CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 11 dicembre 2009 (ZENIT.org).- I sacerdoti devono rifuggire da un certo “arido intellettualismo” e riscoprire il valore dell’unzione dello Spirito per spandere il buon profumo di Dio” nel mondo. E’ quanto ha detto padre Raniero Cantalamessa, nella seconda Predica di Avvento, tenuta questo venerdì mattina alla presenza del Papa e dei membri della Curia Romana.
Continuando nella sua analisi della Seconda Lettera ai Corinzi, il predicatore della Casa pontificia ha parlato della sacralità conferita al sacerdozio dall’unzione sacerdotale ed ha stigmatizzato gli atteggiamenti scandalosi di quei presbiteri che invece di essere “ministri dello Spirito” provocano il rifiuto di Cristo da parte della gente.
Innanzitutto, ha sottolineato, occorre “riscoprire l’importanza dell’unzione dello Spirito perché in essa, sono convinto, è racchiuso il segreto dell’efficacia del ministero episcopale e presbiterale”.
“Avere l’unzione significa, dunque, avere lo Spirito Santo come ‘compagno inseparabile’ nella vita, fare tutto ‘nello Spirito’, alla sua presenza, con la sua guida”, ha detto.
“Tutto questo si traduce, all’esterno, ora in soavità, calma, pace, dolcezza, devozione, commozione, ora in autorità, forza, potere, autorevolezza”, ha poi aggiunto il frate cappuccino.
“È una condizione caratterizzata da una certa luminosità interiore che dà facilità e padronanza nel fare le cose – ha spiegato ancora –. Un po’ come è la ‘forma’ per l’atleta e l’ispirazione per il poeta”.
Tuttavia, ha precisato padre Cantalamessa, c’è “un rischio comune” a tutti i Sacramenti, quello cioè “di fermarsi all’aspetto rituale e canonico dell’ordinazione, alla sua validità e liceità, e non dare abbastanza importanza […] all’effetto spirituale, alla grazia propria del Sacramento, in questo caso al frutto dell’unzione nella vita del sacerdote”.
Per avere l’unzione dello Spirito, ha continuato il predicatore francescano, è necessario “anzitutto pregare. C’è una promessa esplicita di Gesù: ‘Il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono’”.
Inoltre, occorre rompere “il vaso di alabastro come la peccatrice in casa di Simone. Il vaso è il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo. Romperlo, significa rinnegare se stessi, cedere a Dio, con un atto esplicito, le redini della nostra vita. Dio non può consegnare il suo Spirito a chi non si consegna interamente a lui”.
L’unzione sacramentale è “come con un flacone di profumo. Noi possiamo tenerlo in tasca o stringerlo nella mano finché vogliamo, ma se non lo apriamo il profumo non si effonde, è come se non ci fosse”.
“Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo!”, ha ribadito padre Cantalamessa citando un passo di San Paolo ai Corinzi.
“Ma l’Apostolo – ha aggiunto – ci mette sull’avviso, aggiungendo subito dopo: ‘Abbiamo questo tesoro in vasi di terra’. Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza recente, cosa tutto questo significa”.
“Gesù diceva agli apostoli: ‘Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini’”.
“La verità di questa parola di Cristo – ha concluso – è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui”.