Pio XII, il Papa odiato da Hitler

Il libro “Il Terzo Reich contro Pio XII”, dello storico Pier Luigi Guiducci, indaga su una pagina di storia a lungo macchiata da calunnie

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Un’opera sistematica di attacchi e calunnie nel corso dei decenni ha tentato di dipingere Pio XII come connivente con le persecuzioni naziste. Recentemente, tuttavia, la coltre di pregiudizio che ha coperto a lungo l’immagine di papa Pacelli sta iniziando a diradarsi.

Questo, grazie al lavoro di ricerca e di divulgazione da parte di storici che hanno studiato l’ultimo Pontefice nato a Roma. È in questo contesto che si inserisce il volume Il Terzo Reich contro Pio XII (ed. San Paolo). L’autore, lo storico prof. Pier Luigi Guiducci, analizzando per sette anni documenti nazisti, alcuni inediti, conservati negli archivi di diversi Paesi, ha svelato quale fosse l’idea che il nazismo aveva di Pio XII e, più in generale, del cristianesimo. L’intervista che segue dimostra come, con la lente della metodologia scientifica, sia possibile osservare realtà storiche diverse e talvolta persino antitetiche da quelle diffuse dalla vulgata.

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Prof. Guiducci, da dove si può iniziare per comprendere la realtà storica legata a Pio XII e al nazismo?

Dall’esistenza, intanto, di una leggenda nera legata al mondo nazista. Berlino, da una parte, bloccò tutti gli aiuti vaticani alla Polonia. L’ordine fu di reindirizzarli a favore dell’esercito tedesco. Formalmente questi aiuti  dovevano essere consegnati alla Croce Rossa germanica. Tale organismo, però, era stato inserito d’autorità tra le organizzazioni del regime. Si trovava, pertanto, sottoposto ai gerarchi del tempo. Contemporaneamente, gli ufficiali nazisti operanti in Polonia trasmettevano in continuazione alla popolazione invasa dalla Wehrmacht un messaggio: “Il Papa vi ha dimenticati. Il Vaticano non si è mosso. Siete stati abbandonati…”.

In tal modo, molte persone si convinsero erroneamente che esisteva una passività nel Pontefice, una noncuranza, un’intesa con le forze d’occupazione. Tale idea si rafforzò quando si scatenò la macchina nazista dello sterminio (Shoah). Dalla documentazione che si può consultare (inclusi gli atti del primo processo di Norimberga), risulta che ogni messaggio trasmesso dalla Santa Sede (per l’apertura di  canali umanitari di assistenza), o da suoi rappresentanti, era sistematicamente archiviato. Ho ritrovato, al riguardo, il dispaccio di una spia che informa Berlino che il Papa era fortemente contrariato perché ogni iniziativa vaticana veniva sempre neutralizzata. Ma c’è anche un’altra leggenda nera, legata al mondo comunista.  Pio XII aveva ricevuto in Vaticano un numero non indifferente di rapporti diplomatici (ma anche delle semplici lettere informative e dei resoconti a voce) che elencavano l’opera sistematica di demolizione del Cristianesimo in Russia. Tale realtà (oggi ampiamente documentata, anche con filmati) si estese agli Stati satelliti di Mosca, fino a raggiungere una presenza planetaria. Tenendo conto di questa documentazione, Pio XII reagì con  notevole fermezza nei confronti del comunismo. Prima di tutto confermò la condanna dell’ateismo e della sua propaganda. Si preoccupò poi di arginare una presenza dei comunisti in Italia e in altre nazioni. Evidentemente, la reazione sovietica fu durissima.

E come si manifestò?

Dai miei studi, risulta che i servizi segreti della Germania dell’Est chiesero ai colleghi moscoviti di ricevere in copia un fascicolo su Pio XII, così da impostare delle operazioni di distruzione della sua immagine, specie sul piano morale. La realtà è che non riuscirono a trovare elementi capaci di sorreggere un’accusa contro questo Papa. Per tale motivo, si decise alla fine di insistere su progetti di disinformazione, anche attraverso pubblicazioni e opere teatrali. Tale dinamica  è divenuta nota agli storici dopo la riunificazione della Germania nel 1990. L’archivio della Stasi è stato inserito in un unico sistema conservativo statale (con possibilità di accesso agli studiosi).

