Pentecoste: la vitalità della vita

di padre Angelo del Favero* 

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ROMA, venerdì, 29 maggio 2009 (ZENIT.org).- “Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2,1-4).

La parola “pentecoste” viene dal greco “pentekosté”, che significa “cinquantesimo”. La festa della Pentecoste, in origine, era una festa contadina, legata alla fine della mietitura: si ringraziava Dio per il buon raccolto e gli si offriva il primo pane fatto con la nuova farina, oltre ad un olocausto, un’oblazione e libagioni di vino (cfr Lv 23,15-22). Successivamente la festa fu collegata da Israele alla storia della salvezza, e divenne “il giorno del dono della Torah”, memoriale dell’alleanza conclusa al Sinai cinquanta giorni dopo l’uscita dall’Egitto.

In Atti 2,1-11, Luca fa coincidere questa festa ebraica con un fatto straordinario accaduto nel Cenacolo: mentre volgeva al termine la commemorazione della Pentecoste antica, ecco accadere qualcosa di impressionante ed inatteso, un’irresistibile manifestazione di forza e di ardore, come un big-bang di vita divina che irrompe nella casa ed entra nelle persone traboccando incontenibilmente dai loro cuori. E’ lo Spirito del Risorto che aveva detto e promesso “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

E’ il dono della “Nuova Alleanza” preannunciata dai profeti (cfr Ez 16,59-63), consistente nella trasformazione dell’infedeltà in fedeltà, della debolezza in forza, della durezza sorda del cuore nella docilità accogliente del cuore nuovo (il cardiotrapianto come unica soluzione per l’inguaribile “sclerocardia”).

Ma come avvenne realmente allora, e come avviene oggi per noi la “pentecoste” dello Spirito Santo? Giovanni Paolo II lo ha spiegato così in un’omelia del 25 maggio 1980: “Noi abbiamo il diritto, il dovere e la gioia di dire che la Pentecoste continua. Noi parliamo legittimamente di ‘perennità’ della Pentecoste. Sappiamo, infatti, che 50 giorni dopo la Pasqua, gli apostoli, riuniti in quello stesso Cenacolo, che già era stato il luogo della prima Eucaristia e successivamente, del primo incontro con il Risorto, scoprono in sé la forza dello Spirito Santo disceso sopra di loro, la forza di Colui che il Signore aveva loro ripetutamente promesso a prezzo del suo patire mediante la croce e, forti di questa forza, cominciano ad agire, cioè a compiere il loro servizio. Nasce la Chiesa apostolica . Ma oggi ancora – ecco il collegamento – la basilica di San Pietro, qui in Roma, è come un prolungamento, è una continuazione del primitivo cenacolo gerosolimitano, come lo è ogni tempio e cappella, come lo è ogni luogo, nel quale si riuniscono i discepoli del Signore”.

Queste ultime parole richiamano il celebre passo paolino di 1Cor 3,16-17: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio che siete voi”. Il “Tempio di Dio” è anzitutto la comunità cristiana, ogni comunità dei credenti: la chiesa particolare, la parrocchia, la comunità religiosa, la famiglia “chiesa domestica”. Di ognuna lo Spirito è e vuole essere come l’anima nel corpo: principio di comunione e di unità nella fede e nell’amore vicendevole.

Colpisce in questo testo il severo monito di Paolo: colui che infrange il dono divino dell’amicizia fraterna, quasi strappasse un tessuto rendendolo totalmente inservibile, andrà incontro anche alla rovina della sua anima, del suo rapporto con Dio. Non si tratta di una sorta di rappresaglia divina, bensì delle inevitabili conseguenze del peccato contro l’unità spirituale e profonda della comunità di cui ognuno è tralcio: se si impedisce allo Spirito di mantenere le membra in comunione fra loro, tutto il corpo risulta smembrato a morte, come in un aborto volontario. Questo è un “omicidio” comunitario, essendo la comunità ecclesiale come un solo uomo; ma è anche un suicidio per il responsabile, dal momento che la sua vita di membro-tralcio è inseparabile dal corpo-vite.

Tutto ciò vale anche per il singolo credente, anch’egli “Tempio di Dio”. Sin dal concepimento, infatti, l’uomo è un grembo “capace” di Dio, creato per divenirne tempio: “Per natura e per vocazione, l’uomo è un essere religioso, capace di entrare in comunione con Dio. Questo intimo e vitale legame con Dio conferisce all’uomo la sua fondamentale dignità” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2 del Compendio). Con il battesimo il grembo-uomo si ingravida di Dio, diventando “madre” di Dio dal momento in cui la Trinità viene a dimorare in lui per costituirlo realmente “Figlio di Dio” (1Gv 3,1). E come un papà ed una mamma sostengono i primi passi del loro bambino perché non cada, così Dio Spirito aiuta l’uomo a non cadere mentre cammina sul terreno accidentato della vita: “Fratelli, camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne” (Gal 5,16).

Ed ecco come avviene questo cammino al passo dello Spirito Santo: “Il cristiano è un uomo al quale Cristo ha comunicato il suo Spirito; la sua vita è una vita nello Spirito; e il dono che ha ricevuto è ad un tempo ecclesiale e personale. In principio, a Gerusalemme, l’esperienza dello Spirito si fece nella comunità (la Pentecoste) e questa esperienza “sociale” è alla base di tutte le esperienze cristiane individuali. Non c’è esperienza dello Spirito separato, rinchiusa nei limiti di una individualità. Per quanto personale e profonda possa essere sarà sempre ecclesiale. D’altra parte non si dirà mai abbastanza quanto è profonda e personale l’azione dello Spirito sull’uomo rigenerato. E’ letteralmente una trasformazione.

