Associazione di medici e chirurghi propone la cura della salute come azione umanitaria per tutti

Intervista a Michele Masellis, direttore dello IAHM

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ROMA, martedì 14 febbraio 2006 (ZENIT.org).- Nel 1999 un gruppo di professionisti di varie discipline ha costituito a Palermo l’Associazione Internazionale per la Medicina Umanitaria (International Association for Humanitarian Medicine, IAHM), allo scopo di sostenere il diritto alla salute e alle cure mediche per tutti.

Per capire meglio il senso e la fattibilità della proposta, ZENIT ha intervistato il dottor Michele Masellis, chirurgo, direttore dello IAHM (www.iahm.org).

Che cos’è l’International Association for Humanitarian Medicine? Da dove è nata l’idea e per quali scopi?

Masellis: L’ IAHM è un’associazione costituita prevalentemente da operatori sanitari che pone alla base della propria attività la difesa del diritto alla salute intesa non più come un semplice atto di umana pietà, quanto come un “dovere di dare verso chi ha il diritto di chiedere”.

L’idea nasce nel 1999 da un gruppo di medici che, constatando il dilagare della sofferenza umana, per il moltiplicarsi dei conflitti, delle calamità naturali e del degrado delle condizioni di vita dei Paesi in via di sviluppo, ha voluto analizzare le ragioni per cui ad oggi, il “diritto alla salute”, ovunque acclamato, ovunque riconosciuto ed ovunque richiesto, non ottiene tutta l’attenzione che merita risultando ancora precario in termini di promozione, diffusione e tutela.

L’IAHM ritiene fondamentale per ogni attività umanitaria nei PVS la “tutela” del diritto alla salute, intesa come garanzia all’assistenza, salvaguardia della dignità umana, scudo alla speculazione sulla sofferenza altrui.

Come può essere garantita l’assistenza sanitaria, soprattutto dove mancano strutture e personale medico?

Masellis: Con l’individuazione di nuovi criteri di cooperazione diretta con le autorità costituite dei singoli Paesi, con le organizzazioni non governative riconosciute e con gli organismi e le organizzazioni internazionali specializzate nel settore dell’azione umanitaria, pur nel rispetto della indipendenza ed imparzialità. Ne consegue che ogni intervento sanitario da parte di organizzazioni di volontariato deve essere preceduto da specifiche richieste di cooperazione perché il loro supporto garantisca, sul territorio, atti medici più efficaci, cure post-operatorie e controlli più rigorosi, serietà nella formazione del personale di assistenza ed adeguamento alle strutture sanitarie esistenti.

In caso di gravi emergenze, deve essere evitato che gli aiuti costituiscano un mero episodio di soccorso, un momento di prestigio politico dei Paesi donatori, e non un punto di partenza essenziale per uno sviluppo a lungo termine dei Paesi riceventi. Devono essere analizzate e superate tra i Paesi donatori e riceventi le norme che impediscono il libero accesso ai pazienti nelle strutture di alta specialità e il libero transito dell’aiuto sanitario.

L’evoluzione del principio di globalizzazione ha consentito nei Paesi emergenti una continua crescita culturale con il formarsi di una classe medica più specializzata ed un accresciuto rispetto della persona. Le Organizzazioni Umanitarie Intergovernative e quelle Non Governative, operanti in questi Paesi, devono agire in responsabile e stretta collaborazione con le strutture sanitarie e le équipes mediche locali. Devono ricevere da queste informazioni adeguate sull’esistenza di forme di patologia anomale e rare, indicazioni e pareri su quale tipo di intervento è possibile praticare in loco e fare da tramite con le équipes sanitarie volontarie o con le strutture ospedaliere avanzate dei Paesi più industrializzati ove poter trasferire i pazienti.

Risultano, in tal modo, garantite un’adeguata e controllata selezione dei pazienti, l’impegno nella formazione del personale locale di assistenza, un più proficuo scambio di conoscenze tecnico-scientifiche, che assicurino trattamenti post-operatori ai pazienti trattati in loco, ed a quelli che rientrano in patria dopo le cure in centri specializzati. La figura del medico straniero, spesso guardato come dominatore e colonizzatore, deve essere sostituita da quella di chi collabora, aiuta, consiglia e partecipa nelle stesse condizioni di lavoro. Si attenueranno, così, conflitti con i medici locali, causati da gelosie e da violazione di interessi ed infine, e non è problema meno importante, si ridurranno i sospetti di speculazioni nella gestione dei pazienti da parte di organizzazioni locali illegali, che non disdegnano di “vendere” le cure dei pazienti, agendo al di fuori del controllo delle Autorità costituite.

Lei è un chirurgo e medico cristiano. Che cosa pensa del dolore? E quali sono i compiti dei medici nel combattere malattie e sofferenze?

Masellis: Il dolore, in genere, è inteso come espressione di un disagio fisico che in modo più o meno intenso affligge l’uomo. Chi soffre fisicamente soffre anche psichicamente e mostra ciò con prostrazione, sfiducia, sconforto e paura di morire: aver paura è umano. Gesù, uomo sulla croce, chiese aiuto al Padre sentendosi solo mentre era attanagliato dalle tremende sofferenze fisiche.

Il medico guarda al dolore sia come un sintomo che esprime l’evolvere di una patologia sia come una manifestazione di devastazione della funzione di un organo od apparato. Il trattamento del dolore é obbligo inderogabile del medico che nell’attuare una terapia deve rispettarlo nel suo duplice significato di sintomo o di danno, ciò specie nelle cosiddette patologie terminali.

