L'incontro con l'Islam: un tema esigente

ROMA, sabato, 30 maggio 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato da mons. Ernesto Vecchi, Vescovo ausiliare di Bologna e Segretario della Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna, il 22 maggio presso l’Oratorio di S. Filippo Neri a Bologna, in occasione del Convegno sul tema: “Islam in Italia: dalla carta dei valori alla questione delle moschee”.

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1. L’incontro con l’ «Islam»: un tema esigente

Sono onorato e particolarmente lieto di portare il mio saluto e quello della Chiesa di Bologna ai partecipanti a questo Convegno, in particolare ai relatori Prof. Carlo Cardia e Dott. Yahya Pallavicini. La Fondazione Forense Bolognese, in collaborazione con l’Unione Giuristi Cattolici Italiani, ha voluto promuovere questa iniziativa per dare un contributo qualificato e costruttivo alla soluzione di un problema sempre più coinvolgente lo Stato e la Nazione Italiana, come la nuova Europa: l’immigrazione e, in particolare, il rapporto con il mondo musulmano.

Anzitutto non dobbiamo dimenticare che l’incontro-scontro tra cristiani e musulmani non è una novità, ma è già avvenuto nel corso della storia, fin dall’inizio di questa «nuova» identità religiosa, apparsa sei secoli dopo l’avvento del cristianesimo. Sono le Chiese orientali che per prime hanno sperimentato un approfondito confronto culturale e teologico con il mondo islamico. Oggi, può essere di grande utilità il recupero della tradizione culturale di questo confronto, maturato in oriente e reperibile nella letteratura arabo-cristiana e nell’esperienza delle Chiese orientali.

Ai nostri giorni, purtroppo, molti affrontano questo tema con una insufficiente conoscenza dei termini «Islam» e «Cristianesimo», col rischio di proporre soluzioni ai problemi della convivenza non idonee ad un’autentica «integrazione», che rispetti le persone e le loro culture, senza rinnegare l’identità del popolo ospitante. Il confronto con l’ «Islam» è certamente uno stimolo a “non far sparire Dio dall’orizzonte degli uomini” (Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi, 10-3-2009), di fronte all’ambiguità devastante che invade sempre più l’area culturale europea, frutto di un relativismo miope, superficiale, prepotente e sincronico, cioè smemorato e incapace di progettualità, come scrive Zygmunt Bauman nel suo ultimo libro “Vite di corsa” (Il Mulino, Bologna, 2009).

2. Benedetto XVI pellegrino in Terra Santa

Il recente viaggio di Papa Benedetto XVI in Terra Santa ha indicato chiaramente quale è – in linea di principio – l’atteggiamento della Chiesa Cattolica nei confronti degli Ebrei e dei Musulmani.

Prendendo per mano un iman musulmano e un rabbino ebreo nella basilica dell’Annunciazione a Nazaret, lo scorso 14 maggio, il Papa ha simbolicamente abbracciato i credenti che vivono in Terra Santa, dando personalmente l’esempio nell’attuare quanto aveva affermato nella Messa presso il Monte del Precipizio, sempre a Nazaret, invitando a “edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza”.

Se da una parte ha ricordato il legame inscindibile dei cristiani con gli ebrei, dall’altra ha posto la ragione al centro del dialogo con l’Islam. A conclusione del viaggio, sintetizzandone il significato, ha presentato la nostra epoca come occasione favorevole per abbattere tutti i muri, per separare definitivamente religione e violenza, come tempo favorevole per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso e la comprensione reciproca.

Il Papa si è mosso in continuità con l’insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II che, nella Dichiarazione “Nostra Aetate” (1965), ha esortato i cristiani a “riconoscere, conservare e far progredire i beni spirituali e morali e i valori socio-culturali presenti nei seguaci delle altre religioni, attraverso il dialogo e la collaborazione, prudente e caritatevole”, nella consapevolezza che “la Chiesa Cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni, considerandolo un riflesso di quella Verità che illumina tutti gli uomini”.

Ma la stessa Dichiarazione conciliare aggiunge subito che la Chiesa “annuncia ed è tenuta ad annunciare incessantemente Cristo che è «via, verità e vita» (Gv 14, 6), in cui gli uomini trovano la “pienezza della vita religiosa” (Cf. n. 2). Ciò non impedisce ai Padri conciliari di affermare, in particolare, che “la Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra” (cf. n. 3). Sul piano dei principi, dunque, l’orizzonte sembra abbastanza chiaro, ma sul piano della realtà globale non si possono ignorare i problemi irrisolti e le difficoltà in atto, se effettivamente si vuole procedere nella direzione indicata dal Papa.

