La Vita è la gioia della vita

III Domenica di Avvento, anno C, 13 dicembre 2009

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di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 11 dicembre 2009 (ZENIT.org).-Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta ed acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia” (Sof 3,14-17).

Fratelli, rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche, e ringraziamenti. E la pace di Dio che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil 4,4-7).

Sofonia è un profeta del VII secolo a.C. il cui nome significa “il Signore protegge”. Egli si rivolge oggi agli “anawim” di Israele, i “poveri”, sia per condizione sociale sia perché appoggiano la loro speranza unicamente sul Signore. Si rivolge perciò ai miti e agli umili di cuore di tutti i tempi, a quei piccoli, affaticati ed oppressi dalla vita, che il “Dio-con-noi”, l’Emmanuele, è venuto e sempre viene a rincuorare con la sua persona in mezzo a noi.

Come un bambino se ne sta desolato alla porta di casa aspettando il ritorno della mamma, e quando ella appare incontenibilmente comincia a saltellare, a battere le mani e a gridare di gioia, così il profeta vuole che esulti in anticipo “il bimbo” Israele, per la certezza dell’imminente manifestazione del Signore, suo liberatore.

Una certezza suscitata da un rumore e da una voce, come preciserà l’apostolo Giovanni secoli dopo: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

E’ questo il messaggio che oggi anche Paolo ci invia: “Rallegratevi, il Signore è vicino!”. Ora, uno che bussa alla porta è già arrivato, anche se non è ancora entrato: cosa significa, concretamente, il fatto di alzarsi per aprirgli? Lo suggerisce il contesto dell’esortazione di Paolo. Due donne della comunità, Evodia e Sintiche, collaboratrici del Vangelo, sono in disaccordo. A causa dei loro continui battibecchi Paolo deve esortarle ad “andare d’accordo nel Signore”, (letteralmente “ad avere le stesse idee”- Fil 4,2), per non deturpare il volto fraterno della comunità.

La correzione cade in quel punto dolente che così spesso fa soffrire anche noi e le nostre comunità: l’incomprensione e il giudizio reciproco, veleni amari nella gioia cristiana e causa di quel profondo turbamento che impedisce di spalancare e tende a richiudere la porta del cuore contro ogni buona volontà, come il freno idraulico sull’uscio di casa. Turbamento che è particolarmente doloroso e paralizzante quando il conflitto a due si svolge nella singola coscienza, divenuta avversaria di se stessa: come si può ritrovare la gioia di vivere con il rimorso irreparabile dell’aborto? Magari fosse possibile obbedire al comando di essere felici!

Commentando l’esortazione di Paolo, E. Bianchi, infatti, scrive: “La gioia deve essere continua: ecco perché al comandamento di gioire e rallegrarsi si accompagnano gli avverbi “sempre, incessantemente”. Il dono diviene paradossalmente un impegno, e un impegno costante. Quindi la gioia, come la pace, va ricercata con tutte le proprie forze; ciò significa resistere alla tentazione della tristezza. Se il Signore è vicino, nulla può accaderci di tanto grave da contraddire la nostra vita cristiana, il nostro vivere il Vangelo”(E.B., “Vivere è Cristo”, p.111).

Non è impossibile resistere alla tentazione della tristezza riguardo al presente : nulla può accadere di male al bimbo che sta in braccio a sua madre (cf il Salmo 130). Ma se il dramma è ormai irrimediabilmente accaduto, come per l’aborto? Rispondo così: dal momento che il Signore è vicino, l’effetto “terapeutico” che porta alla completa remissione dei sintomi è sempre assicurato, anche se la piaga è cronica: essa può realmente guarire se viene immersa “sette volte” (cioè per mezzo di un percorso totale di conversione) nel bagno del perdono divino, credendo che nulla è impossibile a Dio (cfr la guarigione di Naaman, il lebbroso, dopo sette immersioni nel fiume Giordano: 2Re 5). Allora anche il cuore sperimenterà questa parola: “Su, venite e discutiamo. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Is 1,18). Il “venite e discutiamo” suggerisce, appunto, il necessario cammino di accompagnamento spirituale a fianco di una guida.

Il peccato di aborto ha il colore rosso del sangue innocente del bambino, indelebilmente intriso nella coscienza materna: come dimenticare il delitto? E’ impossibile, ma non è necessario: la grazia della conversione totale è in grado di purificare anche la memoria della mamma. Ecco, in questo Tempo d’Avvento, una meravigliosa Parola del Signore per lei: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti tengo per la destra e ti dico: non temere, io ti vengo in aiuto. (…)Tu gioirai nel Signore,..io non ti abbandonerò. Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zone di sorgenti” (Is 41,13-20).

Non temere, Io sono con te”: sono le parole che Gesù rivolge all’apostolo Paolo, alle prese con difficoltà insormontabili e terribili angosce, in carcere, a un passo dalla morte. E’ questo che trasforma tutto, è questo che Dio viene ad assicurarci a Natale, è questo che ha fatto l’Emmanuele: “Essere con noi”. Essere-con è il desiderio più profondo dell’amore, è la sola cosa che conta: essere con colui che amiamo, essere con colui che ci ama. Tutto il resto è secondario; non è necessario che le situazioni cambino, purchè ci sia la presenza dell’amato. E’ proprio quello che il Signore ci promette e ci dona. Egli non cambia le cose, ma vi si mette dentro e allora, poiché c’è lui, interiormente tutto è cambiato”(A. Vanhoye, “Il pane quotidiano della parola”, p. 27).

