Il Papa in Medio Oriente come fratello dei musulmani e degli ebrei

Intervista al Vicario dei cattolici di lingua ebraica in Israele

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di Karna Swanson

GERUSALEMME, venerdì, 8 maggio 2009 (ZENIT.org).- Una delle sfide più grandi legate alla visita di Benedetto XVI in Terra Santa, è quella di riuscire a mostrare ad ebrei e musulmani il volto di Cristo, secondo padre David Neuhaus.

Padre Neuhaus, Patriarca Vicario delle comunità cattoliche di lingua ebraica (www.catholic.co.il) nel Patriarcato latino di Gerusalemme, ha parlato con ZENIT in vista del viaggio del Papa in Giordania, Israele e nei territori dell’Autorità nazionale palestinese, in programma dall’8 al 15 maggio.

In questa intervista il gesuita spiega come Israele si stia preparando alla visita e parla delle principali sfide con cui si confronterà il Santo Padre in questo viaggio, e della storica importanza di questo evento.

In che modo Israele si sta preparando alla visita di Benedetto XVI? E in particolare, come si stanno preparando i cattolici di lingua ebraica in Israele?

Padre Neuhaus: Israele, come nazione, si sta preparando ad accogliere un ospite molto illustre. La bandiera del Vaticano già sventola per le strade che il Santo Padre dovrà percorrere. Le misure di sicurezza sono già visibili nei luoghi della sua visita. La stampa è piena di notizie su Papa Benedetto, sul suo programma per la visita, sugli aspetti della vita della Chiesa, e soprattutto sulla Chiesa locale che riceve generalmente scarsa attenzione in un Paese in cui i cristiani rappresentano solo il 2% o il 3% della popolazione.

Ciò nonostante, la comunità cattolica di lingua ebraica, così come quella di lingua araba, si sta preparando anzitutto ad accogliere il nostro Pastore con gioia ed entusiasmo. Ci stiamo preparando ad ascoltare e a guardare, ad imparare e ad aprire i nostri cuori. Abbiamo grande speranza di ricevere dal Papa incoraggiamento e aiuto nel comprende più profondamente la nostra vocazione ad essere una “piccola oasi” in questa terra ormai da troppo tempo caratterizzata dal conflitto. Siamo molto fieri che il Papa Benedetto abbia voluto insistere per visitare anzitutto noi e per stare con noi.

Il Santo Padre ha chiesto ripetutamente preghiere per questo suo pellegrinaggio e il suo portavoce lo ha definito un viaggio “decisamente coraggioso”. Crede che ci possano essere dei rischi particolari in un viaggio in Terra Santa oggi?

Padre Neuhaus: È effettivamente un viaggio coraggioso perché i rischi sono molteplici. Viviamo in mezzo a un conflitto politico-nazionale, e tutte le parti in causa sono pronte a sfruttare la visita del Santo Padre a proprio vantaggio. Lui si confronterà non solo con la realtà della vita religiosa in Terra Santa, ma incontrerà anche i rappresentanti ufficiali di Israele e dell’Autorità palestinese.

Li incontrerà peraltro in un contesto tra i più significativi: durante la visita a Yad Vashem (il memoriale alle vittime della Shoah) e a Aida Camp (un campo di rifugiati palestinesi della guerra del 1948). I rischi sono evidenti, sebbene il Papa venga come pellegrino in preghiera per la pace e l’unità. Molti si aspettano di sentire da lui parole a sostegno della propria causa. Ma il Papa viene come pastore. Molti cercheranno di analizzare ogni singola parola e ogni suo movimento per trarne un significato politico.

La visita dovrà essere coordinata con grande abilità, in modo da preservare le intenzioni del Santo Padre in un contesto in cui molti cercheranno di tirarlo nel pantano del conflitto e degli interessi di parte. Il Papa avrà bisogno del coraggio degli antichi profeti che si confrontarono con i potenti del loro tempo, per poter esprimere la sua parola di verità e portare a compimento la sua visita in questa terra come pellegrino della pace, dell’unità e dell’amore. Che le preghiere di Giovanni Paolo II possano dare forza a Papa Benedetto mentre cammina sul sentiero del suo predecessore. Che questo pellegrinaggio possa edificarsi e ampliarsi sulle fondamenta del meraviglioso pellegrinaggio del suo predecessore.

Il cardinale Leonardo Sandri ha rivelato questa settimana che il viaggio in Terra Santa è stato voluto dal Papa sin dall’inizio del suo pontificato. Perché è così importante?

Padre Neuhaus: L’importanza di questa visita si esprime a diversi livelli. Anzitutto, il Santo Padre arriva nella terra che è stata teatro della storia della nostra salvezza: la terra dei patriarchi, dei profeti e dei saggi dell’Antico Testamento; la terra di Gesù Nostro Signore e dei discepoli ed apostoli del Nuovo Testamento. Egli viene per ricordarci dell’importanza di questi luoghi sacri per la nostra identità come cristiani, perché rappresentano un memoriale permanente della fedeltà di Dio per noi.

