La Santa Sede all'Osce: carità, giustizia e libertà, pilastri della pace

Intervento dell’Arcivescovo Dominique Mamberti ad Atene

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CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 13 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Al giorno d’oggi diventa sempre più urgente “una conversione comune alla pace, una pace fondata su solidi pilastri di amore e giustizia, verità e libertà”. E’ quanto ha detto l’Arcivescovo Dominique Mamberti, Segretario per i Rapporti con gli Stati, intervenendo il primo dicembre al 17º Consiglio ministeriale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) ad Atene.

L’Osce, la cui sede principale si trova a Vienna, in Austria, è stata fondata nel 1975 ad Helsinki come Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Attualmente è la più grande Organizzazione per la sicurezza regionale al mondo con 56 Stati membri dell’Europa, dell’Asia centrale e del Nord America, mentre numerosi altri Paesi sono suoi partner per la cooperazione.

Nel prendere la parola all’incontro il presule – secondo quanto riferito da “L’Osservatore Romano” – ha lodato il “Processo di Corfù”, varato nel giugno scorso al termine di un incontro informale a livello ministeriale dell’Osce e finalizzato a intavolare un nuovo dialogo sul futuro della sicurezza europea.

Mons. Mamberti ha quindi espresso l’apprezzamento della Santa Sede per le iniziative intraprese dalla presidenza greca al fine di rafforzare il funzionamento degli strumenti e dei meccanismi disponibili per la prevenzione dei conflitti e per la riabilitazione post-conflitto.

Tuttavia, ha precisato, gli importanti passi avanti nel controllo degli armamenti non possono oscurare le “guerre dimenticate” e le “ostilità protratte” che continuano a causare morti e danni, “spesso nel silenzio e nella noncuranza di settori considerevoli dell’opinione pubblica”.

“Conflitti protratti o congelati – ha notato – portano soltanto al protrarsi della sofferenza dei civili, in particolare quando il conflitto è prolungato con sanzioni economiche o quando gli obiettivi militari sono esauriti o inaccessibili alle forze aeree”.

“In breve, strumenti limitati, applicati per un lungo periodo, produrranno spesso conseguenze disastrose e, nello stesso tempo, sortiranno risultati scarsi e prometteranno un conflitto senza una fine prevedibile”.

Per questo, ha sottolineato, “l’azione futura dell’Osce dovrà necessariamente implicare un serio impegno per risolvere i conflitti protratti nel tempo”.

Inoltre, ha continuato, “non ci sarà pace sulla terra se perdureranno l’oppressione dei popoli, le ingiustizie e gli squilibri economici, che esistono ancora”.

Successivamente l’Arcivescovo Mamberti ha evidenziato sull’agenda dell’Osce per i prossimi anni la centralità del rapporto fra politiche migratorie e sicurezza.

Allo stato attuale, ha osservato, sono infatti più di duecento milioni le persone nel mondo che vivono e lavorano in Paesi diversi da quello in cui sono nati o di cui erano cittadini.

La situazione attuale, ha detto, riflette delle politiche mirate “a rispondere a più emotive e accese esigenze dell’opinione pubblica di controllo e di integrazione”.

“Tuttavia – ha aggiunto –, i vantaggi concreti accettati attraverso l’accoglienza di immigrati sono spesso offuscati da un atteggiamento ambivalente nei mezzi di comunicazione sociale e nell’opinione pubblica, che permettono generalizzazioni stereotipanti e negative dei nuovi arrivati”.

Da qui deriva la “necessità di prestare maggiore attenzione ai migranti stessi e non solo al loro ruolo economico di forza lavoro o di coloni permanenti”, e di rafforzare “l’intero sistema di tutela e di diritti umani non può essere relegato a un secondario ruolo di sostegno”.

In tale ambito, l’Arcivescovo Dominique Mamberti ha definito come di “primaria” importanza il ricongiungimento familiare ma anche l’educazione dei migranti, così che possano essere maggiormente consapevoli dei loro diritti.

Il rappresentante vaticano ha quindi accennato ai numerosi atti di intolleranza e violazioni della libertà religiosa che “continuano a essere perpetrati sotto numerose forme”.

Purtroppo, ha osservato, “con l’aumento dell’intolleranza religiosa nel mondo, è ben documentato che i cristiani costituiscono il gruppo religioso più discriminato in quanto più di duecento milioni di loro, di differenti confessioni, potrebbero trovarsi in situazioni di difficoltà a causa di strutture legali e culturali che li portano a essere discriminati”.

Alla luce di ciò, ha quindi invitato a considerare le comunità religiose non “come fonte di conflitti sociali o culturali, ma come un fattore importante di promozione della pace, comprensione reciproca e valori umani comuni”.

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ZENIT Staff

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