L’eroismo di un parroco di campagna

Don Martino Michelone proclamato “Giusto tra le Nazioni”

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di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 12 maggio 2011 (ZENIT.org).- Gli orrori della seconda guerra mondiale e la barbarie che si scatenò contro il popolo ebraico fu riscattata dalle azioni di tanti eroi sconosciuti i quali con le loro opere di bene salvarono l’umanità.

E’ questo il caso di don Martino Michelone, parroco di Morasengo (Asti), un piccolo paese del Monferrato, il quale rischiò la vita pur di salvare una famiglia di ebrei perseguitati dai nazisti.

Domenica 8 maggio l’ambasciatore d’Israele Ghideon Meir, i rappresentanti della Regione e della Provincia, don Luigi Ciotti, presidente dell’associazione Libera, la vicepresidente dell’Ucei, Claudia De Benedetti e i sindaci di molti comuni monferrini tra cui Morano, città natale di don Michelone, hanno celebrato il riconoscimento di “Giusto tra le Nazioni” del parroco di Morasengo.

L’ambasciatore d’Israele Ghideon Meir ha ricordato gli scopi fondanti dello Yad Vashem, riportando la frase del Talmud che dice “chi salva una vita salva il mondo intero”. Dopodichè ha consegnato nella mani di Mauro, nipote di don Martino Michelone, la medaglia e il diploma con cui il sacerdote viene riconosciuto tra i giusti che contribuirono a salvare l’umanità.

Nel corso delle celebrazioni è stata scoperta una targa sulla facciata della chiesa che ricorda don Michelone e una targa sul retro della chiesa che intitola la Piazza a don Martino.

A raccontare la storia è stato Luciano Segre, un consulente di imprese e associazioni di industriali, che all’epoca aveva appena otto anni.

Era il 1938 quando in Italia vennero proclamate le leggi razziali. Riccardo Segre era un commerciante di tessuti a Casale Monferrato, e cercava di vivere tranquillo, ma dopo l’8 settembre 1943 la vita divenne incerta per tutti, soprattutto per gli ebrei.

Così Riccardo, insieme alla moglie Angela, sua sorella Elvira e il piccolo Luciano, fuggirono prima a Cogne e poi da lì pensarono alla fuga in Svizzera. Arrivarono in ritardo all’appuntamento con la famiglia Ovazza, e quella che poteva sembrare una disgrazia fu una fortuna, perchè tutti ci componenti della famiglia degli Ovazza venne tradita e uccisa.

Riccardo Segre, insieme alla sua famiglia, cercò di nascondersi, ma non aveva più denaro e si ammalò contraendo una infezione al polmone. Quando tutto sembrava perso e cominciava ad affiorare la disperazione, Riccardo incontrò don Martino, già cliente del suo negozio di tessuti, il quale gli disse: “Prendi la tua famiglia e venite a nascondervi in canonica da me”.

Luciano ha raccontato che la sua famiglia viveva nascosta sopra la chiesa e che don Martino “aveva mani grosse come badili” e faceva spesso volare scappellotti, ma era buono come il pane.

Per curare l’infezione polmonare di Riccardo, don Martino riuscì persino a recuperare della penicillina tra i medicinali paracadutati dagli inglesi.

Il rispetto per la religione ebraica era assoluto. Luciano ha testimoniato allo Yad Vashem che “Mai don Martino cercò di intavolare un discorso religioso con i Segre”, anche se, per evitare perquisizione e dubbi, aveva Riccardo come parte del coro della Chiesa, mentre Luciano faceva il chierichetto.

Nel corso della cerimonia in cui è stata scoperta la lapide in ricordo di don Martino, Luciano Segre ha spiegato: “Ho vissuto due anni magnifici in questo paese: è logico ero un bambino e mi divertiva stare qui.  Falsificando i documenti don Michelone mi ha mandato persino alla scuola elementare di Tonengo. In quella chiesa io servivo messa e mio padre cantava nel coro. Don Michelone però ha sempre rispettato la nostra religione”.

Don Martino, era molto attivo nell’opera di assistenza alle vittime della persecuzione e della guerra. E per questo divenne presto oggetto delle attenzione dei nazisti.

E’ sempre Luciano a narrare che una volta i nazisti vennero a cercare don Martino al fine di arrestarlo. Ma don Martino godeva della vigile attenzione dei parrocchiani, i quali riuscirono a farlo scappare in anticipo per il dirupo dietro la chiesa e poi lo nascosero nella macchia fino a quando i nazisti non decisero la ritirata.

Nel corso delle cerimonie per la commemorazione il giornalista Gad Lerner, che per primo ha diffuso la storia di don Martino, ha detto: “Se siamo venuti qui oggi in tanti e da tanti posti diversi è per dirvi grazie, grazie a voi e ai vostri padri, che sapevano che don Michelone stava nascondendo una famiglia di ebrei eppure non hanno mai denunciato nessuno.  Grazie perché ci avete donato una persona splendida come Luciano Segre. Oggi siamo chiamati a trasmettere questa memoria: il bene fatto nel 1943 diventa il bene per altre persone”.

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ZENIT Staff

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