Di Antonio Gaspari
ROMA, martedì, 15 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Con un editoriale pubblicato da “Avvenire” questo martedì, il professor Claudio Risè, docente di Psicologia dell’Educazione alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Milano, ha spiegato che è legittimo che gli psicologi rispondano al bisogno di cura di chi soffre, e ha denunciato il linciaggio mediatico ai danni del professor Tonino Cantelmi.
Risè, che dal 1976, è attivo nel campo della Psicologia analitica, ha precisato che “l’ascolto e l’accoglienza del dolore umano (la parte più difficile, ma decisiva, della psicoterapia) ha un grande nemico: l’ideologia, che pretende di distinguere tra sofferenze ‘giuste’, ascoltabili, e sofferenze sbagliate, inaccettabili”.
Il Direttore della collana “Psiche e società” della casa editrice San Paolo ha raccontato come già Freud alla fine dell’800 venne criticato perché ascoltava le sofferenze delle persone.
“Un secolo dopo – sottolinea Risè – ancora si rifiuta, in un nuovo modo, di dar voce al dolore umano dissonante con pregiudizi potenti. Che oggi sostengono (tra l’altro) che nella persona omosessuale tutto va bene, e quindi non ci può essere un dolore che un terapeuta debba ascoltare, per aiutarla, se lo desidera, a porvi rimedio”.
Risè fa esplicito riferimento al linciaggio mediatico contro il professor Tonino Cantelmi, Presidente dell’Associazione Psicologi e Psichiatri Cattolici, generato dall’articolo scritto da un giornalista del quotidiano “Liberazione”, che si era spacciato per un omosessuale desideroso di mutare il proprio orientamento.
“Un’operazione rivelatrice del cinismo con cui certa politica guarda al dolore umano che non porti voti al proprio partito”, ha rilevato il noto psicologo.
La vicenda ha visto il coinvolgimento anche del Presidente dell’Ordine nazionale degli Psicologi, che, su sollecitazione del Presidente dell’Arcigay, ha scritto al quotidiano del Partito di Rifondazione Comunista una lettera in cui cita l’art. 4 del Codice Deontologico degli Psicologi.
Nel Codice si dice che “nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto… all’autodeterminazione… di chi si avvale delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, … sesso di appartenenza, orientamento sessuale”.
“Perfetto”, afferma Risè, che però non capisce il seguito della dichiarazione del Presidente dell’Ordine degli Psicologi, e cioè: “È evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna ‘terapia riparativa’ dell’orientamento sessuale di una persona”.
“Come si concilia – chiede Risè a questo punto – il ‘diritto all’autodeterminazione e all’autonomia del paziente’ col rifiuto di terapie che accolgano il bisogno che egli esprima di modificare il proprio orientamento sessuale?”.
Ed ancora: “Se una persona credente, con tendenze omosessuali, si rivolge ad un terapeuta perché queste gli causano disagio, lo psicologo può derogare al rispetto di opinioni e credenze?”.
Citando i principali manuali diagnostici in uso nella comunità scientifica, Risè spiega che “omosessuale o eterosessuale non fa differenza: se qualcuno soffre per la propria sessualità, va ascoltato, e preso in carico”.
Anche il manuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ICD-10, riporta il disturbo F66.1 Orientamento Sessuale Egodistonico, prevedendo che “l’individuo può cercare un trattamento per cambiare… la propria preferenza sessuale”, ribadisce il noto psicologo.
“Anche in Italia dunque, come negli altri Paesi democratici – conclude Risè –, gli psicologi rispondano al bisogno di cura di chi soffre, e non alle intimazioni di partiti e ideologie”.