Come medici non possiamo non tenere presente i canoni tramandati dal giuramento di Ippocrate che, per decenni, sono stati un’ampia testimonianza dell’azione medica in senso umanitario, laddove, fissando i doveri di quanti esercitano l’arte medica, stabiliscono: “…regolerò il regime dei malati a loro vantaggio, secondo le mie capacità ed il mio giudizio e mi asterrò da ogni mala azione e da ogni ingiustizia…” e sottolineano i fondamentali principi della solidarietà e della dedizione per chi soffre.

Anche l’attuale deontologia, che si è progressivamente arricchita di contenuti e di imperativi, connaturati alla crescente dimensione etico-sociale della medicina, prevede nell’atto di fede alla professione: “… giuro di curare tutti i miei pazienti con uguale scrupolo ed impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica…”. Il giuramento del medico, quindi, riflette i fondamenti di un’etica medica sempre fondata sulla umana solidarietà, quale base dell’impegno assistenziale.

Cosa dire del dolore psicologico che molte volte non viene esternato e che trova origine in episodi gravemente traumatizzanti quali la morte di un genitore, di un figlio, del coniuge o una mutilazione del proprio corpo?

Masellis: Il dolore psicologico, caratterizzato da angoscia e disperazione, non può trovare soluzione con la sola terapia medica. Esso richiede una notevole forza d’animo iniziale, necessaria per superare la fase acuta, fino a quando quel grande dono della rassegnazione non comincia a dare i suoi effetti. La fede in tali casi può essere una efficace terapia. Fortunato chi possiede e sa usare tale farmaco!

Le attuali conoscenze mediche, anche se relative, sono le più alte mai raggiunte nella storia dell’umanità, eppure settori importanti del mondo medico e legislativo sembrano più preoccupati di regolamentare aborto e eutanasia piuttosto che di sostenere la vita. Qual è il suo parere in proposito?

Masellis: Per una persona che ha scelto di dedicare buona parte della sua vita alla cura degli altri e alla tutela del diritto alla salute di quanti sono afflitti da sofferenza e stenti, perché vivono in Paesi sottosviluppati, e che sostiene il princip
io del diritto alla salute quale “diritto di chiedere, dovere di dare”, la vita è un bene supremo, intangibile, inviolabile.

Sarà possibile estendere a tutto il pianeta l’azione che l’IAHM propone?

Masellis: L’IAHM vuole con la propria attività divulgare un nuovo modo di aiutare le popolazioni che soffrono seguendo i principi riportati nella definizione di medicina umanitaria che essa ha formulato: “Sebbene ogni intervento medico per alleviare la malattia e la sofferenza di una persona è essenzialmente umanitario, la medicina umanitaria va oltre il consueto atto terapeutico e promuove, fornisce, insegna, supporta ed assicura la salute dei popoli come diritto umano in conformità con l’etica dell’insegnamento ippocratico, i principi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, le Convenzioni della Croce Rossa e altri accordi e pratiche che assicurano il livello di cura più umanitario e migliore possibile, senza discriminazione o considerazione di guadagno materiale”.

Ciò consente quella forma di “tutela” del diritto alla salute fatta di garanzia all’assistenza, salvaguardia della dignità umana, scudo alla speculazione sulla sofferenza altrui.

Gli strumenti per sviluppare l’attività vanno individuati in una serie di passaggi operativi che includono contatti con le autorità e le organizzazioni professionali dei Paesi industrializzati, perché siano create, presso i maggiori Ospedali, sezioni specialistiche, dedicate al ricovero ed al trattamento medico, chirurgico e riabilitativo, gratuito, dei pazienti provenienti dai Paesi in via di sviluppo; collegamenti e rapporti di collaborazione con le altre organizzazioni di assistenza umanitaria, che operano nel mondo e particolarmente nei Paesi emergenti, perché segnalino alle autorità competenti i casi medici e chirurgici complessi di pazienti bisognosi di assistenza specialistica, non in grado di essere risolti nei rispettivi Paesi e da questi siano autorizzati e seguiti nel trasferimento presso ospedali, dotati di sezioni per la medicina umanitaria; la realizzazione di una rete di sezioni specialistiche che costituirebbero, in tal modo, la dotazione di posti letto di un virtuale OSPEDALE APERTO DEL MONDO – WORLD OPEN HOSPITAL (WOH); l’offerta a medici, infermieri, tecnici del settore sanitario degli strumenti necessari per frequentare Corsi di Formazione professionale, presso strutture universitarie ed ospedaliere dei paesi industrializzati; costituzione di team specialistici che, su richiesta di ospedali o strutture sanitarie dei Paesi emergenti o in via di sviluppo, siano in grado di recarsi in loco per prestare assistenza medica e chirurgica o per svolgere corsi di formazione tecnico-professionale, per assicurare il benessere di quanti necessitano di assistenza sanitaria.

L’IAHM vuole farsi garante di una gestione chiara e trasparente dell’assistenza ai più deboli, cooperando con le organizzazioni umanitarie nazionali ed internazionali giuridicamente riconosciute, coinvolgendo le autorità costituite dei Paesi che chiedono aiuto e le autorità pubbliche, le forze economiche, la classe medica dei Paesi avanzati, quali forze primarie essenziali per concretizzare il principio universale del diritto alla salute per tutti.

L’ambizioso obiettivo finale della sua azione è quello di sentirsi dire, un giorno non lontano, da chi ha ricevuto un aiuto: grazie per quello che avete fatto, ora non abbiamo più bisogno di voi!

Anche per attuare un programma come quello dell’IAHM a favore dei malati più sfortunati del mondo esiste un farmaco fondamentale: la fede profonda in ciò in cui si crede.

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ZENIT Staff

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