Rolando Rivi è beato, lo si ricorderà il 29 maggio

In un clima di grande commozione, davanti a oltre 5mila persone, il cardinale Angelo Amato ha spiegato che il martirio del giovane seminarista “è una lezione di esistenza evangelica”

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

In tantissimi, da ogni parte d’Italia, non sono voluti mancare a una cerimonia dal sapore storico. E così, sabato pomeriggio, oltre 5mila fedeli hanno invaso il Palazzo dello Sport di Modena, per assistere alla cerimonia di beatificazione del Venerabile Servo di Dio Rolando Rivi, ucciso da partigiani comunisti nel 1945. Era dal 27 marzo scorso, data in cui Papa Francesco ha riconosciuto il martirio del seminarista quattordicenne, che si attendeva l’evento.

In questo luogo, abituale sede di gare di pallavolo, si è respirata un’aria di festa quanto mai contagiosa. Già un’ora prima dell’inizio, il Palazzetto appariva esaurito in ogni ordine di posto. Migliaia di fazzoletti rossi con la celebre frase “io sono di Gesù”, pronunciata con fierezza dal giovane martire, venivano fatti sventolare animatamente. I più attivi erano i bambini (un’intera tribuna di circa 300 posti è stata riservata ai chierichetti), interpreti di quella sana vivacità e di quell’innocenza infantile che contraddistinguevano anche Rolando Rivi.

Caratteristiche che soltanto un’ideologia iniettata di odio poteva ripudiare in modo così violento. Tuttavia, «all’odio dei suoi carnefici – come ha ricordato durante l’omelia il Cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che ha presieduto il rito – Rolando Rivi rispose con la mitezza dei martiri, che inermi offrono la vita perdonando e pregando per i loro persecutori». Per questo, il suo martirio è «una lezione di esistenza evangelica». Oltre ad essere «la vittoria della sua vita sulla morte, del bene sul male, della carità sull’odio».

Sono note di vittorie, infatti, quelle che hanno accompagnato l’ingresso dei presbiteri. Quelle del solenne Christus Vincit, introduzione musicale che ha riscaldato i cuori dei presenti, preparandoli al momento più emozionante: lo scoprimento dell’enorme palio con il candido volto del martire. La devozione dei fedeli, a quel punto, è risuonata in un lungo, intenso applauso. Un applauso cui ha partecipato, con un particolare sentimento di commozione, Sergio Rivi, cugino di Rolando. Per lui, questo evento ha costituito una sorta di liberazione da decenni di oblio e invereconde calunnie che hanno macchiato la memoria del giovane beato. Un’incrostazione delle atrocità della guerra che per troppo tempo ha contaminato una parte di Italia. E che sabato, finalmente, è stata idealmente schiacciata dai passi che Sergio Rivi ha mosso per portare all’altare l’urna con la reliquia di suo cugino, una ciocca di capelli intrisa del sangue del suo martirio.

Celebrare il martirio del piccolo Rolando, ha detto del resto il cardinale Amato, è anche un’occasione per «gridare forte: mai più odio fratricida». Le ideologie umane, ha proseguito, «crollano, ma il Vangelo dell’amore non tramonta mai perché è una buona notizia».

Il cardinale Amato – che aveva accanto l’arcivescovo di Modena, mons. Antonio Lanfranchi, e il vescovo di Reggio Emilia, mons. Massimo Camisasca – ha poi rievocato la vita da seminarista di Rolando Rivi, iniziata all’età di 11 anni. Rivi non ha mai rinunciato ad indossare la veste talare, che «diventò la sua divisa». «Era il suo tesoro da custodire gelosamente – ha aggiunto il porporato -, era il distintivo della sua scelta di vita, che tutti potevano vedere e capire». Un distintivo che Rolando onorò, con eccezionale coraggio, in mezzo al clima di odio anticlericale che si respirava in quelle terre a causa della nutrita presenza di partigiani comunisti.

Quegli stessi partigiani che il 10 aprile 1945, «imbottiti di odio e indottrinati a combattere il cristianesimo», catturarono Rolando. Condotto in un bosco di Piane di Monchio, venne dunque «spogliato, insultato e seviziato con percosse e cinghiate per ottenere l’ammissione di una improbabile attività spionistica». Dopo tre giorni di sequestro, il 13 aprile 1945, «il ragazzo fu prima barbaramente mutilato e poi assassinato con due colpi di pistola, uno alla tempia sinistra e l’altro al cuore». Gli autori dello scempio sono stati definiti dal cardinale Amato delle «iene», giacché non si sono fermati «nemmeno dinnanzi a un adolescente, annientando la sua vita e i suoi sogni». Ma soprattutto, ha proseguito Amato, «macchiando la loro umanità e il loro cosiddetto patriottismo». Ha osservato il cardinale che la memoria di quei carnefici «si è persa nelle nebbie del nulla, oppure, speriamo, nelle lacrime del pentimento».

Il cardinale Amato ha inoltre ricordato che quel 13 aprile era un venerdì, e che l’uccisione di Rolando avvenne nel tardo pomeriggio. «Il richiamo al Venerdì Santo e alla morte di Gesù è evidente», ha quindi proseguito. Durante uno dei passaggi più intensi della sua omelia, Amato ha poi spiegato che in quel momento «il sangue del piccolo martire non si sparse per terra, ma fu raccolto da Dio nel calice santo del sacrificio eucaristico». Un sacrificio, ha aggiunto il cardinale, che dona a tutti noi quattro parole gravide di virtù: perdono, fortezza, servizio e pace.

La sua memoria liturgica è stata fissata il 29 maggio, data che corrisponde al giorno in cui, nel 1945, il papà del piccolo, Roberto Rivi, fece tumulare la salma nel cimitero di San Valentino, suo paese d’origine.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Federico Cenci

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione