ROMA, lunedì, 20 febbraio 2006 (ZENIT.org).- “Deus caritas est”, la prima enciclica di Benedetto XVI, ha avuto un impatto senza precedenti nei diversi settori dell’opinione pubblica e in particolare nel dibattito filosofico. Per questo motivo, ZENIT ha intervistato il filosofo e sacerdote Jesús Villagrasa sulla natura di questa enciclica e su alcuni aspetti più filosofici, per facilitarne la lettura.
Padre Villagrasa sta terminando la stesura di un libro sulla vita e sul pensiero di Joseph Ratzinger, di cui ha presentato le linee generali in una conferenza svolta presso la sede dell’Università Europea di Roma.
Qual è stata la sua prima impressione nel leggere l’enciclica?
Padre Villagrasa: Gioia e meraviglia. Benedetto XVI ci ha fatto un grande regalo, un’opera maestra di chiarezza e di profondità, peraltro allo stesso tempo breve e concisa. È come il suo autore… e come il mare: chiaro e trasparente, ma in cui non si vede il fondo. Può essere letta senza difficoltà da qualsiasi persona di cultura media, mentre i filosofi e i teologi ne potranno scoprire la straordinaria ricchezza di pensiero.
Cosa ha scoperto in questa enciclica?
Padre Villagrasa: Che Joseph Ratzinger ha posto a servizio del Magistero la su formazione culturale, filosofica e teologica. Leggendo questa enciclica mi tornavano alla mente i suoi articoli, le sue conferenze e i suoi libri. Si tratta di una sintesi personale molto matura. Un tesoro di sapienza.
Potrebbe fare qualche esempio?
Padre Villagrasa: La prima parte è intitolata “L’unità dell’amore nella creazione e nella storia della salvezza”. Si tratta di un tema filosofico fondamentale. Ma è difficile applicare il metodo dell’analogia ai concetti che hanno una “unità debole ma reale”. L’amore è un concetto a cui si applica l’analogia perché viene espresso con significati diversi, i quali tuttavia hanno un rapporto tra loro. L’analogia esprime l’unità di un concetto il quale, ciò nonostante, conserva le sue reali differenziazioni. L’amore divino e le diverse forme dell’amore umano non sono uguali, ma neanche totalmente diversi. Esistono relazioni e somiglianze che la prima parte dell’enciclica cerca di illustrare.
Parlare di analogia e cercare di spiegarla non complica ulteriormente le cose?
Padre Villagrasa: Certamente. È per questo, a mio avviso, che il Santo Padre ha voluto evitare il linguaggio tecnico e si è limitato a spiegare che esiste un “problema di linguaggio” (n. 2). I fedeli non hanno bisogno di conoscere a fondo la teoria linguistica e metafisica dell’analogia. Tuttavia, il rigore e la chiarezza dell’enciclica sono frutto della consapevolezza che il Papa ha del problema e dell’uso dell’analogia per risolverlo. Benedetto XVI accoglie i diversi significati corretti dell’“amore” senza rompere l’unità del concetto e mostrando le relazioni tra i diversi tipi di amore. Distinguere per unire. Jean Guitton diceva che la distinzione è la chiarezza del pensiero.
Ma in un tema così importante come quello dell’amore cristiano le sembra opportuno soffermarsi su simili questioni filosofiche e linguistiche?
Padre Villagrasa: Credo che una delle preoccupazioni di fondo del Pontefice sia l’impoverimento del concetto dell’amore. Solitamente se ne danno visioni parziali: moralista o pietista, politica e attivista, sentimentale o volontarista. Capisco che la stampa metta in evidenza aspetti particolari, quelli che danno più nell’occhio. Tuttavia, la forza di questa enciclica sta nella sua unità: nel tener uniti, senza confonderli, sentimento, intelligenza e volontà; “eros” e “agape”; speculazione e pratica; spiritualità e politica; religione, filosofia e teologia; fede, liturgia e morale; Antico e Nuovo Testamento. Questa “e” che unisce le dimensioni è molto importante. Aver presentato l’unità delle diverse dimensioni e averlo fatto con tale chiarezza ed equilibrio è qualcosa di grandioso. Sarebbe un peccato che le letture dell’enciclica fossero parziali; contrapporre l’“enciclica sociale” all’“enciclica teologica” e cose di questo tipo.
Ci potrebbe mostrare più in particolare una di queste relazioni strutturali di fondo?
