Ad Assisi, il dialogo fra le religioni diventa ponte fra i popoli per la pace nel mondo

Si è aperto l’Incontro interreligioso e di preghiera promosso dalla Comunità di Sant’Egidio

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ASSISI, lunedì, 4 settembre 2006 (ZENIT.org).- Il compito dei leader religiosi è quello di gettare ponti fra i popoli e appianare le ostilità. E’ quanto è emerso ad Assisi nell’assemblea inaugurale dell’Incontro interreligioso che riunirà per due giorni circa 200 leader religiosi che rifletteranno sul tema “Per un mondo di pace – Religioni e culture in dialogo” .

A venti anni di distanza dalla Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace convocata da Giovanni Paolo II, la città umbra è tornata ad essere un centro di incontro interreligioso e di preghiera, grazie agli sforzi congiunti dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Conferenza Episcopale Umbra.

“Assisi è spazio di ospitalità – ha esordito il professore Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio –. Qui un cristiano eccezionale, perché evangelico, Francesco, fu uomo di pace, quando la guerra era di casa qua attorno, nel Mediterraneo, in Medio Oriente. Fu mite e uomo di preghiera, piccolo concepì un grande disegno di pace sfidando la guerra e la cultura della violenza, allora in auge”.

“Ad Assisi, vent’anni fa, nel 1986, Giovanni Paolo II invitò i leader religiosi del mondo a pregare per la pace nel ricordo di Francesco: ‘Mai come ora nella storia dell’umanità – disse – è divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace’”, ha poi continuato.

“Era una grande visione: evocare la dimensione spirituale irrinunciabile della pace, che tutti interroga e che nemmeno la potenza e la cultura della guerra fredda potevano soverchiare”, ha quindi sottolineato.

“Con quell’invito il Papa raccoglieva sogni e aspirazioni di tanti, dispersi nella storia del Novecento, spesso umiliati come illusioni tra guerre e passioni violente o nell’impotenza di fronte al male. Sono state le aspirazioni di spiriti grandi e forti, che non dovevano andare perdute”, ha aggiunto.

“Da quell’evento si sprigionavano energie per un nuovo linguaggio di pace. (…) Dopo vent’anni non ci sentiamo logorati. (…) Siamo convinti che la sapienza dell’incontro sia ancora di più necessaria oggi, quando questo nostro mondo sembra cercare l’ordine nella cultura del conflitto e nelle scelte che ispira”.

A questo proposito, nel prendere la parola il 4 settembre il Cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e del Pontificio Consiglio della Cultura, ha detto che le religioni “spesso accusate di fomentare l’odio e di causare violenza”, “ben lontano dall’essere un problema sono invece parte della soluzione auspicata per portare armonia e pace nella società”,

Le religioni, ha sottolineato, “lanciano un invito a pensare e uno stimolo a volere la pace, per lottare con coraggio contro le ideologie che rendono gli uomini nemici fra loro: il fanatismo rivoluzionario, l’odio di classe, l’orgoglio nazionalista, l’esclusivismo razziale, gli egoismi commerciali, gli individualismi di persone o gruppi gaudenti e indifferenti ai bisogni altrui”.

“Come un bambino fragile e minacciato – ha detto –, la pace richiede molto amore. (…) E’ necessario, dunque, unire l’intelligenza, il coraggio e la sensibilità di tutti per accrescere lo slancio di amore e di pace nel mondo. Bisogna ricostruire la fiducia reciproca. Che non si acquista per mezzo della forza e neppure si ottiene con belle dichiarazioni, ma bisogna meritarla con gesti e fatti concreti scaturiti dall’amore”.

Per il Cardinale Poupard sono tre le sfide che chiamano oggi in causa ogni credente: “Approfondire la propria tradizione religiosa, non in maniera selettiva, ma nella piena fedeltà alla propria tradizione religiosa”; “incontrare i fedeli di altre tradizioni religiose in uno spirito di reciproco rispetto, fiducia ed amicizia”; combattere insieme “per la promozione della dignità di ogni persona attraverso l’impegno nella giustizia”.

Nel suo intervento il Rabbino Capo Ashkenazita di Israele, Yona Metzger, ha richiamato un aneddoto contenuto nel libro dell’Esodo e riferito al profeta Mosè, ed ha detto che “in un tempo in cui il mondo soffre dolori e disagi a causa del terrore e della violenza, noi capi religiosi abbiamo l’obbligo di sentire e condividere il dolore e la sofferenza degli altri – e un grande capo religioso non sente solo il dolore del proprio popolo, ma anche quello di altri popoli”.

“Se è vero che ci sono estremisti nelle nostre comunità, il nostro vero messaggio è di fratellanza e di pace tra le religioni”, ha affermato.

“Mentre sono i politici ad avere il compito di risolvere i conflitti, noi come leader religiosi dobbiamo sforzarci di essere un ponte tra i popoli e di trasformare l’ostilità in amore”, ha proseguito il Rabbino.

A questo punto, dopo essersi scagliato contro chi offende la fede e le credenze religiosi altrui, Yona Metzger si è detto addolorato per “l’abuso della religione, a cui contribuiscono alcuni leader religiosi, utilizzando le prediche per incitare e causare ulteriori spargimenti di sangue”.

Successivamente ha rivolto un pensiero alla guerra che ha devastato numerose zone del Libano, affermando: “Compiango ogni vittima e persona ferita come anche le vedove e gli orfani. Piango per ogni malato ed ogni persona resa invalida, e particolarmente per chi è prigioniero a cui è impedito ogni contatto con la sua famiglia e la sua gente”.

“Da questo palco lancio un appello perché sia fatto tutto il possibile per ottenere il rilascio dei prigionieri. E, se non abbiamo successo in questo, per lo meno, come leader religiosi, facciamo tutto il nostro possibile affinché le loro famiglie abbiano informazioni sulle loro condizioni”, ha continuato.

“Faccio appello agli altri leader religiosi del Medio Oriente affinché facciano tutto il possibile perché ogni genitore possa essere informato sul destino dei suoi figli”, ha aggiunto.

“Amici, rinnovo la proposta di realizzare le Nazioni Unite delle Religioni, presso la quale ogni nazione dovrebbe avere i suoi rappresentanti. Anche i paesi che non hanno relazioni diplomatiche gli uni con gli altri si troverebbero seduti allo stesso tavolo, e verrebbero affrontati i problemi del mondo sulla base della comune accettazione dei Dieci Comandamenti, i quali naturalmente includono la proibizione dell’omicidio”; ha poi proposto.

Infine, il Patriarca della Chiesa ortodossa d’Etiopia Abune Paulos ha detto: “Sono venuto qui nel 1994 ed allora, come oggi, ho sentito quanta forza avesse la ‘forza debole’ dei credenti”.

“Questo è lo Spirito di Assisi, uno accanto all’altro e non più uno contro l’altro. Lo Spirito di Assisi è costruire ponti. È costruire una nuova civiltà, la civiltà del convivere, in pace, nel rispetto reciproco e con il dialogo”, ha infine concluso.

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ZENIT Staff

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