3. Un intervento dei Vescovi dell’Emilia Romagna

Nell’anno 2000, infatti, i Vescovi dell’Emilia Romagna hanno presentato un testo di Don Davide Righi su “Islam e Cristianesimo” (EDB, Bologna), che guarda in faccia la realtà. È una sintetica e lucida esposizione dell’argomento, che essi hanno offerto a tutti coloro che svolgono una funzione attiva nella vita ecclesiale, ma anche a quanti hanno a cuore i problemi emergenti del nostro tempo, in particolare ai responsabili della vita pubblica italiana, che sono chiamati dalla storia ad affrontare con saggezza e lungimiranza, con realismo e senza compromessi ideologici le nuove sfide che emergono in questo settore.

I Vescovi dell’Emilia Romagna, inoltre, hanno rivolto un caldo invito a non trascurare l’esperienza dei fratelli di fede e di ministero, che vivono in paesi a maggioranza musulmana, i quali mettono in guardia da un errore di prospettiva, che potrebbe falsare totalmente il nostro giudizio: non ci si deve limitare a un approccio puramente culturale dell’Islam.

Noi dobbiamo ascoltare con interesse quanto ci dicono gli studiosi del movimento islamico nella sua origine, nella sua storia, nella sua dottrina, nella ricchezza culturale che è fiorita tra le genti musulmane. Ma dobbiamo ascoltare anche chi conosce e testimonia, per esperienza diretta, il comportamento dei musulmani (dove la loro volontà è determinante) nei confronti degli altri, la loro durezza nell’esigere che ci si adegui alle loro norme di vita, la loro sostanziale intolleranza religiosa quale è ampiamente documentabile per molti paesi, le loro intenzioni di conquista (delle quali del resto non fanno nessun mistero).

4. Il dialogo costruttivo non ignora la realtà

A proposito di conquista mi sembra utile fare una piccola digressione che può aiutare a chiarire il pensiero dei Vescovi. Durante la Seconda Assemblea Speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi, S.E. Mons. Giuseppe Germano Bernardini, Arcivescovo di Izmir in Turchia, dove è rimasto per oltre 40 anni e dove i musulmani sono il 99,9%, ha messo in evidenza la persuasione di tanti autorevoli personaggi musulmani così formulata: “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo”.

Tale persuasione fu espressa anche al Cardinale Oddi di v.m., durante il suo servizio diplomatico, da un noto Capo di Stato islamico che gli disse: “Voi ci avete fermato a Lepanto nel 1571 e a Vienna nel 1683. Noi invaderemo l’Europa, senza colpo ferire, grazie alla vostra democrazia”.

Ora, Mons. Bernardini e gli altri Vescovi missionari non vogliono creare allarmismi fuori luogo, esortano solo a non trascurare la realtà, perché il dialogo sia costruttivo e capace di risolvere i problemi reali e non si esaurisca in facili astrattismi o non si perda in irenismi ideologici.

Ai nostri politici – sono ancora i Vescovi dell’Emilia Romagna che parlano – vorremmo ricordare il problema della «diversità» islamica nei confronti del nostro irrinunciabile modo di convivenza civile.

Essi non possono lasciare senza risposta pertinente gli interrogativi che tutti gli italiani di buon senso si fanno: come si pensa di far coesistere il diritto familiare islamico, la concezione della donna, la poligamia, l’identificazione della religione con la politica, con i princìpi e le regole che ispirano e governano la nostra
civiltà?

Inoltre, non possiamo dimenticare la preghiera organizzata in contemporanea, nel gennaio scorso, sul “crescentone” di Piazza Maggiore, davanti a S. Petronio e al Comune e in “Piazza Duomo” a Milano come in altre città. La preghiera è stata strumentalizzata e posta davanti alla nostra democrazia non come un atto di libertà, ma come pressione politica. La vera preghiera non è compatibile con il vilipendio alle bandiere nazionali. Con queste manifestazioni, guidate da regie precise, il mondo musulmano non favorisce il dialogo e l’accoglienza dei paesi ospitanti.

5. Un esempio di concretezza dialogica

Queste evidenti difficoltà, che andrebbero meglio analizzate nelle loro cause originali, almeno sul nostro territorio, non debbono arrestare i tentativi di approccio e di dialogo, come ha fatto, nell’aprile del 2006, il Cardinale Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna. Egli ha sottoscritto, con il Direttivo del Centro Islamico della nostra città, una dichiarazione contro il terrorismo. In tale occasione il Cardinale ha detto: “Se vogliamo costruire una convivenza degna di ciascuna persona, è necessario che tutti concordiamo sul giudizio che il terrorismo, di qualunque matrice esso sia, è una scelta perversa e crudele e calpesta la colonna portante della civiltà umana: il diritto alla vita di ogni persona umana, dal suo concepimento alla sua morte naturale (cf. Bollettino dell’Arcidiocesi di Bologna, 2006, p. 197).

