Sulla vendita dei beni mafiosi, "nessun segnale positivo dal Governo"

“Libera” denuncia l’emendamento della Finanziaria all’esame della Camera

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di Mirko Testa

ROMA, lunedì, 7 dicembre 2009 (ZENIT.org).- “Approvare alla Camera l’emendamento sulla vendita dei beni confiscati alle mafie è un vero e proprio regalo natalizio per la criminalità organizzata”. E’ quanto si legge in una nota diramata dall’associazione “Libera”, presieduta da don Luigi Ciotti.

La protesta è esplosa alla vigilia della discussione alla Camera, prevista per il 9 dicembre prossimo, dell’emendamento della Finanziaria secondo cui i beni immobili non destinali entro i tempi previsti – tre mesi o sei nei casi più complessi – dovranno esseri messi in vendita.

Il timore è che la norma, a causa delle procedure esecutive innescate dalle ipoteche bancarie o delle lungaggini burocratiche, possa essere applicata a tutti i beni, che in questo modo tornerebbero facilmente in mano alla criminalità organizzata.

Di fatto già ora, nel tempo che intercorre tra la confisca e l’assegnazione, molti beni restano nelle mani delle organizzazioni criminali. Le aziende, invece, vengono spesso portate al fallimento e riacquistate a prezzi stracciati attraverso dei prestanome.

Dal 1982 a oggi sono stati confiscati 8.993 beni, di cui 5.407 destinati (539 consegnati alle forze di polizia, il resto gestiti da 480 Comuni e da 150 associazioni) e 3.213 attualmente bloccati all’agenzia del Demanio: il 36% perché gravati da ipoteche bancarie, il 30% perché occupati abusivamente, un’altra parte consistente perché beni indivisibili.

I dati forniti da “Libera” sono quelli del monitoraggio del Commissario straordinario per i beni confiscati aggiornati al 30 giugno. Le aziende confiscate, alla stessa data, sono 1.185. Circa 350 sono andate in liquidazione, 40 vendute o affittate, 580 chiuse o fallite, 216 sono gestite dal Demanio, mentre sono poche decine quelle ancora in attività.

Il primo a capire l’importanza di affiancare all’azione repressiva dello Stato una lotta contro l’economia mafiosa, sottraendo ai clan le ricchezze accumulate illegalmente, fu Pio La Torre, un sindacalista e uomo politico ucciso da Cosa Nostra a Palermo il 30 aprile 1982.

In seguito alla sua morte, lo stesso anno, venne approvata la legge Rognoni-La Torre, che introduceva l’articolo 416 bis riguardante il reato di associazione mafiosa e istituiva la confisca dei beni del crimine organizzato.

Quattordici anni dopo, nel 1996, “Libera” raccolse un milione di firme per una legge, la 109/96, che finalizzava la confisca al riutilizzo sociale dei beni appartenuti alle mafie, creando così posti di lavoro per i giovani soprattutto nel Sud d’Italia.

In questo modo si voleva riaffermare una cultura della legalità, permettere la restituzione alla collettività di grandi patrimoni accumulati illecitamente, rinsaldare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e colpire la credibilità e le finanze delle organizzazioni criminali.

L’associazione “Libera”, che riunisce oltre 1300 gruppi nazionali e locali, in questi anni ha accompagnato la nascita di associazioni e cooperative sociali impegnate nella gestione dei terreni confiscati alle mafie. Un’esperienza che ha portato alla messa in produzione di quasi 450 ettari di terra, concentrati tra le province di Palermo e Trapani.

I prodotti sono poi commercializzati con il marchio “Libera Terra” e distribuiti, attraverso il circuito Coop e quello del commercio equo e solidale, direttamente dalle stesse cooperative di produzione oppure attraverso le “Botteghe dei sapori e dei saperi della legalità”, le cosiddette “cene della legalità” e altre iniziative.

Con l’approvazione dell’emendamento, afferma “Libera” nella nota, “si sta tradendo lo spirito, la valenza etica e culturale della legge 109/96, ma soprattutto non si tiene conto delle tante voci del Paese che in questi giorni si stanno esprimendo contro la vendita”.

Otre 150.000 cittadini, in questi giorni, hanno firmato l’appello “Niente Regali alle mafie, i beni sono cosa nostra”, mentre oltre 400 familiari di vittime delle mafie hanno scritto al presidente della Camera Gianfranco Fini per chiedere il ritiro dell’emendamento.

Tanti inoltre le associazioni – come Legambiente, Arci, Acli, Tavola della Pace, Uisp, Agesci, Uds – e i personaggi del mondo della cultura, del cinema e della società civile che vi hanno aderito.

“Queste voci rappresentano il Paese responsabile, onesto e coraggioso che chiede al Governo un sussulto di coscienza, un gesto irrevocabile di responsabilità: non approvare alla Camera l’emendamento. Nella lotta alle mafie – conclude “Libera” – ci vuole coerenza tra il dire e il fare”.

In un articolo apparso il 4 dicembre su “Famiglia Cristiana”, don Ciotti ha osservato che “la vendita di quei beni significherà una cosa soltanto: che lo Stato si arrende di fronte alle difficoltà del loro pieno ed effettivo riutilizzo sociale, come prevede la legge. E il ritorno di quei beni nelle disponibilità dei clan a cui erano stati sottratti, grazie al lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura, avrà un effetto dirompente sulla stessa credibilità delle istituzioni”.

Il 24 novembre scorso, presso la Bottega della Legalità “Pio La Torre” di Roma, “Libera” ha organizzato “l’asta simbolica” degli oltre 3000 beni immobili “a rischio” vendita nel caso venga approvato l’emendamento anche alla Camera.

In quell’occasione, don Ciotti ha affermato che “non si può restituire, anche se in modi diversi, perché bisogna ‘fare cassa’, questi beni alle mafie”.

“Chiediamo, invece, e con grande forza, che si giunga ad una agenzia nazionale per i beni confiscati per poter, sopra le parti, coordinare il tutto. Chiediamo un testo unico in materia di beni confiscati che coordini le diverse iniziative legislative che si sono sviluppate e chiediamo il rafforzamento degli strumenti accertatori per l’individuazione di questi beni”.

“Il vero provvedimento utile – secondo don Ciotti – sarebbe trovare il modo per restituire quei beni ai cittadini”. In caso contrario, “attraverso stratagemmi, opere di ingegneria”, tornerebbero agli stessi boss che da tempo chiedono di vendere i beni, “perché loro hanno i soldi per ricomprarli”.

In un’intervista rilasciata alla rivista “Narcomafie” (n. 10/2009), don Ciotti ha tracciato un bilancio provvisorio dell’impegno messo in campo dall’attuale Governo nei confronti della mafia, affermando che a fronte di misure positive contenute nella nuova legge sulla sicurezza ci sono anche molte zone d’ombra.

La lotta alle mafie, ha infatti spiegato, significa anche “contrasto a quelle forme d’illegalità che sono spesso l’anticamera delle mafie e la sua base culturale. E su questo piano alcune iniziative – dalla riforma sulle intercettazioni telefoniche allo scudo fiscale, al mancato intervento sul comune di Fondi infiltrato dalla mafia – lasciano francamente sconcertati”.

“A monte poi, non meno preoccupante, c’è il progressivo lottare contro le mafie senza politiche sociali, opportunità per le persone più deboli, interventi economici mirati, tutela e diffusione dell’area dei diritti”.

Per ulteriori informazioni, www.libera.it

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ZENIT Staff

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