Cambio della guardia alla direzione per la Comunicazione dell’Opus Dei

Intervista a Juan Manuel Mora, Direttore uscente

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CITTÀ DEL VATICANO, mercoledì, 27 settembre 2006 (ZENIT.org).- Juan Manuel Mora (San Fernando, 1957) ha diretto il settore della comunicazione dell’Opus Dei nel corso degli ultimi quindici anni trascorsi a Roma. Adesso lascia questo incarico per tornare all’Università di Navarra, dove lavorerà nell’ambito della comunicazione istituzionale e collaborerà con la Facoltà di comunicazione.

Il professor Mora continuerà tuttavia a tenere lezioni nella Facoltà di comunicazione sociale istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce a Roma, della quale è membro promotore.

A sostituirlo, nel suo incarico di Roma, sarà Marc Carroggio che finora si è occupato dei rapporti con i mezzi di comunicazione ed è anche professore presso la Facoltà di comunicazione istituzionale.

ZENIT ha intervistato Juan Manuel Mora per approfondire la sua particolare visione dell’Opus Dei, una Prelatura personale della Chiesa fondata da san José María Escrivá de Balaguer nel 1928.

Juan Manuel Mora illustra il lavoro informativo “straordinario” che l’Opus Dei ha dovuto mettere in atto contro l’offensiva del “Codice da Vinci” e indica quali sono a suo avviso i segreti comunicativi di Benedetto XVI.

In questi quindici anni di lavoro sul fronte della comunicazione dell’Opus Dei, ritiene che sia migliorata l’immagine della Prelatura nel mondo?

Mora: Nel corso di questi quindici anni ho visto molti membri dell’Opus Dei fare un grande sforzo di comunicazione, che si è espresso tra l’altro in una grande disponibilità di fronte all’incalzare dei giornalisti.

Non è facile valutare i frutti di questo lavoro in termini di immagine, ma ho potuto constatare che i giornalisti apprezzano molto questo atteggiamento. In ogni caso sono convinto che l’immagine dell’Opus Dei non renda ancora giustizia della sua realtà, e che occorra ancora fare molto per riuscire a far coincidere immagine e realtà.

In che senso il fenomeno del “Codice da Vinci” ha rafforzato l’Opus Dei?

Mora: In relazione al “Codice da Vinci” è stato necessario mettere in piedi un lavoro informativo straordinario, esporre le fondamenta della fede cristiana della Chiesa e dell’Opus Dei a molte persone, di ambienti culturali molto diversi. Questo esercizio di trasparenza è una grande scuola in cui si impara a trovare argomentazioni comprensibili, atteggiamenti aperti, parole semplici e chiare che aiutino ad esprimere la realtà. Questo processo rappresenta una forma di maturazione.

D’altra parte, dal punto di vista quantitativo, milioni di persone hanno conosciuto l’Opus Dei nei mesi passati e molti hanno mostrato interesse a partecipare alle sue attività.

Inoltre numerosi giornalisti hanno preso contatto con l’Ufficio stampa. Anche questi sono dati positivi, non perché aumentano la notorietà dell’Opus Dei, ma perché contribuiscono ad un migliore conoscimento del suo messaggio.

Cosa le piacerebbe che i suoi studenti cogliessero dalla risposta comunicativa dell’Opus Dei alle polemiche, sia quelle precedenti alla beatificazione di Escrivá de Balaguer, sia quelle più recenti relative al “Codice da Vinci”?

Mora: Forse due idee. La prima, che la reazione di fronte ad un’offesa deve essere sempre una reazione rispettosa. Non è possibile rispondere ad una scortesia con un’altra scortesia. È importante mantenere fermi sempre i principi che definiscono la propria identità.

E la seconda, che è opportuno lavorare molto e con pazienza. Diceva Giovanni Paolo II che per vedere l’efficacia del lavoro della Chiesa talvolta occorrono “lunghi tempi di attesa”. Nella comunicazione, i cambiamenti importanti sono solitamente lenti.

In sintesi potremmo dire: pazienza, rispetto, e lavoro, molto lavoro.

Quale contributo si aspetta per la Chiesa dalla Facoltà di comunicazione sociale istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce di Roma?

Mora: Vorrei che fosse luogo di riflessione dove i futuri responsabili della comunicazione delle istituzioni della Chiesa conoscano in modo approfondito il mondo della comunicazione, comprendano la sua dinamica e sappiano che per partecipare ad essa occorre prepararsi in modo professionale.

E che fosse anche un luogo dove i giornalisti che fanno informazione sui temi religiosi conoscano meglio la Chiesa e si rendano conto che – come anche negli altri campi quali la scienza, il diritto, l’economica o persino lo sport – per poter informare bene occorre specializzarsi. Questo reciproco conoscimento può dare molti frutti.

