JALBUN, giovedì, 10 dicembre 2009 (ZENIT.org).- Un villaggio e gli insediamenti che lo circondano in Cisgiordania sono stati inondati dalle acque residue e gli abitanti hanno difficoltà a ottenere acqua potabile.
Una dichiarazione inviata da Caritas Gerusalemme spiega i problemi dei 2.500 residenti di Jalbun. Vivendo in una zona situata in una depressione e adiacente a una fattoria di bovini, così come per via della deviazione delle acque nere provocata dal muro di separazione, Jalbun si è vista inondata da queste acque residue.
Samir Abu Al-Roub, presidente del consiglio locale di Jalbun, ha segnalato le oscure prospettive per l’agricoltura visto che i campi hanno assorbito i prodotti chimici delle acque residue.
Jalbun, inoltre, non è collegata alla rete di distribuzione dell’acqua, il che significa che i residenti si vedono costretti a comprarla.
Residente nel villaggio, Jamal Abu Al-Rob ha lamentato: “Non posso permettermi di comprare l’acqua per 45 pecore e per la mia famiglia. E’ troppo”.
Secondo la dichiarazione di Caritas Gerusalemme, i palestinesi restano senz’acqua per giorni o mesi consecutivi.
“I residenti della maggior parte dei villaggi della Cisgiordania ricevono acqua corrente solo una volta a settimana e alcuni non l’hanno ricevuta per mesi. Questo problema dei tagli dell’acqua non è solo un rischio per la salute, ma anche un problema sociale e agricolo”, ha detto Nader Al-Khateeb, direttore generale dell’Organizzazione per lo Sviluppo dell’Acqua e dell’Ambiente.
Per i funzionari palestinesi, Israele controlla circa 50 pozzi per rifornire 250.000 persone. I palestinesi controllano circa 200 pozzi, ma con questi devono rifornire 2,5 milioni di abitanti.