Come la “reale presenza” è diventata reale per un convertito

Mark Shea sul suo progressivo cammino di fede nell’Eucaristia

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SEATTLE, lunedì, 18 ottobre 2004 (ZENIT.org).- Dopo anni di agnosticismo, Mark Shea si è convertito prima al cristianesimo evangelico e poi al cattolicesimo, attraverso un progressivo cammino di fede nella reale presenza di Cristo nell’Eucaristia.

Adesso Shea lavora da tempo come redattore per “Catholic Exchange”, relatore per “Catholic Answers” e come autore di molti libri, tra cui “This Is My Body: An Evangelical Discovers the Real Presence” (ed. Christendom Press).

Mark Shea ha condiviso con ZENIT la sua convinzione su come la presenza del Signore nell’Eucaristia mantiene la fede incarnata e impedisce che essa diventi un mero concetto o semplicemente un pranzo in famiglia.

Come è giunto, dopo essere stato evangelico, al convincimento della “reale presenza” nell’Eucaristia?

Shea: Il passato dal quale mi sono convertito era di una totale assenza di fede religiosa. Da quando ho iniziato a credere ho sentito che il mio dovere era di imparare dalle persone che Dio mi aveva posto accanto.

Ma il gruppo evangelico al quale sono approdato dopo essermi convertito non celebrava alcun sacramento, neanche il battesimo o l’avvenimento dell’Ultima Cena. Erano carismatici dal sapore indefinibile e avevano assunto una sorta di iper-spirutalismo in cui si tendeva ad enfatizzare il lato spirituale – leggi “disincarnato” – dell’ambito umano e liturgico, a discapito di quello fisico.

L’idea che mi è stata insegnata nella mia condizione di neo convertito era che “il vero battesimo è il battesimo nello Spirito Santo; la vera comunione è quando il Cristo in me comunica con il Cristo negli altri”, ecc. Riti concreti quali la Comunione erano considerati come parte della lettera morta, piuttosto che dello Spirito Vivo. La liturgia era vista come ripetizione mnemonica di preghiere insignificanti.

La vera preghiera era sempre e solamente quella spontanea, non strutturata e imprevedibile, in quanto lo Spirito va dove vuole lui. E, naturalmente e principalmente, la nozione di “reale presenza” era considerata come il classico elemento di magia medievale, che si era insinuato nella Chiesa del Medio Evo.

Il nostro testo fondamentale sulla Comunione, le rare volte che l’argomento emergeva, era Giovanni 6:63: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita”. Sulla base di questo ritenevamo ovvio che la vera Comunione era quella con lo Spirito Santo e che la Comunione fisica era carnale e non necessaria.

Tutto ciò avrebbe potuto essere di qualche utilità per coloro che nelle epoche passate sono stati spiritualmente deboli. Ma adesso Dio stava operando in un modo nuovo sulla terra e coloro che si trovavano in sintonia con il suo Spirito non avevano più bisogno di tali sostegni audiovisivi.

Le mie perplessità su questa visione dell’Eucaristia crescevano, seppure contro voglia. Pensavo, e lo penso ancora, di avere con questi miei primi fratelli in Cristo un debito di gratitudine che non sarò mai in grado di ripagare. Sono stati loro che per primi mi hanno mostrato l’amore di Cristo, che mi hanno insegnato a pregare e a leggere la Bibbia. Loro mi hanno mostrato, ad esempio, come vivere da discepolo fedele.

Ma anche altri problemi iniziavano ad accumularsi, in modo più o meno casuale, tali da costarmi molto tempo nel rimetterli in ordine.

Se l’aspetto fisico non è importante, perché il Verbo si fece carne? Se siamo salvati dal sangue che Gesù Cristo ha versato, perché è così sciocca l’idea di ricevere questo sangue – e non solo un suo simbolo – nella Comunione? Se ogni forma rituale è da disprezzare, perché allora esercitiamo il rituale quotidiano dello studio della Bibbia?