Nel suo libro riporta una circolare del ’41 firmata dal gerarca Martin Bormann che si intitola Nazionalsocialismo e Cristianesimo sono incompatibili. Questo testo può esser ritenuto la cifra dell’astio pagano del Terzo Reich verso la religione cristiana?

Bormann si dimostrò fortemente aggressivo verso il Cristianesimo in generale, e verso il Cattolicesimo in particolare. Un merito di cui si vantava questo gerarca era quello di “controllare” la gioventù, di aver fatto modificare l’ordinamento scolastico, facendo sostituire l’ora di religione con materie collegate alla storia delle glorie germaniche.  Ma è soprattutto dai suoi scritti e dai discorsi che diventa chiaro il pensiero. Bormann  esalta un’idolatria dello Stato e l’arianesimo tedesco. La sua preoccupazione  è quella che i cattolici, per il loro collegamento con Roma, potessero riservare sorprese amare per il regime. Si trattava quindi di predisporre (e fu fatto) una serie di provvedimenti che impedissero alla Chiesa cattolica di svolgere la propria missione. Per essere più tranquillo (malgrado il sistema di spionaggio rivolto ai cattolici tedeschi), Bormann  puntò – d’intesa con il  Fuhrer – a una “chiesa” nazionale tedesca, trovando un esponente della Confessione evangelica (Ludwig Muller, morto suicida) che accettò con convinzione di essere il Reichsbischof della Deutsche Evangelische Kirche. Comunque, l’astio pagano del Terzo Reich verso la religione cristiana fu un qualcosa che coinvolse tutti i gerarchi e lo stesso Hitler. Evidentemente, più il regime spinse in termini di soppressione delle opposizioni, di persecuzione degli ebrei e di altri membri di confessioni religiose, di eliminazione dei disabili, di espansionismo bellico, tanto più il divario tra regime e Cristianesimo divenne insanabile.

Esistono, viceversa, testimonianze dell’avversione di Papa Pacelli nei confronti del regime hitleriano?

Nella Positio che riguarda la causa di beatificazione del ven. Eugenio Pacelli (Pio XII) si trovano diverse testimonianze che attestano l’avversione del Papa verso il regime hitleriano. Padre Peter Gumpel (relatore della Causa di Beatificazione di Pio XII) ne ha parlato in diverse interviste. Altri documenti sono conservati nell’archivio nazista, oltre che a Londra e a Washington. Risulta, ad esempio, che Reinhard Heydrich (collaboratore di Himmler), in una circolare ai Gauleiter (i capi delle province tedesche), scrisse: “(Pio XII) È schierato a favore degli ebrei, è nemico mortale della Germania ed è complice delle potenze occidentali”. Esistono poi delle memorie che sono  annotate in diari di singoli personaggi del tempo. In ultimo, si possono ricordare i discorsi del Papa (specie quello del 2 giugno 1945) ove il Pontefice parlò esplicitamente dello spettro satanico esibito dal nazionalsocialismo. E il regime sapeva che il Pontefice era radicalmente  contrario all’ideologia hitleriana. Lo dimostra il fatto che, in occasione di alcune sue visite pastorali all’estero, legate a congressi ecclesiali, l’allora nunzio Pacelli (che aveva pubblicamente condannato la dottrina del sangue e della razza) fu deriso in Germania in modo pubblico anche attraverso vignette umoristiche che ho pubblicato nel mio libro (p. 81ss.). D’altra parte, non si può poi tacere del fatto che al momento dell’incoronazione pontificia di Pacelli, tra gli ambasciatori, fu assente solo quello  del Terzo Reich.

Tuttavia dal suo libro emerge anche che il ministro degli Esteri tedesco, Joachim von Ribbentrop, fosse convinto “di una linea pacelliana di sostegno alla Germania”. Da cosa derivava questa convinzione?