L’inguaribile angoscia della mamma che ha abortito sta tutta nell’impossibilità di annullare l’evento tragico dell’aborto, l’impossibilità di “non averlo mai fatto”. Ma ecco l’annuncio per lei del Bambino che nasce: “non è necessario che tu non l’abbia fatto, perché “Io sono con te”! La mia Presenza è infinitamente di più dell’assenza del tuo bambino, e lui è in Me! Il vuoto del tuo cuore è solo lo spazio che ti separa dalla porta alla quale sto bussando: se tu mi apri Io entrerò, cenerò con te e tu con Me, e tu conoscerai la mia gioia, quella che ho promesso e donato ai miei amici discepoli durante quell’ultima Cena in cui c’eri anche tu: il mio Corpo e il mio Sangue, come ogni giorno sull’altare”.

Sì, solo Gesù può rigenerare questa gioia perduta, perché essa è specificamente la sua gioia. Quale caratteristica, infatti, ha la gioia propria di Gesù? Questa: essa è essenzialmente gioia filiale. C. M. Martini la spiega così: “Una gioia che è in Gesù per
il suo mistero trinitario, è in Gesù
per il suo essere Figlio, è in Gesù che ama il Padre e che dal Padre è infinitamente amato. Senza tale gioia non c’è vera vita cristiana. E’ la gioia della perla preziosa, del tesoro nascosto; la gioia che da’ vitalità alla Chiesa, che ci sostiene nella fatica quotidiana”.

Proseguendo afferma: “E Gesù non si accontenta che la gioia ci sia, ma aggiunge: e la vostra gioia sia piena, abbondante, sovrabbondante, traboccante. Come può avvenire? Gli Atti degli Apostoli ci mostrano che nella comunità cristiana primitiva la gioia cresceva mano a mano che essa conosceva il mistero della croce”. Questa gioia evangelica, a forma di croce, è pura partecipazione di quella propria di Gesù, la sua gioia divina e materna di donare la vita, la Vita divina dello Spirito d’amore, la quale è intrinsecamente gioiosa come la vivacità del fuoco : “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finchè non sia compiuto!” (Lc 12,49-50).

Per questo, continua Martini..“..per entrare nel segreto della pienezza di questa gioia, noi dobbiamo avere il coraggio di fissare gli occhi nel Crocifisso. Allora potremo essere collaboratori della gioia degli altri.”(C.M.M., “Dizionario spirituale”, p.73).

Chi fissa veramente lo sguardo sul Crocifisso-risorto, può vedere sopra il Suo corpo piagato il proprio peccato, e se intende aprirsi al perdono divino, lo sentirà dissolversi nella fornace ardente del suo Cuore squarciato, fuoco di amore misericordioso sempre acceso e divorante ogni male.

Ciò vale specialmente per la mamma che ha abortito, la quale si sente come “abortita” da se stessa a causa di ciò che ha fatto; ma meditando giorno e notte la Parola della Vita, perseverando nella preghiera, nel digiuno e nelle buone opere, a poco a poco ella sarà sollevata dal peso immane del suo peccato, ed anche la sua memoria se ne distaccherà, come il detersivo stacca lo sporco da un vestito. Infine, continuando a fissare lo sguardo sul volto radioso del Signore che la fissa con specialissimo amore, sentirà riaffiorare la gioia nella sua anima, tornata definitivamente candida come la neve.

Fissare gli occhi sul Crocifisso, non è un semplice atto di devozione, ma è conoscenza e ascolto della sua Parola che purifica. Il testo odierno di Sofonia, al riguardo, è una fonte zampillante di luce. La prima parte proclama anzitutto la gioia messianica: Rallegrati! E’ questa anche la prima parola che l’Angelo Gabriele rivolge a Maria, eco degli annunci di gioia messianica rivolti dai profeti alla città santa, in particolare proprio Sof 3,14-17.

Vediamo come tale gioia ha a che fare..con il grembo materno violato. Il motivo di quest’imperativo alla gioia era, infatti, che il Signore stava per ritornare in mezzo a Israele: “Re di Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura” (v.15). Il termine “in mezzo”, traduce l’ebraico “nelle viscere”, molto più pregnante che orienta già al grembo di Maria. E’ lei “la Figlia di Sion che ricapitola Israele in quest’ora decisiva. La presenza del Signore nel seno di Israele, questa presenza nuova e misteriosa annunciata per gli ultimi tempi, diventa per lei concezione e parto” (Renè Laurentin, “Breve trattato sulla Vergine Maria”, p. 34-35).

Veniamo infine al Vangelo, per collegare e concludere ogni cosa. “Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Rispondeva loro: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Rispose loro: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe” (Lc 3,10-14).

Cosa deve fare uno che sente bussare alla porta? Alzarsi e andare ad aprire! Ma è solo l’inizio. Subito dopo, c’è Lui, Gesù, c’è la gioia della sua Cena.

 

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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