Se i cattolici stanno “ri-sacrificando Gesù”, allora perché la Chiesa cattolica ha condannato l’idea che si possa ri-sacrificare Gesù? Se ci si può appropriare verbalmente del sacrificio di Gesù – chiedendo nel tuo cuore a Gesù come tuo personale Signore e Salvatore e “invocando il sangue di Cristo” – perché i cattolici non possono farlo in modo sacramentale? Se è solo un simbolo, allora perché nessuno lo ha affermato per i primi mille anni della storia della Chiesa?

Queste e molte altre questioni mi indussero a prendere in esame l’insegnamento cattolico, che avevo sempre considerato come un cumulo di beghe che si erano incrostate sull’involucro, un tempo incontaminato, della Bibbia.

Ho scoperto, a mia sorpresa, che l’insegnamento cattolico era invece semplicemente la pianta di senape cresciuta e che l’insegnamento biblico era la senape ancora allo stadio di seme.

In una parola, riesaminando le diverse critiche protestanti alla dottrina della “reale presenza” sono giunto alla conclusione che queste fossero meno bibliche rispetto al semplice intendimento della Chiesa delle parole “questo è il mio Corpo”.

Qual è l’aspetto meno compreso del Santo Sacramento, per i laici e per i non cattolici?

Shea: Non sono un esperto di tali questioni, ma se un’indagine occasionale e la mia esperienza come non cattolico – un’esperienza piuttosto tipica – possono essere di qualche indicazione, penso che è proprio la “reale presenza” ad essere meno capita.

Ai non cattolici questo dovrebbe essere spiegato con pazienza e non in modo petulante. Dopo tutto la dottrina può apparire a prima vista come un perfetto esempio di strana superstizione. L’idea di un Dio che si incarna perché i fedeli possano mangiarlo e ottenere così le sue virtù sembra come una qualche credenza selvaggia pre-abramica agli occhi di molte persone sia cristiane che non cristiane.

Tuttavia, C.S. Lewis ha descritto in modo calzante il Cristianesimo come una strana miscela di religione “densa” e “leggera”. La religione leggera è come un consommé: consiste di etica, massime, ragione, detti saggi e istanze moderne. L’Unitarismo è un esempio di religione leggera.

Una religione densa è piena di riti misteriosi, sangue, sacrificio, mistero e terrore. Ai suoi adepti viene comandato di fare cose di cui non si capisce bene il senso, ma a cui si sa bene che è essenziale obbedire. Il Giudaismo dell’Antico Testamento aveva molti elementi densi, come li avevano anche molti culti pagani.

La fede cattolica combina elementi religiosi leggeri e densi. Siamo legati da un codice etico illuminato, ma siamo anche obbligati a partecipare ad un rituale sanguinario. Molte persone moderne semplicemente retrocedono con disgusto di fronte a questo e tentano di denaturarlo a mero simbolo.

Anche molti cattolici vorrebbero scappare da questa apparente barbarica connessione con il sangue e il sacrificio e trasformare l’Eucaristia a non più di un pranzo in famiglia in cui lo scopo principale per i membri della comitiva è quello di affermare reciprocamente di essere nel giusto. Una cosa molto da religione leggera.

Ma Gesù non ce lo permette. Proprio nel bel mezzo di quel comodo scambio di complimenti egli continua a riversarci addosso le parole “Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue”.

Il tanfo del Sacrificio – e l’incredibile mistero della Resurrezione – continua ad impedirci di dimenticare cosa i nostri peccati gli sono costati e cosa lui ha meritato per noi. Egli non permetterà alla fede di ridursi a mero concetto ed insisterà a mantenerla come cosa incarnata.

Cosa ci dice sul rispetto del Santo Sacramento la polemica sulla possibilità per i politici pro-aborto di ricevere la Comunione?

Shea: Penso che questa questione rifletta piuttosto chiaramente la confusione esistente all’interno della Chiesa sulla “reale presenza” nell’Eucaristia.