Von Ribbentrop  fu circondato da collaboratori che ebbero molteplici collegamenti con lo spionaggio nazista operante a Roma. Il programma di controllo della Santa Sede che cercò di passare attraverso più strad
e: la Gregoriana, l’Osservatore Romano, la Radio Vaticana, l’Istituto Romano della Società di Görres, i collaboratori del Papa, l’ufficio cifra, il centralino vaticano, le valigie diplomatiche, ecc… Tale manovra dette scarsi risultati. Si rivelò migliore l’azione di ascolto attraverso la stazione radio posizionata presso il Forte Boccea. In seguito, l’andamento del conflitto cominciò a presentare molti problemi per i tedeschi, e alcune grandi manovre fallirono. Si creò allora una situazione che ho studiato con attenzione: Hitler non voleva più ascoltare o leggere messaggi negativi. Li giudicava un’espressione di disfattismo.  E pertanto gli autori di tali comunicazioni erano perfino sospettati di essere dei possibili traditori. A questo punto, chi doveva scrivere dei rapporti (incluso l’ambasciatore tedesco a Roma) cercò di mutare strategia. Di inserire delle “considerazioni” serene sui rapporti Santa Sede-Terzo Reich. In pratica, l’inizio e la conclusione del testo erano segnati da frasi non traumatiche, e solo al centro del comunicato venivano inseriti alcuni dati sgraditi a Berlino. Per uno storico ciò è importante. Perché lo conduce a leggere le fonti con attenzione. In modo critico. Ed è proprio studiando i messaggi trasmessi a von Ribbentrop che ci si accorge della “prudenza” usata dai suoi collaboratori. Egli, leggendo annotazioni “tranquille” sui rapporti tedesco-vaticani, arrivò a pensare addirittura a una linea pacelliana di sostegno alla Germania. Tale sua convinzione, però, si frantumò quando incontrò a Roma Pio XII (11 marzo 1940). Fu proprio quest’ultimo, che, replicando a una frase del ministro, elencò una serie di atrocità  commesse  dalle forze del Terzo Reich.

Il Reichskonkordat, concordato tra Santa Sede e Germania, fu firmato a Roma nel luglio 1933 dall’allora cardinale Segretario di Stato Eugenio Pacelli. Questo gesto potrebbe aver condizionato il giudizio storico sui rapporti tra Pio XII e Terzo Reich?

Il Concordato con la Germania (20 luglio 1933) non fu ideato in occasione dell’avvento del Terzo Reich. Esso fece parte di una linea politica decisa  molto prima della presa del potere da parte di Hitler, che coinvolse più Paesi del tempo: la Serbia (1914), la Baviera (1924), la Prussia (1929), il Baden (Germania, 1932), l’Austria (1933), la Jugoslavia (1935), il Portogallo (1940). Il Concordato non è un atto pubblico bilaterale mirato a sancire un’amicizia. È, al contrario, l’espressione di un modus consuetudinario di trattare questioni riguardanti la vita delle Chiese locali all’interno di specifici Stati (scuole, ospedali…). In tale contesto, occorre ricordare che la Germania, nel periodo pre-bellico, era uno Stato riconosciuto a livello internazionale. Si trattava di una nazione tenuta in particolare considerazione pure da esponenti francesi, statunitensi, inglesi (nel 1936 lord Londonderry incontrò il Fuhrer; nel 1937 i duchi di Windsor si recarono in visita in Germania, ospiti di Hitler…). L’Ibm ebbe rapporti commerciali con Berlino fino al primo anno del secondo conflitto mondiale, fornendo calcolatrici utilizzate anche ad Auschwitz . In Germania vivevano milioni di cattolici (nel 1930 costituivano un terzo della popolazione). Esisteva inoltre una gerarchia cattolica che era già passata attraverso prove dolorose. Si pensi in particolare agli anni del Kulturkampf. E operava pure una rete di istituzioni sanitarie e assistenziali, oltre a quelle scolastiche. È noto che il regime hitleriano considerò il Concordato carta straccia, ma è meno conosciuto un altro fatto (documentato).

Di cosa si tratta?

Quando, con le sconfitte belliche, cominciarono ad arrivare in Germania e nella stessa Berlino i treni che trasportavano feriti, invalidi e salme, ci si rese conto che il Paese necessitava di persone capaci di intervenire per affrontare situazioni umanitarie sulle quali la propaganda del tempo fece il più totale dei silenzi. Con la successiva fase di bombardamenti (si pensi a Dresda) si arrivò a una realtà terribile. In quelle ore, anche gli organismi cattolici di assistenza (operativi perché riconosciuti dal Concordato) dimostrarono di non indietreggiare davanti al rischio di morire pur di arrivare ad assistere i civili. La Chiesa Cattolica, dimostrò, quindi,  che “quel” Concordato era stato voluto proprio per tutelare organismi che operavano  in ogni stato di necessità.  Tale Concordato ha riconosciuto uno Stato, non un regime. Per questo, è ancora in vigore.