Padre Villagrasa: Prendiamo ad esempio la struttura religione-filosofia-teologia che è presente nella prima parte dell’enciclica in cui si spiega il concetto di amore alla luce prima delle religioni e poi della filosofia e della Bibbia. La filosofia ha aiutato a purificare gli elementi negativi presenti nelle religioni, ma non riesce a dare la risposta definitiva all’aspirazione umana all’amore. Solo il Verbo incarnato illumina il mistero dell’uomo e dell’amore umano.
Sulla base di questa struttura il grande teologo H. U. von Balthasar ha elaborato il suo pensiero. Nel suo libro “Epilogo” ha voluto offrire una visione generale della sua opera monumentale. Si è servito dell’immagine della cattedrale e delle sue tre parti. L’“atrio” è occupato dalle religioni e le visioni cosmologiche che esprimono la ricerca del senso della realtà e dell’esistenza umana; la “soglia”, costituita dalla filosofia, conduce al “santuario” della teologia dove si contemplano i misteri cristiani dell’Incarnazione e della Trinità. Mi sembra che la prima parte dell’enciclica sia strutturata in questo modo.
Non l’ha sorpresa il fatto che l’enciclica citi diversi filosofi?
Padre Villagrasa: In un certo senso sì, perché non è una cosa comune in questo tipo di documenti. Un esempio per tutti è la prima citazione dell’enciclica, quella di Friedrich Nietzsche: si tratta di una provocazione di questo filosofo, di un’insinuazione e di una denuncia di questo padre del nichilismo contemporaneo. Sin dall’inizio dell’enciclica, Benedetto XVI si colloca di fronte alle grandi sfide poste dalla cultura contemporanea.
È interessante vedere come l’ampia riflessione filosofica iniziale di questa enciclica rompa certi schemi: Wojtyla il Papa filosofo e Ratzinger il Papa teologo… Queste formule valgono per i titoli dei giornali ma non colgono la realtà. Già nella sua tesi di dottorato su Sant’Agostino, Ratzinger constatava che nei primi secoli la fede cristiana non si poneva in continuità con le religioni precedenti, ma con la filosofia, intesa come la vittoria della ragione sulla superstizione. La filosofia, a sua volta, è purificata ed elevata dalla fede.
Quali consigli darebbe al lettore dell’enciclica?
Padre Villagrasa: Se è un esperto, di approfondire il pensiero di Joseph Ratzinger per cogliere la ricchezza e l’originalità di questa enciclica; di non concentrarsi solo sul contenuto, su ciò che dice, ma anche sulla forma in cui è elaborata. È un esempio di applicazione del dialogo tra fede e ragione delineato nell’enciclica “Fides et Ratio” di Giovanni Paolo II. Vi sono anche apporti molto validi sul tema della laicità autentica. Questo ed altri temi, pensati a partire dal centro del cristianesimo che è l’incontro personale con Cristo, e la sua stessa chiarezza acquistano una luce particolare.
E al lettore comune?
Padre Villagrasa: Per la ricchezza dei testi biblici e fatta salva la teoria dell’analogia, raccomanderei l’applicazione dei passi della “lectio divina”: lettura, meditazione, preghiera, contemplazione e azione. La lettura iniziale decantata consente di captare, senza troppa difficoltà, l’intenzione del Santo Padre, le sue idee principali. Rimescolare queste verità nella meditazione, per approfondire il mistero dell’esistenza cristiana e le applicazioni che ne derivano, ravviva la convinzione che la carità cristiana è un dono di Dio che bisogna chiedere a Dio. In questa preghiera Dio può concedere la grazia di comprendere e contemplare qualcosa della sua grandezza e della sua bontà. Come ripete il Papa in questa enciclica:
da questa contemplazione scaturirà un autentico impegno di azione caritativa, che non è più un mandato esterno ma un’esigenza interna che deriva dall’amore stesso. Soprattutto raccomanderei di leggerla più volte integralmente.
Come definirebbe questa enciclica?
Padre Villagrasa: Rivoluzionaria. Benedetto XVI a Colonia ha parlato ai giovani di una rivoluzione. La rivoluzione di Dio è l’amore; solo una grande esplosione di bene può vincere il male e trasformare l’uomo e il mondo. Solo Dio e il suo amore trasformano il mondo. Ma questa rivoluzione divina passa attraverso la collaborazione umana e anche attraverso la collaborazione associata e istituzionale. Da qui l’importanza che le associazioni caritative abbiano le caratteristiche che il Papa indica nella seconda parte dell’enciclica. Se il cristiano vive l’amore, sarà in grado di incendiare con questo fuoco il mondo intero.