Prima di ricevere il dono dello Spirito, l’uomo è un’anima senza forza; è vinto dalla carne e dal peccato, tiranneggiato dal male e dallo spirito cattivo. Dopo l’invasione dello Spirito è trasformato. Da allora lo spirito umano naturale è lo spirito visitato, purificato, vitalizzato nella sua profondità dallo Spirito Santo; è lo spirito naturale elevato dal battesimo all’ordine dell’essere e dell’agire soprannaturali, cioè divinizzato dalla forza dello Spirito nella sua potenza di amare, di comprendere, di agire.

L’uomo rigenerato dallo Spirito è diventato uno spirituale. Ma lo è solo in germe, e non può ancora fare l’esperienza dello Spirito. Bisognerà che da bambino quale è, diventi uomo adulto “Perfetto” nel senso paolino (cfr 1Cor 2,6s). L’uomo maturo, a differenza del bambino, ha l’esperienza della vita; il cristiano perfetto, a differenza del bambino-nello-spirito, ha l’esperienza delle cose di Dio.

Non è l’uomo che ha tutte le virtù, che non prova più la lotta della carne e dello spirito, no: è colui che non cede più, normalmente, alle forze carnali, ed è normalmente docile ai richiami dello Spirito. Ha sviluppato nella lotta il suo organismo spirituale, si è allenato, è cresciuto, è adulto. Siccome è fedele, è diventato capace di comprendere il mistero di Dio, di discernere il bene dal male, di sentire e seguire l’invito dello Spirito, di crescere all’infinito. E’ capace di fare l’esperienza delle cose di Dio, l’esperienza dello Spirito. Segue solo lo Spirito, cammina nello Spirito, esiste nello Spirito.

E’ per aver accolto la Parola che si è ripieni dello Spirito e messi sotto la sua influenza: la fede nella Parola è la porta d’ingresso della vita nello Spirito. Soltanto con l’obbedienza alla Parola si può vivere nello Spirito” (Jean Mouroux, L’esperienza cristiana, cap. V).

Quest’ultima affermazione descrive anzitutto Colei che all’annuncio dell’Angelo ebbe la grazia e la forza di dire “Avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38).

Lo Spirito che discese su Maria a Nazaret è lo stesso Spirito che scese sulle acque all’alba della Creazione (cfr Gen 1,2), ed è lo stesso che discenderà su di Lei e gli apostoli nel Cenacolo. Ogni concepimento nel grembo rinnova questi tre momenti dello Spirito Creatore.

Ascoltiamo le parole di Benedetto XVI, il 14 maggio scorso nel Santuario dell’Annunciazione di Nazaret: “L’Incarnazione è stata un nuovo atto creativo. Quando nostro Signore Gesù Cristo fu concepito per opera dello Spirito Santo nel seno verginale di Maria, Dio si unì con la nostra umanità creata, entrando in una permanente nuova relazione con noi e inaugurando una nuova Creazione. (…) Il riflettere su questo gioioso mistero ci da’ speranza, la sicura speranza che Dio continuerà a condurre la nostra storia, ad agire con potere creativo per realizzare gli obiettivi che al calcolo umano sembrano impossibili. Questo ci sfida ad aprirci all’azione trasformatrice dello Spirito Creatore che ci fa nuovi, ci rende una sola cosa con Lui e ci riempie con la sua vita. Ci invita, con squisita gentilezza, a consentire che Egli abiti in noi, ad accogliere la Parola di Dio nei nostri cuori, rendendoci capaci di rispondere a Lui con amore e di andare con amore l’uno verso l’altro”.

Ogni umano concepimento è un atto creativo di Dio, nel quale si compie ogni volta questa Parola: “Mandi il tuo Spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra” (cfr Salmo 104,30). Annuncia che ogni creatura vivente dipende da Dio, così come la vita dipende dall’atto del respiro. Ma mentre nella fisiologia del corpo la capacità di respirare è autonoma, nella “fisiologia” dell’essere l’esistenza non è autonoma, ma viene elargita istante per istante da Dio, Fonte increata della vita, come nella lampadina la luce viene dalla corrente elettrica.

La parola ebraica usata per indicare lo Spirito traduce sia “soffio di vento” (At 2,2), sia “respiro della vita” ( Gen 2,7): entrambi i significati dicono la vitalità della vita. Allora non è difficile comprendere la Pentecoste a partire dalla quotidiana esistenza. La vita, infatti, è in noi sempre, ma non sempre è in noi la gioia e la forza interiore della vita, la quale dipende dal grado della comunione con Dio, cioè dal dono dello Spirito Santo. La vitalità della vita non coincide con la forza della giovinezza, ma con la pienezza della grazia santificante. Essa è la gioia di vivere, quella vera, quella propria di Gesù-Vita: “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (cfr Gv 15,11).

Così la festa della Pentecoste è profondamente legata al dono della vita e alla sua verità per ogni uomo sulla terra. Questa è la verità della creazione e della redenzione, verità sull’uomo, sul male del mondo e sulla salvezza che ne è l’ultima parola: “Quando verrà il Paraclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, Egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (cfr Gv 15,26-27).

Come a dire che lo Spirito farà emergere dall’intimo dell’uomo la verità sulla sua vita, verità che il Creatore stesso gli ha comunicato nell’essere personale. Lo fa intendere chiaramente l’enciclica Evangelium Vitae: “La vita porta indelebilmente inscritta in sé una sua verità. L’uomo, accogliendo il dono di Dio, deve impegnarsi a mantenere la vita in questa verità, che le è essenziale. Distaccarsene equivale a condannare se stessi all’insignificanza e all’infelicità, con la conseguenza di poter diventare anche una minaccia per l’esistenza altrui, essendo stati rotti gli argini che garantiscono il rispetto e la difesa della vita, in ogni situazione” (n. 48).

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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

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ZENIT Staff

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