Il Cardinale Caffarra ha poi indicato uno spazio di dialogo e di azione comune: coltivazione del rispetto reciproco, la difesa dei diritti derivanti dalla dignità della persona umana, l’edificazione di una città più giusta, l’impegno educativo verso le nuove generazioni, sul comune denominatore del rispetto, della pace, della convivenza sociale. Inoltre, nel 2007, un esponente musulmano ha preso la parola in un Convegno Diocesano sull’educazione.

6. Natura ed esigenze del “dialogo” con le altre religioni

Il dialogo con le altre religioni e, per quanto attiene a questo Convegno, in particolare con l’Islam, non ha dunque motivazioni solamente sociologiche, ma prettamente religiose, quale esigenza della missione evangelizzatrice della Chiesa. Solo in questa prospettiva può collocarsi una fruttuosa riflessione sulla questione delle moschee in Italia.

Siamo cioè interessati ad avere buone relazioni con tutti, nel rispetto dei diritti e doveri fondamentali dell’uomo e dei valori costituzionali; siamo interessati alla giustizia, alla pace, alla prosperità e alla sicurezza di ogni popolo; ma soprattutto, come discepoli di Cristo, vogliamo obbedire al comando del Risorto: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato” (Mc 16,15-16), come sentiremo anche nella Messa di domenica prossima, nella solennità dell’Ascensione.

Il dialogo con le religioni non è una questione di ordine pubblico, ma una esigenza collegata con la missione della Chiesa perché pone la questione fondamentale della fede e della religione in ordine alla salvezza.

Al di là di quanto superficialmente qualcuno pensa, il rispetto di un’altra religione si attua riconoscendo nell’altro la dimensione della fede. Se nel dialogo non si porta integralmente la propria identità e la propria fede – pronti a renderne testimonianza – dialogare non serve. Non si deve avere paura della coerenza, perché mettere al primo posto la fede non porta allo scontro, bensì alla piena libertà, che è l’adesione senza condizionamenti al vero e al bene!

Il dialogo interreligioso, che in realtà è incontro tra credenti, mira non tanto ad affermare le proprie ragioni contro quelle dell’altro, bensì a favorire l’avvicinamento di tutti a Dio, unico scopo della religione. Non è un compromesso su un minimo comune denominatore, ma la volontà di contribuire ad un comune progresso spirituale che motiva l’incontro ed esige la convivenza pacifica, la conoscenza, la collaborazione, fermo restando il dovere di ogni cristiano di annunciare e testimoniare non solo a parole, ma con i fatti, che Gesù Cristo è l’unico Salvatore del mondo (Cf. Dominus Jesus, 2000).

7. Carta dei valori e Costituzione italiana

L’adesione alla Carta dei valori è dunque una base necessaria, per affermare la ragionevolezza della fede quale garanzia di autentica libertà e, ancor più, perché ogni uomo possa conoscere e amare Dio, in cui tutti ci incontreremo. Comunque essa – a mio modestissimo parere – nonostante le riserve espresse da ambienti laicisti, non esprime in pienezza il dettato costituzionale, perché si articola in base al concetto che tutte le religioni sono uguali davanti allo Stato e ciò, se aiuta il dialogo interreligioso, non pone, invece, tutte le premesse per la soluzione del problema delle moschee, e per la salvaguardia delle nostre tradizioni e del nostro patrimonio culturale che non appartengono allo Stato, ma alla Nazione.

La Costituzione Italiana, nell’articolo 8 dice che “tutte le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”.

Questo diritto, però, non significa che per lo Stato italiano tutte le religioni sono uguali, ma che in una democrazia esiste la libertà di espressione, purché si rispetti l’ordinamento giuridico del nostro paese.

Lo Stato italiano, invece, nell’articolo 7 della Costituzione, riconosce di fatto che la religione cattolica, pur non essendo più “religione di Stato”, è comunque la religione “storica del popolo italiano” e, per questo, i rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica “sono regolati dai Patti Lateranensi”, che sono parte integrante della Costituzione Italiana.

Ciò significa che il cattolicesimo appartiene al DNA della Nazione italiana, perché sta alla base della sua struttura culturale: della letteratura, dei principali monumenti, delle opere d’arte, della sua civiltà, che hanno come principio definitivo acquisito il rispetto della persona e del diritto naturale.