In secondo luogo, egli viene per incoraggiarci e sostenere la madre Chiesa di Gerusalemme. In queste settimane – dalla Pasqua alla Pentecoste – stiamo leggendo gli Atti degli apostoli, in cui Gerusalemme e la sua Chiesa rappresentano un costante punto di riferimento. Dobbiamo rafforzare la Chiesa di Gerusalemme come costante punto di riferimento delle nostre origini e perché dare testimonianza di Gesù nella terra in cui lui ha vissuto è essenziale.

In terzo luogo, il Papa viene nel cuore di una zona in agitazione, per mostrare il volto della Chiesa come promotrice di giustizia, di pace e soprattutto di perdono e compassione. Abbiamo bisogno di questa visita in modo speciale per promuovere il perdono, così assente dai nostri discorsi sul conflitto locale.

In quarto luogo, il Papa viene per promuovere il dialogo, sia con gli ebrei, sia con i musulmani.

Questo viaggio sarà un’opportunità di incontro fra cattolici, musulmani ed ebrei. Cosa può fare il Papa per evitare incomprensioni con le religioni ebraica e islamica, come è avvenuto qualche mese fa dopo la remissione della scomunica del vescovo Richard Williamson, o con il discorso di Ratisbona all’inizio del suo pontificato?

Padre Neuhaus: L’incontro con le autorità ebraiche e islamiche è un elemento importante di questo viaggio. Il Santo Padre si recherà anche nei luoghi più importanti per queste due tradizioni religiose: Haram al-Sharif (dove visiterà la Cupola della Roccia) e il Muro occidentale (il Muro del pianto). Tutto ciò sarà preceduto da un raduno interreligioso in cui il Papa si rivolgerà a centinaia di ebrei, cristiani e musulmani, attivi nel dialogo interreligioso, nell’educazione, nel volontariato, nei diritti umani, nella democrazia e nella tolleranza: alle persone che lavorano come operatori di pace e promotori della giustizia e della riconciliazione.

Sia gli ebrei che i musulmani si attendono parole e gesti di riconciliazione, considerati i precedenti episodi di tensione. A tal fine, i momenti importanti non saranno solo le visite alle autorità religiose e ai luoghi sacri per le tradizioni ebraica e musulmana, ma anche gli incontri con la gente sofferente della regione. Questi incontri saranno a loro volta occasione per il Santo Padre di mostrare ai nostri fratelli ebrei e musulmani il volto di un fratello che rivolge a loro parole di saggezza e di amore e che compie gesti di rispetto e compassione.

Il Papa ha detto che va come “Pellegrino di pace” in Terra Santa. Come può il capo della Chiesa cattolica rappresentare una forza di pace in questa regione?

Padre Neuhaus: Si tratta di una sfida enorme, in una regione che troppo spesso sembra non volere intraprendere il cammino della pace. Il Papa non viene come leader politico, ma come leader spirituale e religioso in pellegrinaggio. Questo significa che ha la libertà dello Spirito e può tentare di trasformare la visione di chi in questa regione non riesce a vedere oltre il conflitto e lo scontro.

È poco probabile che il Santo Padre possa proporre un nuova formula ai leader politici, ma non ho alcun dubbio che egli potrà sottolineare quegli elementi che sono essenziali per un processo di pace e che tuttavia vengono raramente citati nei discorsi p
olitici che dominano la nostra regione. Il perdono e la compassione sono due di questi elementi che il Papa, nei suoi incontri con israeliani e palestinesi, certamente vorrà sottolineare.

Il Papa viene non come un re, ma come un profeta e un saggio. Questo gli conferisce un certo grado di libertà dagli imperativi del potere e della politica, per poter considerare la nostra triste condizione con parole di verità e di amore. Se egli riuscisse anche solo ad aprire la nostra visione per farci vedere ciò che non riusciamo a vedere – ovvero che l’altro è un nostro fratello e non un nostro nemico – allora ci avrà aiutato ad esorcizzare i demoni della paura, del sospetto e dell’odio che hanno colonizzato le nostre menti e i nostri cuori.

Per coloro che seguono il viaggio del Papa dall’estero, può individuare alcuni dei principali elementi del contesto culturale di cui tenere conto?

Padre Neuhaus: Forse, semplicemente, coloro che seguono l’evento dovranno capire che il Papa si reca in luoghi che non sono cattolici, ma che sono di tradizione, storia e identità ebraica (Israele), e di tradizione, storia e identità araba musulmana (la Giordania e i territori dell’Autorità nazionale palestinese). Per la maggior parte della gente il Papa non è l’amato pastore, ma un illustre straniero che rappresenta anche parte delle sofferenze e delle difficoltà che hanno caratterizzato i rapporti fra ebrei e cattolici, e fra musulmani e cattolici.

Dobbiamo pregare, tutti noi, che questa visita possa essere un importante momento di trasformazione, in cui israeliani e palestinesi, ebrei e musulmani, possano vedere nel volto del Papa Benedetto XVI il volto di Gesù Cristo, umile, compassionevole e servo dei suoi fratelli e sorelle. È questa in definitiva la più grande sfida di questo viaggio.

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ZENIT Staff

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