MANCHESTER, sabato 4 gennaio 2006 (ZENIT.org).- I genitori inglesi non hanno alcun diritto di sapere se i propri figli hanno intenzione di abortire. Questo è quanto ha deciso la Corte suprema della Gran Bretagna il 23 gennaio a conclusione di una causa relativa ad una casalinga di Manchester.
Sue Axon, 52 anni, ha tentato di rovesciare la legge che consente alle ragazze minori di 16 anni di ricevere consulenza sull’aborto. L’azione legale – ha sottolineato – non era dovuta ad esigenze concrete relative alle proprie figlie adolescenti, ha affermato il quotidiano Observer il 6 novembre. Piuttosto era motivata sulla base di un aborto che la stessa Axon aveva subito vent’anni prima e di cui si è “amaramente pentita”, e di un senso di rabbia nell’apprendere di casi di adolescenti che hanno abortito all’insaputa dei genitori.
Nel corso del procedimento, la Axon ha spiegato che “la vita familiare dipende dai rapporti di fiducia, di apertura, rispetto e trasparenza tra i componenti della famiglia – non può basarsi sul segreto o sulle eventuali bugie dei figli relative alle proprie azioni”, ha riportato la BBC il 9 novembre.
L’Alta Corte non ha accolto le sue argomentazioni. Secondo il giudice Stephen Silber, nessun genitore ha il diritto di sapere se la propria figlia sta tentando di abortire, secondo quanto affermato dalla BBC il 23 gennaio.
Axon ha commentato dopo la sentenza che “avendo vissuto il trauma dell’aborto, ho voluto sollevare il caso per evitare che i professionisti sanitari non operassero un aborto su una delle mie figlie senza prima informarmi. In questo modo avrei la possibilità di discutere con lei di un evento così radicale nella vita di una donna e di darle tutto il sostegno di cui avrebbe bisogno”.
Immediatamente sono sorte critiche contro la sentenza. Julia Millington della ProLife Alliance ha rimarcato che, senza il consenso dei genitori, ai giovani studenti non può essere somministrato neanche un antidolorifico. Inoltre, ai minori di 16 anni non è consentito di comprare le sigarette, gli alcolici o i fuochi d’artificio. Il consenso dei genitori è necessario inoltre se i figli vogliono farsi il buco all’orecchio per mettere l’orecchino.
“Ciò nonostante, una ragazza è legittimata a prendere da sola la decisione di porre fine alla vita di un altro essere umano, senza che i genitori sappiano nulla”, ha osservato Millington. “La contraddizione è sconcertante”.
In un comunicato stampa reso noto lo stesso giorno della decisione della Corte, il segretario generale della Società per la tutela dei bambini non nati, Paul Tully, ha evidenziato le conseguenze negative derivanti dall’aborto. “L’aborto, l’uccisione di un bambino non nato, può comportare effetti duraturi di carattere psichico, sociale e psicologico sulle giovani donne che abortiscono”, ha affermato.
Un caso negli USA
Un caso simile è avvenuto negli Stati Uniti qualche settimana fa, quando la Corte Suprema ha emesso una decisione relativa ad una legge del New Hamapshire. I giudici, in un raro caso di decisione unanime, hanno decretato che i tribunali inferiori non avrebbero dovuto disapplicare l’intera legge che richiede agli adolescenti di dare notizia ai genitori prima di abortire, secondo il Washington Post del 19 gennaio.
La questione ora ritorna al tribunale inferiore, con l’ordine di risolvere la questione mantenendo il requisito della notificazione ai genitori, ma con una “tutela” in caso di emergenza. La legge del 2003 contiene in effetti una eccezione nel caso in cui la vita della giovane incinta sia in pericolo. Ma questo non copre il caso di altre emergenze sanitarie.
La decisione della Corte Suprema non è entrata nel merito della legge, ma ha comunque affermato che le leggi che prevedono la notifica ai genitori sono costituzionalmente legittime. Secondo il Washington Post, tutti gli Stati salvo sei hanno una qualche forma di norma che richiede ai minori di coinvolgere almeno un genitore o tutore nella decisione di abortire, generalmente con qualche eccezione – sottoposa alla decisione del giudice – in caso di violenza o circostanze particolari.
Deirdre McQuade, responsabile della programmazione e dell’informazione del Segretariato pro-vita della Conferenza episcopale USA, ha lamentato che la Corte Suprema non abbia affrontato la questione più sostanziale della legge del New Hampshire. Con riferimento ad una sentenza connessa alla Roe contro Wade che ha legalizzato l’aborto negli Stati Uniti, McQuade ha affermato che “ci ritroviamo con alcune domande rimaste senza risposta, soprattutto riguardo alle eccezioni per motivi di salute, introdotte 33 anni fa con la sentenza Doe contro Bolton”.