Il progetto di Hitler di invadere la Santa Sede e sequestrare Pio XII è un fatto storicamente accertato?

Esistono una serie di testimonianze che attestano un disegno mirato a neutralizzare la Santa Sede, e quindi a spostare Pio XII in luoghi sotto diretto controllo nazista. Personalmente, sono prudente sulle dichiarazioni rilasciate dal generale delle Ss Karl Wolff (1974 e 1983), perché quest’ultimo – verso la fine della guerra  e negli anni successivi – si comportò secondo criteri mirati a sfuggire all’accusa di criminale di guerra, al processo penale, e all’inevitabile condanna. Cercò di apparire quello che non era. Fu un doppiogiochista. Ciò premesso, occorre sottolineare che più volte, in memoriali e in testimonianze giurate di contemporanei, si parla seriamente dell’ “eventualità” che venisse emanato un ordine di impadronirsi con la forza della persona di Pio XII. Basta citare i ricordi e le testimonianze di diplomatici quali: Weizsaecker, Hassel, Kessel, Moellhausen e Rahn; di soldati come, per esempio, Rintelen e von Plehwe, oppure di ufficiali delle SS come Eugenio Dollmann, Walter Schellenbeng. Dalle precauzioni  adottate nella Città del Vaticano verso la metà del 1943 si deduce che veniva presa in seria considerazione un’invasione tedesca del minuscolo Stato. Ci fu un momento in cui ad alcuni degli addetti alla Segretaria di Stato venne impartito l’ordine di preparare le valigie e di tenersi pronti da un momento all’altro per accompagnare il Pontefice. Tra di loro c’era il cardinale Egidio Vagnozzi, che riferì l’episodio in un’intervista al New York Herald Tribune del 21 marzo 1964. Ci si preoccupava anche della sorte degli archivi vaticani. Pio XII aveva fatto nascondere le sue carte personali in doppi pavimenti vicino ai suoi appartamenti privati. Altri documenti della Segreteria di Stato vennero sparsi in angoli nascosti degli archivi storici. Nell’agosto e settembre 1943, i diplomatici delle potenze alleate che vivevano in Vaticano cominciarono a bruciare i loro documenti ufficiali, sia di loro spontanea volontà sia per consiglio del cardinale Maglione. Fin dal 1941 alcuni importanti documenti, che si riferivano ai rapporti tra il Vaticano e il Terzo Reich con particolare riguardo alle questioni polacche, erano stati microfilmati e inviati al delegato apostolico a Washington, mons. Amleto Cicognani. Si temeva il peggio.

Le chiedo infine se, secondo Lei, la tesi di una vicinanza tra Pio XII e il nazismo potrebbe, in qualche modo, aver influito sul processo di beatificazione di Pacelli?

Pio XII ebbe sempre una particolare stima per il popolo tedesco. In Germania lavorò per la Santa Sede lungo un periodo di dodici anni. Conobbe la realtà politica della Repubblica di Weimar. Dal 1920, fu il primo nunzio per l’intera Germania con sede nella nuova nunziatura di Berlino. Tra i suoi collaboratori scelse dei tedeschi. Ad altri tedeschi affidò compiti di rilievo. Nel popolo germanico apprezzava  molteplici doti (serietà lavorativa, precisione,  puntualità, rispetto di regole…). Diverso discorso riguardò il nazionalsocialismo. Egli non accettò mai la dottrina della razza e del sangue. D’altra parte, era stato proprio l’allora mons. Pacelli a rivedere la bozza dell’enciclica pontificia di condanna della dottrina hitleriana (la Mit brennender Sorge), e a inserire continue integrazioni e chiarificazioni. E fu sempre l’allora nunzio Pacelli a condannare a Lourdes le tesi che provenivano da Berlino. Si può quindi affermare che il Papa era vicino al popolo tedesco, ma rimaneva in una  posizione radicale di condanna del nazionalsocialismo. A questo punto, inserire nella dinamica di un processo di beatificazione delle opinioni di chi non ha studiato la realtà storica, significa solo favorire confusione. Papa Pacelli è stato dichiarato Venerabile perché gli sono state riconosciute virtù eroiche. Il passo successivo, cioè il riconoscimento di un miracolo, è un fatto inserito nei disegni della Provvidenza.

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Federico Cenci

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