Perciò, è sull’orizzonte del dettato costituzionale che va concretizzato il diritto alla preghiera dei musulmani. Essi dovranno avere la possibilità, secondo la loro libera iniziativa, di avere dei luoghi di preghiera, dove effettivamente vivono, perché il confronto e lo scambio solidale con la popolazione locale non venga meno.

A Bologna si è tentato di costruire la grande moschea, con un approccio molto superficiale alla situazione concreta, soprattutto dal punto di vista della reale conoscenza dell’Islam, che non ha una struttura monolitica e, perciò, rappresentativa di tutti i musulmani presenti sul territorio bolognese. Si è voluto invece accogliere la proposta di un’unica organizzazione islamica (Ucoii), non disposta a sottoscrivere gli impegni di fronte alla società civile, e, soprattutto, si è volutamente ignorata la reale volontà dei cittadini.

Inoltre, in tale contesto, non può essere sottaciuto il problema dei finanziamenti che arrivano anche a Bologna, come dimostrano le tante rimesse in denaro, che partono dai paesi arabi e che approdano di fatto nella nostra città, per l’acquisto di strutture immobiliari soprattutto nelle vie del centro storico.

Pertanto, un vero dialogo passa attraverso l’educazione all’accoglienza, basata sui valori della nostra identità nazionale, che è ospitale e democratica, ma purtroppo, oggi, vittima di un democraticismo che dà spazio a tutto e al contrario di tutto.

8. È necessario riformulare il concetto di “laicità

Gran parte di questi problemi, possono trovare una soluzione se lo Stato riconosce che la dimensione religiosa appartiene alla realtà umana. Ciò non signific
a reintrodurre la “teocrazia” nel sistema sociale, ma di riproporre seriamente – come ha detto Benedetto XVI a Ratisbona e a Verona nel 2006 – la necessità di allargare lo spazio della “razionalità”, per riformulare il concetto di “laicità” e giungere così a considerare la dimensione trascendente della vita non un ostacolo, ma la risposta autentica ai bisogni profondi dell’animo umano e la prospettiva adeguata per diradare le contraddizioni esistenziali di cui è piena la nostra società.

Il concetto di laicità ha una lunga storia e oggi, per interpretazioni parziali e non fondate, si è giunti a separare ciò che non va separato, cioè i laici dai cattolici. Il termine “cattolico” significa “secondo il tutto” e l’adesione alla fede cristiana non diminuisce nel cattolico la sua dimensione laicale, anzi ne approfondisce il significato. Pertanto, il cattolico “riuscito” è anche un autentico laico, perché la vera laicità è frutto del buon uso dell’intelligenza, che la fede non inquina ma potenzia, allargando gli spazi della razionalità.

Il concetto di laicità, dunque, appartiene alla struttura fondamentale del cristianesimo: «Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22, 21). Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca (Cf. Deus caritas est, 28).

Se la giustizia è lo scopo e la misura di ogni politica, essa ha bisogno dell’uso della ragione. Ma la ragione, per i suoi limiti ha bisogno di essere purificata, perché il prevalere dell’interesse e del potere produce in essa un “accecamento etico” (Ib.).

Purtroppo, oggi, si continua a concepire il sistema democratico come una “zona franca”, dove credenti e non credenti si confrontano, accantonando le proprie certezze, specialmente quelle della fede, proprio «come se Dio non esistesse».

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: non solo assistiamo all’eclissi del senso morale, ma alla “notte della ragione” e alla perdita «delle esigenze della “ragione universale”» (Cf. Fides et ratio, 36), cioè della «consapevolezza critica» nei confronti di ciò che si crede o si pensa.

Di fatto la separazione tra fede e ragione è un «dramma», perché ha distrutto la capacità di raggiungere le più alte forme del ragionamento (Cf. ivi, 45), sottraendo alla dinamica sociale la capacità di soppesare oggettivamente le proprie scelte.

In altre parole, per l’oscuramento della ragione non sostenuta dalla fede, l’uomo è insidiato nella sua dignità e nella sua capacità di raggiungere la piena maturità: le fantasie genetiche, il basso indice di natalità, il disprezzo della vita umana, la glorificazione delle devianze sessuali, la corrosione dell’istituto della famiglia (Cf. Liber Pastoralis Bononiensis, 562), rivelano l’assenza di una educazione al senso della vita, che costringe le nuove generazioni a brancolare nel buio di una «libertà senza verità», e impedisce loro di accedere alla “cultura della responsabilità”.

In tale contesto, di fronte alla cultura postmoderna, un sincero e oggettivo dialogo interreligioso si pone come un forte stimolo a rinsavire.

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ZENIT Staff

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