Susan Wills, direttrice associata per l’educazione, dell’ufficio pro-vita della Conferenza episcopale USA, si è espressa duramente contro la decisione del 23 gennaio, in un articolo scritto per il National Review Online.
Wills ha criticato ciò che ritiene un argine eccessivo posto dai tribunali sulle leggi che prevedono la notifica ai genitori, in nome dell’esigenza di tutelare la salute dell’adolescente. Infatti, ha osservato, la legge del New Hampshire è stata approvata per assicurare, tra l’altro, la presenza di un familiare adulto, perché possa intervenire in caso di complicazioni e assicurare un sostegno emotivo.
“Se la salute di una minore incinta fosse veramente a rischio, non sarebbe questo un motivo ancor più pressante per rendere il tutto subito noto ai genitori, anziché effettuare un intervento chirurgico a loro insaputa?”, ha chiesto Wills.
È più facile che i problemi legati alla salute – ha proseguito Wills – possano aggravarsi proprio in seguito ad un aborto, piuttosto che a causa di qualche tempo in più per coinvolgere i genitori. Citando gli esperti del settore, ha osservato che le complicazioni connesse con l’aborto possono portare a problemi di infertilità. “Anche la normativa più leggera”, ha concluso, “può essere dichiarata incostituzionale sulla base delle obiezioni più impensabili”.
Il ruolo dei genitori
Poco prima dell’emissione della decisione della Corte statunitense, alcuni commentatori hanno espresso con forza la necessità che i genitori siano coinvolti in ogni decisione relativa ad un eventuale aborto da parte delle proprie figlie. John Kass, editorialista del Chicago Tribune, ha osservato il 30 novembre che la questione è di importanza vitale per tutte le famiglie.
Il peso di dover decidere in merito a una cosa così grave come l’aborto non può essere lasciato nelle sole mani della ragazza, ha commentato Kass. E le bambine che hanno paura di deludere i propri genitori per il fatto della loro gravidanza farebbero meglio ad avere maggiore fiducia nel loro amore, ha affermato.
Dani Caravelli, scrivendo sul quotidiano Scotland on Sunday dello scorso 13 novembre, ha osservato che i genitori vengono spogliati del diritto di dare consigli e sostegno ai figli nell’ambito della sfera sessuale. I genitori possono persino essere sanzionati se i figli saltano la scuola, ma vengono invece tenuti all’oscuro se questi vogliono abortire, ha rimarcato.
In effetti, un punto importante della politica del Governo Blair nell’ambito della salute sessuale è stato quello della “confidentiality” finalizzata ad aumentare la fiducia nel ricevere le pertinenti informazioni . Eppure, allo stesso tempo, il Governo insiste sulla volontà di tenere i genitori all’oscuro e, nonostante i milioni spesi sulle campagne per la salute sessuale, le gravidanze tra le adolescenti sono aumentate. “Il fatto più eloquente è che l’aumento delle gravidanze è stato maggiore proprio nelle regioni del Paese in cui il Governo si è impegnato di più”, ha osservato Caravelli.
I genitori non sono perfetti – ha ammesso – ma neanche lo sono i profes
sionisti del settore sanitario, che non conoscono i pazienti e possono essere influenzati dall’entusiasmo del Governo verso l’aborto come soluzione per qualsiasi gravidanza “non programmata”.
Un altro inconveniente deriva da quanto i tribunali ripongono fiducia nelle capacità degli adolescenti. In un commento pubblicato lo scorso 13 marzo sul Boston Globe, Christopher Shea ha osservato che nella recente sentenza sul caso Roper contro Simmons, la Corte Suprema ha decretato che è “crudele e anomalo” condannare a morte qualsiasi persona al di sotto dei 18 anni.
Nell’esporre le proprie ragioni di fronte alla Corte, la American Psychological Association ha affermato che “l’impulsività, la sensibilità alla pressione dei coetanei, e persino lo sviluppo fisico del cervello non ancora completo, attenuano la colpevolezza degli adolescenti rispetto a quella degli adulti”, ha scritto Shea.
Eppure, in una causa del 1990, relativa al consenso dei genitori per l’aborto, la stessa Associazione ha difeso la capacità mentale dei minori di decidere per proprio conto le complesse questioni attinenti all’aborto. Sembra che l’esigenza di difendere l’aborto consenta di soprassedere ai normali livelli di salute e di assistenza garantiti ai minori.