Se la Comunione è semplicemente e solamente il pranzo in famiglia nel quale tutti affermiamo i legami dello stare insieme in questo meraviglioso simbolo della condivisione e
dell’amore, allora naturalmente se si crede in questo si riterrà scortese respingere qualcuno dalla mensa a causa della politica.

Ma se il pasto è proprio il corpo e il sangue di Gesù Cristo, presente sacramentalmente come sacrificio per il peccato, allora viene revocata in dubbio anche la nostra qualità di discepoli di Dio.

Improvvisamente diventa chiaro il severo ammonimento di Paolo secondo cui chi mangia e beve indegnamente è colpevole del corpo e del sangue del Signore. Diventa un problema concreto quello della compatibilità della richiesta di vita per se stessi, mentre allo stesso tempo si lavora attivamente per negare vita ad altri.

Diventa quindi vieppiù essenziale educare le persone su cosa sia l’Eucaristia, se vogliamo che queste abbiano le idee chiare su cosa significhi l’Eucaristia e su come l’Eucaristia debba essere rispettata vivendo una vita da vero discepolo e non come un mero e tiepido stare insieme.

In che modo gli scritti e il pontificato di Giovanni Paolo II hanno contribuito ad accrescere la comprensione e l’amore per l’Eucaristia?

Shea: Credo che, più di ogni altra cosa, il Santo Padre ha contribuito alla mia comprensione e al mio amore per l’Eucaristia, vivendola e paradossalmente morendo insieme ad essa.

Molta gente si è chiesta perché non si dimetta per passare il testimone del papato a qualcun altro, visto il suo stato di salute. Ma egli ci sta dimostrando, come sacrificio vivente, cosa significa darsi totalmente.

Egli ci sta dimostrando che siamo esseri umani, non azioni umane, e che il valore di una persona non è diminuito dalla debolezza del proprio corpo.

In questo vedo proprio quella peculiare qualità nascosta dell’Eucaristia, per la quale Gesù si cela dietro un apparentemente insignificante mero pezzo di pane e un sorso di vino prodotto da qualche varietà di vite – ma proprio lì sta la gloria centrale e il mistero dell’universo.

Qual è il significato della scelta del Santo Padre di quest’anno come anno dell’Eucaristia?

Shea: Per me il significato sta nel forte contrasto rispetto al modo in cui il mondo sta vivendo il momento attuale. Tutti stanno affermando ad alta voce che la soluzione della vita passa attraverso il potere e il conflitto: il conflitto di classe, di razza, di genere, il conflitto religioso. L’obiettivo è pienamente darwiniano: la sopravvivenza del più forte.

Nell’Eucaristia ci viene mostrato lo schema di una vita di un altro mondo. Un mondo in cui l’amore e l’umiltà, e non il potere e il dominio, saranno alla fine premiati dal nostro Dio.

Quali sono le sue speranze per la crescita della Chiesa nella conoscenza e devozione dell’Eucaristia quest’anno?

Shea: Mi auguro che Dio continui a fare per noi tutto quello che ha fatto per me: rivelare il suo impressionante e meraviglioso atto di amore nel Sacrificio della Messa.

Il paradosso della “reale presenza” è naturalmente quel paradosso rivelato da Gesù: cerca prima il suo regno e tutto il resto ti verrà dato in aggiunta.

L’Eucaristia è senza dubbio un pranzo in famiglia attorno a un tavolo. Quando siamo battezzati diventiamo parte della famiglia di Dio. Ma se tentiamo di ridurre l’Eucaristia ad un mero simbolo o a un mero momento conviviale, non otterremo nulla in prospettiva.

Tuttavia se consentiamo all’Eucaristia di essere ciò che in effetti è – il corpo, sangue, anima e divinità di Gesù il Cristo – e viviamo le nostre vite da discepoli nel pieno significato e nelle grandi implicazioni di questo fatto, ci troveremo membri della famiglia senza neanche essercene resi conto.

Prego e spero che quest’anno Dio farà crescere la sua famiglia nell’amore e nella gratitudine per l’immensità del sacrificio che è “realmente presente” nell’Eucaristia.

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ZENIT Staff

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