La Chiesa cattolica è spesso accusata di non fare comunicazione. Lei ritiene che si tratti di un’esagerazione?

Mora: È un’esagerazione. Se si guarda alla realtà di fatto, altre religioni, altre confessioni, hanno problemi di maggiore entità, per non parlare dei Paesi o delle imprese con gravi problemi di incomunicabilità.

Ma mi sembra molto salutare il desiderio dei cattolici di comunicare di più e meglio. Le istituzioni della Chiesa possono organizzare in modo sempre più professionale questo lavoro, al fine di risvegliare una “nuova curiosità” verso la fede, come diceva qualche anno fa il Cardinale Ratzinger.

Ma il miglioramento non riguarda esclusivamente la gerarchia, né è questione solo di programmi o di tecniche. La comunicazione della fede avviene quando si accende una scintilla nell’intelligenza e nel cuore di chi parla ai cristiani, tale da dare dimostrazione del fatto che nella Chiesa si vive un’esperienza di amore e di libertà.

<b> In quali occasioni recenti ritiene che il Vaticano abbia esercitato una buona politica comunicativa?

Mora: Evidenzierei gli avvenimenti relativi alla malattia e alla morte di Giovanni Paolo II. Sin dal 1978, il Papa aveva mantenuto un rapporto aperto con i mezzi di comunicazione, aveva deciso di vivere in una “casa di vetro”. Al momento della sua ultima malattia, il desiderio di Giovanni Paolo II è stato rispettato.

I giornalisti hanno potuto disporre di informazioni e hanno avuto la possibilità di realizzare numerose trasmissioni in diretta. In generale, i media hanno raccontato quelle dolorose giornate con grande rispetto. Si è prodotto un effetto al contempo aggregante e moltiplicatore.

Centinaia di migliaia di persone hanno potuto accompagnare il Papa nei suoi ultimi momenti. Non si ha memoria di un caso simile: mai nel passato le grandi reti televisive americane avevano dedicato tanto spazio ad una trasmissione in diretta.

Penso che sia stata una lezione indimenticabile da parte di Giovanni Paolo II, dei nove mila giornalisti che si sono occupati dell’evento e di tutte le persone del Vaticano che hanno preso le opportune decisioni. Tutti insieme hanno reso possibile questo miracolo.

Quali sono gli aspetti comunicativi che ritiene più interessanti del Papa Benedetto XVI?

Mora: Ne sottolineerei tre, che si riferiscono ai contenuti, alla sua visione e allo stile.

La prima caratteristica è la chiarezza del suo messaggio. Egli ragiona in modo cristallino, non ha timore di porsi tutte le domande del caso, alle quali trova risposte comprensibili.

Il secondo è la sua visione positiva. Come ha spiegato lui stesso qualche giorno fa ad alcuni giornalisti tedeschi, la Chiesa ha un messaggio interessante da proporre, che non si riduce ad un insieme di divieti. Comunicare il messaggio cristiano non significa condannare gli errori, ma presentare proposte in positivo.

E, da ultimo, il suo stile affabile e dolce. L’interlocutore del Papa sa sempre di essere da lui rispettato. Questi tre aspetti configurano un modo eccellente di comunicare.

Ha mai pensato di scriver
e le sue memorie su questi anni comunicativamente così intensi trascorsi a Roma?

Mora: In realtà non mi è mai venuto in mente di farlo. Forse perché alle memorie si pensa quando riguardano qualcosa che si è concluso ed io ho piuttosto la sensazione che stiamo assistendo, non alla fine, ma all’inizio di un nuovo modo di fare comunicazione nella Chiesa. Sono sempre di più le persone che sentono un grande amore per la Chiesa e che dispongono di una profonda conoscenza del mondo della comunicazione.

Professionisti che hanno capito che non vi è incompatibilità fra il messaggio religioso e l’eccellenza professionale, e che promuovono agenzie di stampa, produzioni cinematografiche o televisive, case editrici e ogni sorta di iniziativa.

Mi sembra di scorgere un nuovo stile, positivo e aperto. Se questa mia intuizione è vera, forse tra qualche anno sarà possibile avere un numero molto maggiore di ricordi interessanti.

In sostanza, qual è il messaggio dell’Opus Dei per il mondo?

Mora: Il messaggio più specifico è quello della santificazione del lavoro. La convinzione che il lavoro, oltre ad essere motore del progresso sociale e dello sviluppo della personalità, è anche luogo di maturazione spirituale. A condizione che si lavori con un senso cristiano, con rettitudine e spirito di servizio.

In sintesi, santificare il lavoro significa impregnarlo di carità. Questo è il nucleo centrale dell’insegnamento di San Josemaría, che i membri dell’Opus Dei cercano di vivere e di condividere, coscienti dei propri limiti e affidandosi all’aiuto di Dio.

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ZENIT Staff

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