, per così dire, un incentivo all’apostasia in quei luoghi ove i fedeli cattolici sono in numero esiguo, oppure dove vigono leggi matrimoniali ingiuste, che stabiliscono discriminazioni fra i cittadini per motivi religiosi”.

“Inoltre – si legge ancora – essa rendeva difficile il ritorno di quei battezzati che desideravano vivamente di contrarre un nuovo matrimonio canonico, dopo il fallimento del precedente; infine, omettendo altro, moltissimi di questi matrimoni diventavano di fatto per la Chiesa matrimoni cosiddetti clandestini”.

“Si pensava che – per evitare che il loro matrimonio, una volta rientrati nella Chiesa, fosse ritenuto non valido per difetto di forma – si dovesse introdurre quella frase”, ha sottolineato monsignor Arrieta.

“Queste persone, in questo caso, si trovano come due cattolici, i quali, anziché sposarsi in Chiesa, si sposano in comune: la Chiesa non considera questo un matrimonio valido”, ha aggiunto.

Grazie alla modifica apportata dal Motu proprio, ha commentato, “è più facile regolarizzare le unioni ed è più facile accogliere quelle persone nella Chiesa”.

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ZENIT Staff

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